martedì 29 settembre 2020

DENTRO IL VECCHIO MONDO, LO SPAZIO PER IL NUOVO V’E’!

Dentro questo infingardo oggi ho in tasca carte di debito, perché lo smilzo reddito non mi basta per potere continuare ad esser prodigo e men che mai satollo. Sto su una Terra che così ho alterato nella sua capacità riproduttiva; della capacità di smaltimento poi… peggio che andar di notte. Dunque, cosa resterà di quell’Economia dei Consumi, pressappoco nata nel ’71, con la fine della aurea convertibilità della moneta e supportata con il debito, fino alla crisi del 2007, boccheggiando fin dentro la pandemia? Fin quando resteranno gli squilibri tra offerta e domanda, con una sovraccapacità strutturale della prima e la seconda sufficiente solo con quel credito che diventa debito? Beh… pochino o niente. Bene, se sono così conciato, una domanda rimbomba: di quanta ricchezza ho bisogno o, quanta ne posso generare? Beh, ad occhio e croce di tutta quella necessaria a non stentare la vita, insieme a tutti. Troppo generico? D’accordo, allora mettiamola così: per non dimenticare occorre rammentare come la ricchezza venga generata dalla spesa, non da altro; essì, quando si è provato a farlo, si è generata penuria. Proviamo con la “Dignità” per me, per la Terra, per gli altri; oltre il cantuccio dell’azzardo morale, con fatti concreti e misurabili. Se debbo spendere faccio prima la domanda; se ecocompatibile, ipo energivora, svestita di pakaging sfrontati, risulta acconcia al bisogno di rimettere la colpa. Se poi mi metto a farne offerta.. ah beh W l’economia circolare. Essì, quando dall’Harvard Business Review urlano: "non si tratta di fare di più con meno, quanto fare di più con ciò di cui si dispone», si intravvede la via. Non retta, circolare appunto, dove si passa e ripassa prendendo quel che si è lasciato per farne il nuovo. Dal “si produce generando scarti” al “far con gli scarti il nuovo da produrre”! Ehi, se il rifiuto diventa una risorsa, noi ne siamo i titolari con il possesso dello scontrino del prezzo pagato, nel prelievo Iva sulla merce acquistata poi nell'averla consumata e con la Tari pagata! Risorsa che migliora la produttività del sistema, migliora pure il valore economico della nostra azione che si potrà intascare; una mano lava l'altra, tutte e due puliscono la terra! Così siam finalmente dentro il ciclo economico. Bene, non sembri vano ma… per poter garantire la produttività di questo fare, che rifocilla la capacità competitiva delle Imprese, occorre giust’appunto doverla acquistare. Acquistata, aumenta la produttività dell’esercizio d’impresa incassandone pure un vantaggio competitivo. Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 22 settembre 2020

I CONTI DELLA SERVA FATTI AD APPLE
Fine agosto 2020: record per il listino dei titoli industriali negli Usa. Per effetto del frazionamento azionario di Apple, l'indice ha visto uscire ufficialmente il colosso petrolifero Exxon Mobil, il gigante farmaceutico Pfizer e il gruppo attivo nel ramo difesa, Raytheon Technologies. Cavolo! Soprattutto per la dipartita di Exxon Mobil, quotata sul Dow Jones da un secolo circa e, fino al 2013, la società più grande del listino in termini di valore di mercato: in quel periodo valeva $416 miliardi, più di Apple. Oggi vale appena $175 miliardi, cifra che impallidisce rispetto ai $2 trilioni di capitalizzazione raggiunti e superati da Apple alla fine di agosto. Giustappunto Apple avrebbe intenzione di lanciare nuovi prodotti a ottobre, secondo fonti di Bloomberg. Nei piani della società di Cupertino ci sarebbe il lancio di quattro nuovi modelli di iPhone con tecnologia 5G. Il gruppo avrebbe chiesto ai fornitori di produrre tra i 75 e gli 80 milioni di nuovi iPhone, in linea con le richieste degli anni precedenti. Ehilà, sotto non mentite spoglie, si mostra il valore del mondo digitale a spese di quello analogico. Quell’analogico che, con l’energia fornita da Exxon, era riuscito a rimpicciolire lo spazio e il tempo del mondo. Quel digitale che, con gli smartphone di Apple, lo stesso mondo lo ha contratto in un punto. Si insomma, ho un’auto prodotta prima e rifornita poi con l’energia venduta da Exxon; ci vado da qui a lì, tutti i dì, in meno tempo e pur se piove. Ho pure