Nel
passaggio da un seme che germoglia, all’albero il valore che si aggiunge
risplende: è la natura bellezza!
Quella natura magari fatta Pioppo, messa lì apposta perché cresce
in fretta e costa meno, a valore aggiunge valore.
Quegli alberi poi qualcuno li taglia, qualcun’altro li porta in fabbrica;
altri ancora ne fanno chips: scortecciati e fatti
a pezzetti.
Spezzettati appunto e poi bolliti per sciogliere la lignina e le fibre di cellulosa. La pasta così ottenuta viene raffinata e sbiancata.
Da altri tizi viene infine distesa, asciugata, pressata e arrotolata fino a formare una grande bobina di carta.
Spezzettati appunto e poi bolliti per sciogliere la lignina e le fibre di cellulosa. La pasta così ottenuta viene raffinata e sbiancata.
Da altri tizi viene infine distesa, asciugata, pressata e arrotolata fino a formare una grande bobina di carta.
Fatta carta, trasferita in tipografia dentro la rotativa, quando
incontra la scrittura quel valore raddoppia. L’han fatto tizi lavorando, altri
ancora vi stamperanno sopra notizie vidimate da Direttori del circolo della
redazione, dove stanno i Redattori che han redatto pezzi freschi di giornata; corrette
dai correttori, titolati da titolisti, da impaginatori impaginate e nelle
edicole vendute.
Eggià, quella scrittura, fatta da chi va in giro a raccattare fatti
per farne notizia e da chi dentro, in ufficio, elucubra opinioni, vale pur essa.
Valore, valore, valore, e ancora valore a più non posso che tutti quei
valorosi hanno messo in campo nel fare
il loro al meglio e che avranno da incassare con profitti, stipendi e salari.
Incasseranno, appunto, solo dopo che quel valore avrà fatto
prezzo, anzi solo dopo aver speso quel prezzo all’edicola.
Èssipperchè lo ribadisce
Squinzi, il presidente di Confindustia: occorre legare il remunero del lavoro
ai risultati aziendali.
Tutto bene?
Macchè. Quando all’edicola vanno meno lettori, che invece vanno
online a cercar notizie, quel giornale di oggi, invenduto, domani incarta il pesce.
Se poi la
raccolta pubblicitaria della carta stampata in Italia, nel periodo tra gennaio
e aprile 2014, segna un calo del 12,3% si arriva alla frutta.
Si
riducono i ricavi, la sovraccapacità si mostra e quel valore, prima aggiunto,
si sottrae sottraendo pezzi al prezzo. Tutto quanto fin qui fatto verrà
disfatto.
Può una Impresa Editoriale considerare i propri
lettori una variabile indipendente, non
fattore produttivo interno al ciclo aziendale?
Memore
di cotanta inefficienza nel gestire i fattori produttivi, altri editori, quelli on line, suonano tutt’
un’altra musica.
Ficcano
il lettore dentro il ciclo, lo trattengono con notizie che si aggiornano in
tempo reale trasformando il vizio della sovraccapacità in virtù, estraendone
profitto; con l’ informazione gratuita lo remunerano. Gli introiti
pubblicitari, in costante aumento, fanno il prezzo di quel valore. Edizioni
poi, fatte su supporti di materia immateriale, riducono l’impiego di risorse
scarse, diminuiscono pure gli scarti; l’impiego dei fattori viene ridotto
accorciando quella filiera produttiva che disperde gli utili in mille rivoli.
Ok,
scommessa vinta.
Un momento, pure
l’utente di quegli editori una scommessa la può fare per migliorare le
performances fin qui fatte.
Se si affinano ancor più
le tecniche del far informazione, aumentano pure i siti che ne danno conto e le
notizie in giro sono troppe; chi ne riceve vantaggio rischia il debito
d’ossigeno nello sniffarle.
Essì, quell’overdose
non migliora la conoscenza, stressa pure l’attenzione. Si riduce il valore di
quella informazione, cala il prezzo. L’attenzione
per utente, divenuta scarsa acquista invece valore. Il prezzo, tutto da
contrattare.
Già, ma questa è
un’altra storia.
Mauro Artibani
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