giovedì 27 marzo 2014

CRISI: PARADIGMA SCACCIA PARADIGMA

Ci sono notizie gustose, come la ciliege: “Cento trilioni di dollari sono tanti, troppi soldi e in soli 7 anni sono lievitati come il pane: dal 2007 ad oggi, il debito è aumentato del 40%, passando  da 70 a 100 trilioni.”
E, come per le ciliegie, una notizia tira l’altra:
Secondo la Bri, il "lievito madre" di questo debito sono stati i Governi mondiali e le loro politiche economiche, intenti a salvare il sistema finanziario dal default. Basta guardare la situazione degli Stati Uniti d'America, Paese da cui la crisi ha avuto origine: qui il debito è passato dai 4.500 miliardi di dollari agli attuali 12 mila miliardi.
Poi un’altra ancora:
Dal 2007 la base monetaria degli Stati Uniti è salita da $800 miliardi a $3.7 bilioni. Quantitative easing come se piovesse”
Fiuuuuuuu, questa maledetta crisi!
Ennò, cocchi, questi non sono gli effetti, queste sono le cause della crisi!
Già, le cause, quelle della strutturale sovraccapacità produttiva che ha imposto dazi al mondo. Cos’altro sono le tecniche di reflazione, messe in campo per dar sostegno alla domanda, che spandono moneta da dare a credito che diventa debito? Dazi appunto, da pagare per ripristinare il valore di merci altrimenti svalutate.
Tal credito rifocilla portafogli smilzi che acquistano quel che possono: si smaltisce l’eccesso, non scendono i prezzi. Due piccioni con una fava: quella del debito.
Quel debito passato di mano in mano, quando si fa inattingibile diventa debito sovrano. Così si è giunti a bomba.
Ricominciamo daccapo, dall’alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi.
In un mercato efficiente, quando la domanda si mostra in eccesso perché i redditi erogati sono insufficienti ad acquistare quanto prodotto, i prezzi scendono, si ripristina l’equilibrio.
In un mercato inefficiente, invece, grida disumane accompagnano il fatto: deflazione, deflazione!
Giammai, gridano i più. Armati di un vecchio paradigma* che accredita i produttori generatori di ricchezza, rivendicano il credito, armando una canizza che confonde valore e prezzo.
Eggià, quando il liquido monetario comincia a scorrere il gioco è fatto: quel valore incontrando un potere d’acquisto dopato, fa un prezzo fasullo; viene così generata  ricchezza, altrettanto fasulla.
Venuti al pettine i nodi, indebitati oltre misura gli indebitabili, quella ricchezza, già fasulla, immiserisce.
E quando si arriva alla fine della fiera nel mercato, liberato dagli anabolizzanti deflattivi, si scorge l’altro, l’inaudito. Un  nuovo valore, per un nuovo paradigma,** quello delle risorse messe in campo per fare la crescita, impiegate da chi fa la spesa.
Ristorato quel valore della spesa, che smaltisce sovraccapacità, viene rivalutato pure quello della produzione.
Toh, pure così due piccioni con una fava ma senza debito!
Ok, il prezzo, quello giusto conviene a tutti, pure per  rimettere quel debito già fatto.
*Il vecchio paradigma recita: Le imprese producono beni, valore che genera ricchezza; creano occupazione, con il lavoro forniscono reddito; danno ristoro ai bisogni.
**Il nuovo paradigma recita: L’acquisto trasforma il valore in ricchezza, la consumazione del prodotto genera input per nuova produzione, viene così fornita  continuità al ciclo, sostanza alla crescita.