un figlio a Brisbane, sta in un’altra ora, in un altro giorno, in un’altra stagione; con lo smarphone ci sentiamo/vediamo quando vogliamo, ovunque sostiamo. Dunque, la distanza tra i $175 miliardi di Exxon rispetto ai $2 trilioni di capitalizzazione di Apple, sta tutta qui. Un momento. Se, come i valori di borsa mostrano, non sembrano esistere pasti gratis perché Apple sembra non intenderlo? Do un’occhiata e vi dico: l’abitare il “Mondo Apple” mette al riparo l’azienda dalla concorrenza senza dover avere pressione sui margini. Produce, a spron battuto, nuovi modelli di smartphone per sostituire quelli quasi uguali ai precedenti, li impone, li vende. Oddio, li vende… “se Il gruppo avrebbe chiesto ai fornitori di produrre tra i 75 e gli 80 milioni di nuovi iPhone, in linea con le richieste degli anni precedenti” li vendicchia! Quelli della Borsa glielo mandano a dire; il titolo in borsa, negli ultimi tre giorni, fa -14%. Cavolo, vuoi vedere che il “cerchio magico” di Cupertino sta mostrando la corda? Essipperchè pure al mondo digitale tocca fare i conti della serva e, se non tornano, doverli aggiustare. Vediamo cosa si possa fare senza far sconti: se non si mostra semplice intercettare “fedeli” alla religione Apple toccherà remunerare la nuova fedeltà! Se il mio smartphone vale il 70% del nuovissimo che verrà venduto e lo acquisto avrò buttato quel valore per riacquistarlo con il nuovo; se il nuovo venisse invece infilato nel vecchio avrei risparmiato un bel pezzo di prezzo: ho venduto la mia fedeltà, quelli di Cupertino l’hanno acquistata. Rifocillo il mio potere d’acquisto; il mercato d’altre merci ringrazia. Si, acquistato quest’esercizio che, con la spesa, trasforma la merce in ricchezza e con il consumo ne consente la riproduzione, viene fornita continuità al ciclo e sostanza alla crescita. Funziona, cavolo: aumenta la produttività d’esercizio dell’Impresa “associando” quella implicita all’esercizio di consumazione; il remunero delle risorse scarse impiegate nel fare la spesa fa incassare pure un vantaggio competitivo. Giust’appunto, quel vantaggio che l’attempato “mondo Apple” da solo non sembra più in grado di garantire. Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

mercoledì 16 settembre 2020

UN VACCINO PER LA PANDEMIA DELLA PENURIA Un virus e viene giù tutto. Si, tutto, pure l’economia e in tutto il mondo! Nel mondo, oltre cinque miliardi di persone ne sono rimaste invischiate; quando da questa pandemia saremo fuori, toccherà trovare il modo di non cadere in quella della penuria, a cui già sembrava costretto il mondo dalla “stagnazione secolare”. Pandemia della penuria, appunto, che costringerà a rifare i conti con i modelli economici già utilizzati, oggi sottoposti a stress test. Già proprio di quell’economia che, ben prima del virus, risultava infettata dagli squilibri. Oggi con il virus, produzione e consumo fanno fatica ad incontrarsi, ancor più darsi la mano per la ratifica del prezzo. Tanto che, seppur in modalità tecnica, si possono generare addirittura incubi.* Caos, insomma. La successione concitata delle iniziative prese dai leaders del mondo, per ripristirare l‘ordine, indebiterà il domani e chi dovrà abitarlo, più dell‘oggi. Mario Draghi, ex di lusso Bce, di quanto fin quì agito e dell’agitato di domani fa la sintesi al Financial Times: "Agire subito senza preoccuparsi dell'aumento del debito pubblico… bisogna immettere subito liquidità nel sistema e le banche devono fare la loro parte, prestando danaro a costo zero alle imprese, per aiutarle a salvare i posti di lavoro. Proteggere l'occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità.” Giust’appunto debito che, quando “troppo in alto sal cade sovente….”; questo empasse trova detrattori e sostenitori. I primi vorranno ridurlo a colpi di patrimoniale, senza se e senza ma; i secondi, più realisti del re, attrezzeranno moratorie… magari una Banca Centrale del Mondo, definita all’uopo, che monetizzi il debito acquistando sul mercato “titoli di debito perpetuo, zero coupon” emessi… da tutti quelli che hanno l’acqua alla gola. Verrebbe da dire sia come sia se non fosse che… il domani sarà come faremo che sia! Dunque, faremo: Draghi, cambiando il registro della politica