Fin quando non prenderemo atto dell’avvenuto mutamento
strutturale dell’economia, caratterizzata dalla centralità dei consumi - meno
dalla produzione - ci troveremo ad essere costernati dai dati micro/macro che
agenzie di tutte le risme ci propinano ogni dì.
Per esempio: L'indagine congiunturale elaborata dalla
Commissione Europea, sul morale dei
consumatori della zona euro mostra, ad aprile,
un -8,7 %.
Dell’ Italia parla l’Istat, dice: Oltre un milione di famiglie sta senza
reddito da lavoro. Si tratta di 1 milione 130 mila. Tra questi quasi mezzo
milione (491 mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213 mila sono
monogenitore.
Ci si mette pure Unimpresa: “gli acquisti low cost nel primo
trimestre del 2014 sono cresciuti del 60%. Le famiglie italiane inseguono
sempre di più risparmi e promozioni: 5 su 7 hanno provato almeno una volta i
discount nel primo trimestre di quest’anno, confermando una tendenza cresciuta
con la recessione e consolidatasi nel 2013”.
Coldiretti ci mette il carico da
11: “Più di quattro italiani su 10 mangiano il
pane avanzato dal giorno prima, con una crescente tendenza a contenere gli
sprecchi. La crisi ha portato i
cittadini a sviluppare diverse tecniche per evitare quello che una volta veniva
considerato un vero sacrilegio”.
Se tanto mi dà tanto, tutto ciò ha inevitabili conseguenze sui
ricavi degli esercenti. C’è chi stima che l’impatto sui conti potrebbe arrivare
ad avere un’incidenza negativa del 65-70%.
Fiuuuuuu! Questo aggraverebbe un quadro già profondamente
depresso.
Del resto, nel 2013 i consumi sono scesi del 2,6% cosicchè
quando i consumi delle famiglie - che fanno il 60% del Pil – languono, la crisi
si mostra.
Si, insomma, meno consumi, meno produzione, meno occupazione,
ancor meno reddito.
Dopo la sbornia dei dati ricominciamo daccapo. Dai consumatori,
quelli del 60% del Pil.
Si può con ragione supporli esterni al ciclo della produzione,
come una scaduta dottrina economica ancora pontifica?
Si può con ragione supporre che tal esclusione ingarbugli il
ciclo svalutando il produrre e, pure, il lavorare?
Lecito porli al centro del ciclo produttivo a far fare loro quel
che sanno fare?
Bene, proprio mercato, dove produttori e consumatori si debbono
fare soci per fare la crescita, si mostra quell’intoppo che fa la crisi.
Già, proprio qui, la domanda, pur risultando essere l’unica
merce scarsa, non riesce a fare prezzo
di tal valore perché le politiche di reflazione messe in campo hanno impallato
il meccanismo di formazione dei prezzi, ottenendo l’ineguagliabile risultato di
far mancare ai soci consumatori il denaro per fare la spesa.
Orbene, se la crescita si fa con la spesa, quella spesa che genera reddito, quel reddito che serve a fare
nuova spesa, occorre allocare quelle
risorse di reddito per ricapitalizzare quei soci, della “Libero Mercato Spa”, che con la spesa
remunerano.
Da
riallocare c’è tanto: in Italia, 1500 miliardi di euro l’anno; nel mondo 60.000
miliardi di $. Buoni per tornare a fare nuova crescita; ottenendo pure il non
trascurabile vantaggio di poter restituire valore alla produzione ed al lavoro.
Et voilà,
l’Economia dei Consumi!
Mauro Artibani