Mauro Artibani


giovedì 20 marzo 2014

Due crisi, una soluzione



Visti gli atti e i fatti di questa crisi; visti i vizi e gli stravizi degli Agenti Economici coinvolti;  sconquassata la produttività totale dei fattori: cacchio, del doman non v'è certezza.
Già, i fattacci dei fattori: si ferma la spesa, si ferma il  Consumo; se poi il Capitale sottoremunera il Lavoro perchè sovrapproduce,  fa aumentare ancor più il sovrapprodotto.
Oplà, bassa la produttività del quel capitale, mortificata quella del lavoro; addirittura inagibile quella del consumo; non se la passa meglio un altro agente, la Terra, ch'eppur monopolista del monopolio sconta produttività al collasso.*
Fiuuuuu! In questo tempo impervio altro che crisi: crisi doppia, quella della produzione e quella della generazione. 
Si, insomma quella economica e quella ecologica; la sovraccapacità della prima, il sovraccarico della seconda. 
Per porre rimedio al danno, da decenni si è ritenuto dover fare politiche monetarie, scagliando bombe di reflazione  contro la deflazione, ottenendo l'effetto collaterale di sterilizzare il suo contrario: l'inflazione.Gulp!
La deflazione invece ringalluzzita sta lì, incombe, in barba ai Policy Maker. Teniamolo a mente. 
Incombe ancora la sovrapproduzione, tutta. La Terra, addirittura, inciampa contro un'impronta tanto profonda da farle lo sgambetto. La crisi degenera in crisi di sistema, tanto che nemmeno la solita crescita riesce a debellarla. 
Quella crescita che mostra la corda, che per rifocillarsi  ha bisogno di trovare nuovi equilibri. 
Nuovi, appunto, per dare risposta pure a chi, con fiero cipiglio, dubita della crescita senza se, senza ma. 
Bene, chi tra gli anzidetti agenti, sarà in grado di dare adeguata risposta a tal imperativo?
Ci sono i Consumatori. Possono vantare un sacco di credito e passare quindi all'incasso. Quel ristoro, buono per rifocillare il potere d'acquisto che serve a fare quella spesa in grado di scongiurare la deflazione.
Già, occorre remunerare quella spesa. Giammai con l'aumento del reddito che aumentando il costo del lavoro fa danno alla produttività; con la riduzione dei prezzi, invece, l'impresa aumenta quella capacità competitiva che smaltisce le sovraccapacità per tornare a fare utili.
Si dirà: pure questa è deflazione.** 
Già, programmata però!
Ordunque, così si può tornare alla crescita; per farla "buona" occorre fare altro.
E, se è pur vero che la domanda comanda, non si può riposare sugli allori: oltre gli onori ci stanno gli oneri. 
Per farla breve, occorre mettere in campo la responsabilità; condita con un po di convenienza, meglio!
Responsabilità, appunto, e se domanda s'ha da fare che domanda sia. Di merci ipoenergivore ed eco-compatibili, finanche immateriali, per alleggerire il sovraccarico antropico.
Lunga vita alla Terra, insomma e godere a lungo i ristori economici che si intravvedono.
Ci sono i termini per un' alleanza che non t'aspetti con questa nuova Terra, agente generante il tutto ed accogliente grembo che poi smaltisce il residuo.
Questa Terra siffatta genera materia, il lavoro la trasforma in materiale, l'impresa ne fa poi merce, il Consumatore l'usa facendone un residuo buono da rigenerare. Il cerchio si chiude, il meccanismo gira e rigira, si genera ricchezza.*** 

*Allarme rosso: lo segnala la profondità dell'orma lasciata sulla terra "dall'impronta ecologica". La spia dell'improduttività, messa lì a misurare l'area biologicamente produttiva  necessaria per rigenerare le risorse impiegate dal genere umano e per riassorbirne i rifiuti prodotti.
 
**Alla faccia della perfida deflazione. Francesco Daveri riferisce che, tra il 1990 e il 2012 in Giappone i prezzi al consumo sono scesi del 12 per cento. Nello stesso periodo di tempo il Pil è salito complessivamente del 22 per cento. 
Caspita, tra aumento del potere d'acquisto ed aumento del reddito,  i consumatori con gli occhi a mandorla, ad occhio e croce,  hanno messo in tasca  un + 1,54 % l'anno e l'occupazione ai massimi. 

***Il dire di Bataille, in proposito, illumina: "a mio parere, la legge generale della vita richiede che in condizioni nuove un organismo produca una somma di energia maggiore di quelle di cui ha bisogno per sussitere. Ne deriva che il sovrappiù di energia dsponibile può essere impiegato o per la crescita o per la riproduzione, altrimenti viene sprecato."

Mauro Artibani
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giovedì 13 marzo 2014