monetaria del controllo di prezzi, cambia pure l’indirizzo; le azioni, di “sussidio alla sopravvivenza”, vanno recapitate al capitale e al lavoro! Già, per quanto la congiuntura lo esiga, il vecchio vizio non si scorda mai; al consumo, inteso ancora come una funzione accessoria del produrre, vanno solo gli spiccioli. Tant’è: il credito del proferente e il tono del proferito, non ammettono repliche ma… tra quest’oggi e il come è stato lo ieri, qual domani si speme e tocca divinare? Approposito del divinare, l’economia post Covid-19 riuscirà a trovare sostegno adeguato nelle politiche monetarie e fiscali, all’uopo adottate in tutto il mondo? Riuscirà, insomma, così facendo a sanare quel gap dell’out put che già sfiancava quella di prima? Do un’occhiata al modo mio e vi dico. Dunque, la crescita dovrà continuare a farsi, come prima, con la spesa aggregata ma… con un potere d’acquisto rifocillato proprio da queste ordite politiche. Una moneta insomma, da mettere in tasca, che sia adeguata a ruolo di ciascuno degli aggregati. Una quantità di moneta che dovrebbe, ad esempio, sanare lo squilibrio fra quella già nelle tasche dei titolari del capitale e quella che ha chi lavora; quella stessa che ha generato l’altrettanto poderoso squilibrio nella propensione al consumo, genitore della disparità nel potere d’acquisto. Una chicca ne tira un’altra: l’aggregato delle Imprese, a cui toccherà fare la spesa per investimenti ma che vedrà, con la pandemia, aumentare ancor più la capacità produttiva inutilizzata, verrà convinto dall’efficacia di queste politiche a fare la sua? Alfin, l‘ultima: tra il debito passato, quello futuro e la riduzione degli introiti conseguenti alle politiche fiscali in itinere, potrà l’aggregato Pantalone fare la spesa pubblica? Egregi divinatori, cotante domande attendono adeguate risposte. Nel fattempo, per non soccombere ai cattivi presagi, tocca invece trar lezione da come si stesse appunto in quel prima, prossimo alla recessione, ancorchè nel recedere d’oggi per non dover ristagnare domani. Cari miei, una premessa vi devo: osservare il reale, attraverso l’evidenza empirica, mi consente di eliminare le viscosità mostrate dai modelli previsivi che sono stati, in alto loco, fin qui utilizzati. Giust’appunto, quell’evidenza di come si stesse prima della pandemia: sovraccapacità dell’impresa, sottocapacità della spesa, affrancamento dal bisogno; redditi insufficienti, sorretti dal debito oltre ogni ragionevole limite. Il prezzo fatto dal mercato, per tal impiego dei fattori produttivi, risultava alterato dalle azioni messe in campo per stroncare la deflazione. Il gap dell’out put lo grida; strepitano invece i prezzi inflazionati fatti da altre asset class: azioni, obbligazioni, valori immobiliari. Questo bug del “prezzo in-giusto”, che ci aveva fatto entrare nella crisi del 2007 e che ancora attanaglia, ci sbatte oggi all‘inferno. Una sequenza non occasionale mostra la successione che mortifica la produttività del sistema: Dall’affrancamento dal bisogno i Consumatori ricavano libertà di azione; l’indebitamento li imbolsisce. La mancanza di risparmio, da un lato, limita l’efficacia dell’esercizio di consumazione nel gestire il controllo dei prezzi; sottrae risorse, dall’altro, per quegli investimenti industriali che migliorano la qualità del prodotto, riducono i costi e i prezzi. Il credito, elargito come se piovesse, ha rifocillato tutto e tutti salvando dal giudizio del mercato aziende zombie, proprio quelle che più concorrono a limitare l’impiego produttivo delle giovani generazioni più attrezzate del capitale umano e sociale per migliorare l’efficienza del produrre e per consumare che, tenute fuori dall’intero processo produttivo, aumentano ancor più il gap dell’out put del sistema. In quest’oggi poi, contratto nella pandemia, lo sconquasso del lock down aggraverà il già grave: fermata la produzione, le Imprese potranno ridurre l’eccesso in magazzino pagando il prezzo di una maggiore capacità produttiva inutilizzata; i Consumatori, non potendo far la spesa, vedranno ridursi il vantaggio dell’affrancamento dal bisogno prendendo in carico lo svantaggio di non poter fare neanche gli acquisti di bisogno. Il tasso di occupazione, già