Nel mondo si misura in 580
milioni di tonnellate la sovraccapacità produttiva nell’industria dell’acciaio.
80 milioni in Europa.
A Terni, nelle acciaierie, per ridurre i costi di tal
garbuglio tagliano di 100 milioni l’anno i costi. 537 di quelli che lavorano
vanno in sovrappiù, per gli altri riduzioni di stipendio.
Il 18/10/14 pressappoco 113.000 ternani reagiscono, 30.000
vanno in piazza. Manifestano solidarietà e pure un po’ di interesse, anzi molto, per quelli che
mancheranno di portare i soldi a casa e per quelli che ne porteranno meno. In
piazza ci stanno pure quelli che non venderanno a chi ha perso il lavoro o venderanno meno a quelli che guadagneranno
meno. Già, ci stanno, e pure in cagnesco perché scorgono un domani gramo: senza lavoro anch’essi.
Fanno scongiuri insomma fabbricanti, commercianti, artigiani,
professionisti, persino le banche che vedranno deteriorarsi i loro crediti.
Stretti di chiappe, su un lato della piazza, ci stanno pure tutti quelli
dell’indotto.
Una reazione a catena, di
sovraccapacità in sovraccapacità, che costa e non fa guadagnare; per quelli del
prelievo fiscale, che a Terni hanno rappresentanza, solo spiccioli.
Brrrrrrrrrrrr, fa freddo!
Per riparare il danno quelli al
Governo nazionale sembrano muoversi tra opzioni lasche, spazi stretti e tempi
lunghi.
Beh, intanto ai ternani per non restare intirizziti
nell’attesa tocca muoversi.
Le politiche keynesiane che,
quand’anche efficaci, fatte a debito non sono spendibili.
Fomentare impresa invece, a
costo quasi zero, guadagnando un ricostituente fiscale si può: Per quei 537 si
possono spendere 73,5 ettari* di terreno agricolo demaniale dato in comodato
d’uso da Comune, Provincia e Regione.
C’è bisogno degli utensili per
coltivare? Beh… tocca alle Imprese investirci
per dare sprone a quei senza lavoro che hanno smesso di fare la domanda.
Se poi viene assunto pure
“quel modello produttivo
agricolo italiano, primo per produzione di valore aggiunto” il gioco è fatto.
Se tornano a lavorare,
con il surplus che se ne trae, si fa reddito
buono per fare la spesa. Se tanto da’ tanto si può fare, anzi occorre farlo!
Occorre fare pure altro però per
quel lavoro che quando c’è remunera poco, pressappoco quel-che-serve-per-vivere,
facendo mancare la capacità di acquistare quanto prodotto.
Essipperchè, così conciati si
va ramenghi in sovrappiù. Tutti!
Se l’Impresa paga il lavoro
quanto può per tenere arzilla la produttività, può fare ancora meglio
abbassando i prezzi per alleggerire i costi della sovraccapacità, recuperando
pure capacità competitiva. “Bonus” insomma, buoni per rifocillare quel potere
d’acquisto di chi acquista poco, per far acquistare il resto.
Così si possono pareggiare i
conti e tutti insieme tornare a fare.
Eggià, nell’economia dei
consumi funziona così: occorre spendere per poter lavorare.
Così i negozianti possono smettere
di oziare, i progettisti tornare ad
architettare ed ingegnare per muratori che tornano a murare con i manovali a
dare una mano. Pure i taxi a girare, le agenzie ad agire servizi, gli agenti a
fare la guardia. Persino Maurizio, non più solo soletto, può tornare a dare
lezioni di chitarra, mentre per quelli all’angolo della piazza finalmente poter rilassare i glutei.
Bizzarro eh?
*Quelli del Dossier di Coldiretti con Symbola,
Unioncamere e Fondazione Edison considerano il modello produttivo agricolo italiano
primo per produzione di valore aggiunto. Viene stimato triplo rispetto a Regno
Unito, doppio rispetto a Spagna e Germania, superiore del 70% a quello
francese. In questo settore l'Italia è prima anche per addetti occupati, con
7,3 addetti per ettaro, a fronte di una media europea di 6,6 addetti.
Mauro Artibani
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