PREMIER, LA PREGO, NON CI PROVI



Il cuneo fiscale s'ha da tagliare, dicono in coro quelli che sanno. Per uscire da questa maledetta crisi occorre restituire capacità competitiva alle imprese e capacità di spesa a chi lavora.
Già, le risorse a disposizione però sono quel che sono, non c'è la trippa per tutti i gatti!
Tagliare Irap o Irpef, questo il problema.
Il Premier taglia la testa al toro e: «Mi ci gioco la faccia, mercoledì taglio le tasse di dieci miliardi e andranno tutti alle famiglie. Stiamo lavorando ad un piano articolato che prevede più cose, ma sono soldi che entreranno nelle busta paga degli italiani».
Giusto? Giusto, perchè se la crescita si fa con la spesa, meno con la produzione,  quella delle famiglie ne fa il 60%.
Ah, beh, allora se sgravio ha da essere che sgravio Irpef sia, altro che Irap!
Sgravati non a tutti però, solo a quelli che hanno meno perchè sono quelli che spendono di più.
Perché la manovra funzioni, spiegano i tecnici del settore, il taglio deve essere «senza precedenti» ma soprattutto deve garantire che, chi troverà il bonus sulla paga, lo spenda e non lo lasci nel cassetto. La questione è ben chiara al governo che intende concentrare gli sgravi sotto i 25 mila euro lordi di stipendio annui. In questo caso il ragionamento che si sbircia nei documenti non ufficiali dice che la propensione a spendere cresce con i redditi più bassi. Giusto allora concentrare la misura sui più poveri.
Le simulazioni dicono che, se il bonus si concentrerà sui redditi fino a 15mila euro, si potrebbe arrivare a 80 euro al mese per famiglia.
Oltre le simulazioni però ci stanno i fatti. Ecchè fatti, questi: Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa. L'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che,  proprio lo scorso anno, il reddito disponibile risulta pari a 1.032 miliardi di euro rispetto ai 1.033 del 1988.
 Nel solo 2012, a fronte di una flessione del prodotto interno lordo del 2,4%, il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 4,7%.
Poi ancora altri fatti: le merci e i servizi, per numero e volume, che sono arrivate sul mercato dall'88 ad oggi.
Alla rinfusa: Pc, note book, i-pod, i-pad; telefonini che poi si fanno smart; televisioni che si fanno piatte poi a cristalli liquidi, lcd poi ancora a led; la "moda pronta" poi quella prontissima; ancora, a pagamento, la sosta come la pipì, l'acqua in bottiglia che sostituisce fontanelle asciutte; non mancano neppure i ticket sanitari, bollette e abbonamenti di tutte le risme in tutte le salse e chissà quant'altro ancora.
Incrociati i dati e shakerati ben bene: chi può, con ragione, supporre che quel gruzzolo che si intravvede  dato a famiglie mal messe possa essere in grado di compensare qegli 88ini smilzi redditi, alfin di acquistare tutto quel bendiddio che ingolfa il mercato per andare oltre la crisi?
Premier, la prego, non ci provi: le scaltrezze hanno le gambe corte.
Essipperchè, se è vero che il taglio Irpef male non fa, non ce la fa però a rivitalizzare quei bassi redditi che fanno la spesa. Figuriamoci quei redditi che ne sono esclusi.
Premier, la prego ci provi: occorre farsi eretici perchè, dopo aver tagliato, occorre disattivare pure tutte le politiche reflattive agenti; chieda al Ministro Padoan, lui sa di cosa parlo. Proprio quelle che hanno alterato il meccanismo di formazione dei prezzi, rendendo ancor più insufficienti i redditi per fare tutta la spesa che serve per fare la crescita.
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Mauro Artibani
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giovedì 6 marzo 2014

CRISI, L' OCCASIONE DELL' OCSE



L'Ocse, in quel di Sydney dice : "Going for Growth 2013".
"Verso la crescita" , insomma, a tutto dire. Dice pure come: « proseguire il riequilibrio della tutela del lavoro, spostandola dalla protezione del posto di lavoro a quella del reddito del lavoratore».
Come? Beh, bisogna passare attraverso la riduzione del cuneo fiscale e il miglioramento della rete di protezione sociale.
Lì dentro sta scritta l'ipotesi di un riequilibrio tra posto di lavoro e reddito per consentire di «migliorare la produttività, in quanto favorirebbe una migliore distribuzione della forza lavoro verso utilizzi più produttivi».
Boh, non mi è del tutto chiaro.
Ben più chiaro, tra le righe, si intravvede il neo-precetto: viene ribaltato l'antico principio che sia il lavoro a generare il reddito.
Essipperchè, quel che la crisi mostra e l' Ocse vuole contrastare sta in un maledetto garbuglio: si licenzia per ridurre la sovraccapacità produttiva delle imprese; si remunera poco quel che resta del lavoro che ancora sovraccaproduce. Et voilà: redditi insufficienti ad acquistare quanto prodotto e le sovraccapacità restano intatte, anzi aumentano.
Eggià, da questo mix scellerato è nato quel processo di desertificazione industriale che ha portato, nel tempo, alla perdita di oltre 135 miliardi sui ricavi, nel giro di 5 anni. Quello che spaventa, però, non è tanto il fatto che la perdita sia stata cospicua, quanto il fatto che per riuscire a difendere i ricavi, a dispetto dei margini, il sistema industriale italiano ha registrato un cambiamento del proprio DNA: stando alle cifre di Prometeia, infatti, gli utili dell’industria italiana nel 2008 erano quasi 18 miliardi, nel 2013 si sono ridotti a poco più di 4.
ancora eggià, quando Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa questo è il minimo che possa capitare: l'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, nel 2013, il reddito disponibile delle famiglie italiane torna ai livelli di 25 anni fa. Quell 'Ufficio evidenzia che, nello stesso anno, il reddito disponibile e' pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Giust'appunto, per spezzare quel garbuglio quelli dell' Ocse mettono in campo "Il tentativo di fare azioni per rilanciare imprese e lavoro", come dice Giannino.
Ennò, intendiamoci: che questo s'abbia da fare è un conto, che lo si possa fare con un carico aggiuntivo sulla spesa pubblica credo sia difficile da sostenere.
Ennò, appunto, perchè quel nuovo precetto, sdoganato dai Nostri, fornisce un'altra chance: sia il reddito a creare quel lavoro!
Quale reddito?
Quello che il Pil mostra. Quei, pressappoco, 1500 miliardi di euro di reddito ch'eppur questa malandata economia ogni anno ancora genera.
Orbene, tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.
Non è un bluff: la crescita si fa con la spesa!
Così viene generato altro reddito che serve a fare nuova spesa. Quella spesa che smaltisce quelle sovraccapacità ripristinando il valore del prodotto e del lavoro che produce e, vivaddio, rimette in equilibrio il sistema.


Mauro Artibani