al 65%, precipiterà a far mancare, ancor più, quel potere d’acquisto necessario a tutti per fare la spesa. Il debito che verrà impiegato per salvare la baracca, ad oggi inestimabile, verrà ad aggiungersi a quei 255.000 mld di $, reflazionando ancor di più il mondo. L’Institute of International Finance stima un raddoppio dei deficit pubblici; l'incidenza del debito globale sul Pil balzerà in un solo anno dal 322% al 342%. Debito d’oggi che aggraverà ancor più il domani di quelle giovani generazioni, già zavorrate dall’onere contratto per gli studi che attrezzano il loro capitale umano; che avranno ancor meno occasioni per lavorare e consumare. Botte, corna e chitarra rotta, insomma; non solo la loro, magari quella di tutti i suonatori! Alla fine della fiera un mercato, ancor più opaco e inefficiente nel fare il prezzo, saprà farlo? Potràquan do tornerà ad ospitare chi domanda e chi offre; ci riuscirà, quando i venditori di merci e chi ne avrà bisogno avranno trovato l’accordo per darsi la mano. Prezzo appunto per gli uni da incassare, per gli altri da poter pagare. Si, esattamente come prima. Di un prima del prima perché lì almeno si riusciva a trovare quell’equilibrio che ha consentito crescite sane. Nel buio pesto d’oggi invece… la butto là: dopo il lockdown sussisteranno ancora le condizioni di base per poter dar corso a tal appetita crescita? Beh, gli impresari avranno ancora, seppur ammaccato, il capitale come pure le strutture d’impresa; disporranno ancora delle competenze e di quegli incoercibili animal spirits per fare la loro parte. I consumatori, per far la loro, dovranno rifischiettare la sempiterna tiritera mettendo in campo il rinato bisogno; avranno la riserva delle emozioni, le passioni finanche le esperienze da poter soddisfare. Per strafare, consumando l’acquistato, potranno dare la stura a quelle stesse imprese nel riprodurre, dando continuità al ciclo; con l’Iva pagata finanzieranno parte della spesa pubblica; se riusciranno a tenere in tasca il resto, investito, finanzierà gli investimenti delle imprese. Con cotanto fare genereranno i 2/3 di quella domanda aggregata che genererà altrettanta ricchezza; quel terzo che toccherà ad altri fare, lo sovvenzioneranno. Per far che tutto questo “valore” possa manifestarsi compiutamente impiegheranno risorse ancor più scarse: il Tempo, l’Attenzione, l’Ottimismo, il Denaro. Un concorso individuale, insomma, alla produttività generale che non ha eguali! Concorso, non vi giunga nuovo, che verrà depotenziato dalla diversa propensione al consumo dei singoli; frutto del diverso remunero messo in tasca dai “fattori” che operano nella produzione. Bene, per cotanta inefficienza un quesito, prodromo al dopo, rimbomba: quale economia di mercato potrà permettersi ancora il lusso, in sede di trasferimento della ricchezza generata dalla spesa, di remunerare i fattori che hanno concorso a crearla escludendo chi l’abbia de facto generata? Di dare risposta compiuta al rimbombo dovrà farsi carico la comunità internazionale; quella che, abbeverandosi con precetti scaduti, ha fin qui tirato a campare. Dovrà, appunto, darsi da fare per far sì che quell’economia di mercato, che in altri tempi ha mostrato di esser in grado di generare il massimo della ricchezza e nelle forme acconce distribuirla, torni a fare al meglio quel che dovrebbe saper fare. Se l’indifferibile “fattore consumo” , per la continuità del ciclo, attribuisce valore ad una domanda scarsa occorre poterne stimarne il prezzo, chi poi dovrà intascarlo, come e chi dovrà pagarlo. Diamo un’occhiata: se prima, nell’Economia della Produzione, si lavorava per guadagnare, nell'Economia dei Consumi deve trovare ristoro l‘esercizio di consumazione per avere a sufficienza da spendere; un reddito di scopo, insomma, che integri l’insufficienza di quello incassato con il produrre! Beh, se tanto può dar tanto, la Politica può/deve attrezzare l'ambiente normativo per un'economia capace di resistere oltre alle congiunture che la scrollano, anche ai cigni neri dei giorni d’oggi. La cornice in UE c’è. L’art 3, par. 3, del Trattato sull’Unione Europea, ha stabilito la costruzione del mercato interno basato su una crescita economica equilibrata, sulla stabilità dei prezzi e su«una economia sociale di mercato fortemente competitiva». Principi generali, insomma, che possono servire da sponda per ancorare la norma su “l’economia resistente”. Norma che già ritenni necessaria per fornire sprone all’Impresa nel dar corso ad una riconversione delle strutture che la organizzano, ad oggi non più procrastinabile. Giust’appunto per non procrastinare si rende spendibile, dentro i Parlamenti nazionali, la proposta di Legge per disporre di un mercato efficiente che sappia fare al meglio il prezzo; che disponga di allocare le risorse economiche generate dalla crescita per tenere adeguato quel potere d'acquisto che consenta l'esercizio di ruolo dei diversi operatori della spesa aggregata. L'adozione della norma renderà, de facto, appetita la costituzione di quell'Azienda "Libero Mercato Spa." Suvvia, proprio quella Spa che capitalizza onori ed oneri e, in punta di diritto societario, "offre a tutte le persone la possibilità di contribuire all'attività economica e di condividerne i benefici"; no non lo dico io, lo dice l’Fmi. Un'azienda, insomma, pro-crescita che agisce per tenere in equilibrio produzione e consumo, impiegando al meglio le risorse produttive degli addetti e l'adeguata allocazione delle risorse di reddito per sostenere la crescita e generare ricchezza. Agenti economici vi agiscono con ruoli integrati per la produzione dell’offerta, la generazione della domanda, del commercio e dell'acquisto, fornendo distinto contributo a quella spesa aggregata che fa la crescita. Il remunero degli operatori, che compensa quel diverso contributo, andrà speso nel “circuito aziendale“ per rendere fluido e continuo il ciclo produttivo. Giust'appunto un marchingegno societario che disponga l'adeguata capitalizzazione degli azionisti mediante una diversa allocazione della ricchezza** colà generata. La Politica, per caldeggiarne l’istituzione, dovrà farsi carico di attrezzare “norme di vantaggio fiscale” che ne rendano conveniente l'adozione. Norme affinchè il Mercato, quando non impallato dai meccanismi reflativi, sia in grado di poter fare il miglior prezzo tra le parti in causa remunerando la produttività di ciascun agente per migliorare la produttività del tutto. Tocca ribadirlo: ci sono Imprese che già lo fanno. Hanno attrezzato business pro-crescita che consentono di far profitto quando, con l'acquisto delle loro merci, i Consumatori rifocillano il potere d'acquisto. Funziona. Aumentano la produttività d’esercizio “associando” quella implicita all’esercizio di consumazione; la fidelizzano attraverso il remunero delle risorse scarse impiegate nel fare la spesa, incassandone pure un vantaggio competitivo. Per far sì che l'appetito per le altre Aziende venga mangiando, s'ha da tornare pure a metter mano agli attrezzi del mestiere della Politica: la leva fiscale per re-distribuire vantaggio agli aderenti la Spa, svantaggio ai renitenti. Per lenire il colpo a quei renitenti toccherà sussurrar come, tra l’affrancamento dal bisogno e/o il potere d’acquisto insufficiente per dare ristoro ai neo bisogni, la domanda resti l’unica merce scarsa sul mercato. Come insomma, pur dopo il mondo pandemizzato, continuerà ad esservi più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre. Bene, nell’universo produttivo dell’Economia dei Consumi, il “paradigma del vantaggio comparato”, proprio quello che mi suggerì nonno Rizieri, dovrà fornire la regola per poter dare a Cesare quel ch’è di Cesare. Chi poi vorrà rappresentare queste istanze potrà intascare un cospicuo dividendo elettorale pagato da tutti i cesari del mondo e che farebbe tornare a crescere l’utilità marginale di una politica, altrimenti marginale. Approposito, la pandemia spinge pure a rivedere i processi innescati dalla globalizzazione aprendo una questione grande così: quella delle catene globali del valore che rischiano di venire squassate, con gli annessi profitti, degli affiliati alle filiere. Già, proprio quel profitto che, nell’economia lineare ed aperta, remunerava il rischio d’impresa, dentro quella circolare e continua, intrappola risorse sottraendole alla crescita. Diamo un’occhiata: dentro le filiere produttive si trovano ficcati il titolare del prodotto, i fornitori di materie e quelli dei materiali; chi fornisce i macchinari, i designer nonché quelli della pubblicità e quelli del marketing; ci stanno i fornitori di credito, pure quelli della logistica, giù fino ai commercianti, tutti in credito di rischio che, a compenso, reclamano il profitto. Orbene, rischio per rischio, quale Impresa vuol correr quello, con la pandemia, di trovarsi costretto nelle catene di approvvigionamento del vecchio paesello che è tanto bello? Ci siamo, l’ora batte. Un modo nuovo della produttività s’affaccia: quella interfattoriale. Per schivare la sorte del campanilismo di ritorno, tocca investire il profitto da rischio per remunerare chi, con la spesa, quel rischio lo abbatte. Niente paura: nell’Economia dei Consumi, proprio dove l’esercizio dell’acquisto e della consumazione chiudono il cerchio, dando continuità al ciclo produttivo, viene sottratto rischio all’impresa. Il remunero del rischio, riallocato per dare sostegno alla domanda, tiene attiva la funzione consumo; per i Produttori un investimento che rende efficiente la gestione dei fattori della produzione, garanti dell’utile d’impresa. Se viene a ridursi il prezzo delle merce si rende competitivo il prodotto; viene rifocillato il potere d’acquisto per poter avere ben più di quel-che-serve-per-vivere associando, insomma, l’acquirente alla „ditta“. Già, solo con i Consumatori, azionisti della filiera, le catene potranno compiutamente approvvigionare il valore sventando le “catenelle caserecce” che legherebbero chi, proprio nel globo interconnesso, trova il meglio tra i multifattori del vantggio comparato; aggregarli per confezionare al meglio ed esportare. Signori, il tempo stringe. Questo Trattato che fin ieri aveva l’ambizione di poter fornire gli input per riparare il danno, generato all‘economia da una stagnazione congenita, oggi può farsi antidoto economico/produttivo affinchè la pandemia Covid19 non degeneri in quella della penuria. * 21 marzo. Il Future, scadenza maggio, sul petrolio misura il disastro causato dal forte divario di fondo tra offerta in eccesso e domanda prosciugata a causa del blocco delle attività da coronavirus. Gli stock di greggio poi sono pieni; le petroliere spesso non sono in grado di svuotare il carico. I prezzi sono andati a picco e ieri il Nymex, alla Borsa merci di New York, ha dovuto accettare che i prezzi finissero, fino a meno €33.99. ** Il modo, insomma, per poter eliminare quella fattispecie di “reato economico”che si scorge quando non viene limitata la differenza, nella propensione al consumo, tra chi dispone meno di quel che deve spendere e chi ha più di quel che spende, rendendo inefficiente il contributo dei diversi operatori della spesa alla generazione della ricchezza. Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 8 settembre 2020

RIALLOCARE LA RICCHEZZA PER ANDARE OLTRE LA PANDEMIA Toh, toccava ancora uscire dalla crisi. Ci siamo ritrovati ficcati nella pandemia: per poter uscire dalle nebbie comincia a farsi strada la necessità di ripristinare la capacità di acquisto dei Consumatori. Viene in mente che, per farlo, occorra riallocare in altro modo la ricchezza che il meccanismo economico genera. Al solo bisbigliarne la possibilità, politici di sinistra divagano; quelli di destra nicchiano, quelli di centro.. boh! Già, la politica, tutta fuoco e fiamme, parla d’altro mentre la crisi rigurgita crisi. Bene, diamo un’occhiata: nel sistema economico i redditi vengono distribuiti in funzione del contributo fornito dagli agenti economici alla produzione del Valore. Funziona pressappoco così: i Produttori producono ed incassano profitto, ne trasferiscono una parte a quelli che lavorano alla produzione come reddito; i Consumatori quel reddito lo spendono. Quando sul mercato stazionano più merci di quelle che il reddito disponibile dei Consumatori consente di smaltire, quell’eccesso svaluta il valore di quella produzione, riduce il contributo dei Produttori, brucia ricchezza. Così si è entrati dove siamo adesso. Se invece i Consumatori dispongono di reddito adeguato a smaltire, viene restituito valore a quelle merci; quelle merci, ancorché consumate, debbono essere ri-prodotte generando nuovo valore, nuovo lavoro e crescita economica. Così si dà una stoccata alla crisi. Qui si mostra il pasticcio: nell’economia dei consumi questo straordinario contributo, fornito alla produzione del valore, non trova remunero. Et voilà l’opportunità: riallocare le risorse economiche generate dalla crescita per remunerare quest’esercizio del consumare, buono a guadagnare altra crescita. Una scommessa che la politica, quando smetterà di parlar d’altro, dovrà giocare tutto d’un fiato per andare oltre la crisi e, magari, ritrovare pure credito di ruolo. Una dritta: nell’Economia dei Consumi con la spesa si genera lavoro e lo si remunera! D’accordo, pure quella pubblica; fa meno d’un quarto della crescita, come quella per gli investimenti delle imprese; il resto, e che resto, invece la fanno i consumatori. Dunque se tanto da’ tanto, tocca alla politica farsi carico di defiscalizzare proprio quelle imprese che, nel farla, investono per attrezzare business che fanno utili se e quando i consumatori, che comprano le loro merci, rifocillano il potere d’acquisto. E per le imprese renitenti, dite? Beh… magari dovranno pagare dazio al fisco! Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 1 settembre 2020

METTI CASO SI SIA ROTTO L’INCANTO DELLA SPESA

Siam tutti dentro un loop che scuote e sganghera! Metti che nel primo trimestre del 2020 il reddito delle famiglie consumatrici diminuisce dell'1,6% rispetto al trimestre precedente, mentre la spesa per consumi finali si riduce del 6,4%, come ha reso noto l'Istat. Aggiungi che il potere d'acquisto delle famiglie risulta diminuito, rispetto al trimestre precedente, dell'1,7% a fronte di una sostanziale stabilità dei prezzi. Ehi, d’accordo tutto questo ma c’è pure dell’altro: il 70% di chi lavorava ha mantenuto il lavoro; pure la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, stimata al 12,5%, risulta in aumento di 4,6 punti percentuali rispetto al quarto trimestre 2019. Cavolo + 30 mld i risparmi! Metti pure che, con il lock down, si sia rotto l’incantesimo della spesa; quella che fa esecrare i Sociologi, per dovere d’ufficio scagliati contro quelli “prodighi e men che mai satolli”. Giust’appunto, quell’incantesimo dello spendere, melodiato che so… dalla Farragni, pagata a suon di 55.000 Euro a post. Metti caso che, prima della pandemia, invece che cibarsi si ingrassava, si vestiva alla moda che passava di moda, che per andare da qui a lì si aveva un Suv. Metti che, chiuso in casa, hai avuto il tempo di pensare prima di ingurgitare quel che trovi in tavola, poi guardi nell’armadio e lo vedi zeppo di cose non messe; magari sogni pure di poter andare a zonzo a piedi. La statistica si impiccia e…” quelli che restano in casa, il 34% degli italiani, dedica molto più tempo alle migliorìe domestiche; un quinto sta sperimentando il fitness virtuale, trovandosi bene e la metà di loro sceglierà anche in futuro questa modalità, svolgendo gran parte dell’attività fisica da casa.” Cavolo, talmente lacero l’incanto della spesa da non approfittare neanche nel veder calare l’andamento dei prezzi: secondo quanto stima l’Istat l’indice dei prezzi al consumo è stato negativo, a luglio, dello 0,3% su base annua e dello 0,1% sul mese. Terzo dato a segno meno, dopo il -0,2% registrato a giugno e a maggio. Amarus in fundo, l’emergenza Covid ha riportato i consumi ai livelli più bassi degli ultimi 25 anni. Ecco, appunto, tra il detto, lo sperato o il disperante, l’utilità della spesa sembra farsi marginale. Tatatà… nell’Economia dei Consumi quando questo si mostra, l’utilità marginale della domanda, al contrario, trasale. Quando si giunge al trasalimento, un mercato efficiente deve farne il prezzo. Massì, il prezzo del valore di quella domanda con cui viene generata la ricchezza; che fa ri-produrre, genera il lavoro, lo remunera, da sostanza alla crescita e continuità al ciclo economico. Già, vi è più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre. Bene, per poter uscire a riveder le stelle, questo prezzo dovranno pagarlo tutti quegli agenti produttivi che potranno trarre beneficio dallo stare dentro un ciclo che gira a mille. Toh, vuoi vedere che la rottura di quell’incanto può esser messa a profitto? Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA