lunedì 30 dicembre 2013

PER UN DOMANI FUORI DAL CUL



Già, il cul-de-sac del sistema economico.
Quella fattispecie che si è determinata quando i redditi da lavoro risultano insufficienti per acquistare le merci prodotte. 
Due le opzioni per andare oltre.
La prima, quella del mercato efficiente: deflazione, ovvero riduzione dei prezzi per aumentare il potere d’acquisto del reddito.
La seconda, quella del mercato sotto tutela: reflazione. Si acquista a debito: quello sollecitato dalle politiche monetarie; quello fatto dai consumatori, ficcato dentro l’economia ha tentato di surrogare quell’insufficienza fino a far saltare i conti.
Per uscire dall’impasse, si ficca dentro nuovo debito, quello pubblico, fragilissimo. 
Politiche keynesiane, quelle degli sgravi fiscali, ancor quelle di sostegno alla crescita hanno prosciugato le casse statali e la recessione economica non recede. Recede però la capacità dell’impegno pubblico di dare ancor sprone all’economia: deficit e debiti hanno il fiato grosso.
Si paventano default che sollecitano tagli di spesa. 
Il welfare traballa: tagli ai costi delle casse di previdenza, ai costi della spesa sanitaria, a quelli dei servizi sociali; meno lavori pubblici, riduzione di stipendio ai pubblici dipendenti.
D’acchito: pensioni e stipendi contratti, pezzi di sanità a pagamento, servizi assistenziali privati del sostegno pubblico. 
Ergo, aumenta la spesa privata, ancormeno reddito a disposizione: nuovo debito privato, minore capacità di sostenere la domanda; riduzione della capacità contributiva, debito pubblico incomprimibile, dal costo insostenibile.
Bene, anzi male, malissimo, però tant'è. 
Per un  domani fuori dal cul, auguri a tutti, tanti, tanti; tenendoci stretti, stretti!

Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

domenica 22 dicembre 2013



La ricchezza, generata dalla crescita economica, remunera il lavoro occorso per far crescere l’economia.
Crescita, insomma, per il tornaconto di tutti.
Non è, però, tutt'oro quel che luccica. 
L’impronta ecologica che la crescita lascia si mostra grande come il mondo; al fare responsabile solo un misero resto. 
Per chi lavora nella produzione, con il reddito ancorato all’aumento della produttività, più si cresce più torna il conto del reddito; salva la responsabilità del pater familias.
Per l’amministratore delegato, che organizza al meglio i fattori produttivi, più crescita, più bonus e tanta responsabilità verso gli amministratori deleganti. Questi, che dalla crescita ottengono utili, responsabilmente li distribuiscono agli azionisti che responsabilmente, per dirla con Friedman, incassano il profitto. 
Per le imprese del commercio, su per giù lo stesso refrain: quella crescita produttiva occorre venderla, a tutti i costi, per incassare. 
Agli uomini di marketing il compito di produrre domanda che smaltisce l’offerta, offerta dalla crescita; quelli della pubblicità fanno in modo che quella crescita incontri acquirenti, dia i suoi frutti: tutti insieme fanno questo responsabilmente, incassando laute parcelle.
Per l’industria finanziaria finanziare la crescita, fornire credito per produrre e per consumare, incassando per il tornaconto dei prestatori; sotto stress al test della responsabilità.
Per i politici quando la crescita si fa ricchezza va distribuita, questo il loro mestiere. Guadagnano consenso e potere; raccattano fragili maggioranze elettorali che vanno coccolate, sacrificando forse l’interesse e la responsabilità generale.
Per i consumatori ruolo ingrato: non guadagnano, spendono più di quant’hanno, acquistano più di quanto devono; smaltiscono a “più non posso”, inquinano. Responsabilità: pah!
Insomma, facendo la somma, tornaconti dispari; la responsabilità poi: ognuno per sé, Dio per tutti. 
Il giocattolo della crescita mostra gli anni, gli interpreti invece gli affanni: ruoli opachi, business abborracciati, meccanismi crippati, risorse sprecate, valore bruciato; margini ridotti, crediti inattingibili, debito per tutti; l’ambiente puzzolente, degradato e, e, e…
Tra tanta insufficienza, sembra scorgersi una chance. Là dove quelli che della vita spesa a fare la spesa fanno lavoro, che con quella spesa generano la crescita – clienti di quel tutto reso merce, poi consumato, poi smaltito; quel tutto che sta dappertutto e lascia tracce indelebili – si ha l’opportunità e la convenienza a fare meglio. Meglio per tutti. 
Sì. Fare, oltre la pratica dilettante e torna il tornaconto nell’acquistare: al mercato gestire una domanda ecosostenibile e pro-redditizia, il no-packaging per esempio; condizionare il prezzo e la qualità dell’offerta; poi fare offerta, mettendo a profitto le risorse immateriali ed ecocompatibili dei consumatori, per rifocillare il reddito. 
Torna utile e fa utili governare i processi di crescita che tengono in ordine quel mercato che abita tutto: l’ambiente appunto, la Terra. Quella terra sulla quale poter camminare lasciando tracce delebili.
Possibile coniugare crescita, tornaconto e responsabilità.

Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

giovedì 19 dicembre 2013

CHE BRUTTA FACCENDA QUELLA DEI DEBITI SOVRANI


Già, dove siamo oggi con la faccenda dei debiti sovrani? 
La FED continua a comprare mensilmente circa 85 miliardi di $ in titoli obbligazionari, ritardando cronicamente un taper del QE. In cinque anni i suoi acquisti di obbligazioni sono arrivati a più di 4 bilioni di $. Sorprendentemente, in una nazione apparentemente di libero mercato, il QE è diventato il più grande intervento nei mercati finanziari mai visto nella storia del mondo.
Per tutta risposta, la ripresa economica Usa continua a ritmi compresi tra modesti e moderati, lo scrive la Federal Reserve nel Beige Book del 6/12/13. 
Fiuuuuuu! Anche dai calcoli più ottimisti della FED, il QE in cinque anni ha prodotto negli Stati Uniti solo pochi punti percentuali di crescita. Esperti maligni, come Mohammed El Erian di Pimco, suggeriscono che la FED possa aver creato e speso più di 4 bilioni di $ per un ritorno totale dello 0.25% del PIL (cioè, solo un aumento di $40 miliardi nella produzione economica degli Stati Uniti). Entrambe queste stime indicano che il QE non sta affatto funzionando.
Il debito invece ha raggiunto vette astronomiche.
In Europa invece, dove si è scelta una strada affatto diversa per far fronte alla crisi, come va?
Fiuuuuuu! Da questa parte dell'Atlantico ci si ritrova a fare i conti con il "consolidamento fiscale", ovvero tentare di fare crescita riducendo il debito.
Struggente l'iperbole. Diamo un'occhiata ai risultati della giurisdizione Italia.
Lo stato, con un debito di 2065 miliardi ed un costo di quel debito di 90 miliardi l'anno, per rimettere in sesto i conti deve tagliare. Taglia l'erogazione dei servizi, parte della spesa corrente; non sostituisce chi va in pensione nè rivaluta da 4 anni gli stipendi degli oltre 3 milioni di dipendenti ancora nel libro paga.
Toh,la spesa pubblica che riduce la spesa, riduce pure il potere d'acquisto dei dipendenti; le imprese, con tale andazzo, fanno quel che possono: quando va male chiudono, quando va meno male, non spendono per investire, riducono l'occupazione e pure i salari.
Una spending review tira l'altra, i dati mostrano lo sconforto:
Hanno cessato l'attività più di un 1,6 milioni di imprese tra il 2009 e oggi. Lo dice il rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese. Sempre quelli dicono pure che, nel 2013, le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre dieci anni, con il 69% delle famiglie italiane che nell'ultima parte dell'anno hanno ridotto o peggiorato la loro capacità di spesa.
La deflazione salariale in atto non sembra in grado di risolvere i problemi, anzi li crea: meno spesa che smaltisce il prodotto, meno imprese a ri-produrlo.
Si innesca una reazione a catena che va dalla riduzione salariale a quella dei prezzi che non svaluta il debito anzi lo rivaluta: un giochino perverso insomma che non lascia scampo.
Nella zona Euro, a conti fatti non va meglio: l’aumento di 24 punti nel rapporto debito-Pil rispetto ai livelli pre-crisi sta lì a dimostrarlo.
Cacchio: debito si, debito no, debito ni; quelli di là, quelli di qua, quelli di sopra e di sotto, siamo ancora qui, in mezzo alla crisi.
Bando alle ciance dei keynesiani, dei monetaristi, dei liberisti; che abitino a Chicago, Vienna o in ogni dove, occorre cambiare registro! 
Si scorge all'orizzonte una ragione economica tutta nuova, non v'è debito da fare né da rimettere. 
Suona pressappoco così: La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.
Si può provare!
Mauro Artibani
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venerdì 13 dicembre 2013

I CONSUMATORI HANNO TORTO. TORTO MARCIO


Sta in piedi davanti al leggìo ma parla a braccio: A quei conigli gliela faccio pagare! 
Con un latrato inizia, bofonchiando numeri continua: Rispetto alla media degli ultimi cinque anni 2 milioni di auto nuove immatricolate all'anno; in 42 mesi di cali continui si sono perse per strada il 35% delle immatricolazioni.
Capito, hanno deciso che per andare da qui a lì si possa andare a piedi. Hanno deciso pure di mangiare meno, non ingrassare e fare meno fitness. Usano addirittura l'usato per non vestire alla moda che passa di moda.
Signori, questa non è la crisi dei consumi, è quella del consumare. Questi impiastri, in 5 anni fanno -9 e noi costretti a ridurre la produzione del 25%. Chiedono meno prestiti in banca e più d'uno manco li restituisce. Fanno combutta, addirittura, con Groupon, pure con Groupalia. Si, insomma con quella roba là, per risparmiare. Dicono che mancano i soldi per fare la spesa; uno di loro addirittura lo scrive: "I redditi erogati dalle imprese, a chi lavora per produrre merci, risultano insufficienti ad acquistare quanto prodotto."
Focoso, ribatte: se lo acchiappo lo sfondo ‘sto capo 'mpiastro. S'approfitta coi suoi, fa finta di non sapere che se paghiamo di più il lavoro pure le nostre merci costano di più. Eppoi chi le compra, se quelle dell'altra parte del mondo costano di meno. Sempre quel coso... dice pure dell'alta disoccupazione. Dell'inoccupazione al 37%, invece, non dice niente. Eggià, basta non essere occupato, così ti mancano i soldi, non spendi. Se poi ti vedono i figli  farlo, lo fanno pure loro cosi magari ti ritrovi 2.200.000 neet che appunto non lavorano e manco studiano. Massì, così fanno tombola e non comprano manco uno sputo.
Mentre fa la chiosa da bar pensa pure: Porc…, quando quelli che lavorano da Amazon, verranno sostutuiti dai droni volerà la produttività dell'impresa e quando questi senza lavoro cominceranno a non fare la spesa calerà però la produttività dell'intero sistema. Cacchio, i fattorini possono essere sostituiti dai droni, i consumatori dal fare la spesa no!
Tra il detto ed il pensato si impantana.
Gli arriva sul tablet un tweet: " ti vedo impallato, ti do una mano". 
A stretto giro gliene arriva un altro: "la crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera." 
Porcoggiuda, quel bastardo mi sta a sentire!
Incassa il colpo, fa finta di niente, anzi ribatte: tra noi c'è un infiltrato, dice che la crescita si fa con la spesa, non con la produzione e nemmeno con il lavoro. Vi fischiano le orecchie?
Li sprona. Si impegna, la prende alla lontana: vi ricordate che abbiamo pure ridotto il ciclo di vita dei prodotti, Niente! Cost'aria che tira e i magazzini ancora pieni chi di voi vorrà mettersi a produrre?
Quel fischio diventa ronzio.
Incurante incalza: Tocca fare tattica. Se non si investe per produrre tocca investire per smaltire il prodotto. Se abbassiamo i prezzi ridiamo fiato al loro potere d'acquisto. Capito? Li staniamo, non potranno più sottrarsi alla spesa e nemmeno al dovere fiscale dell'iva. C'è pure un poi. Chi di noi taglierà sarà più competitivo, finirà col vendere così poi potrà ricominciare a produrre.
Pazienti e attenti hanno atteso gli Astanti; attoniti, ora si defilano. 
Non tutti. Uno gli passa accanto, gli strizza l'occhio.

Mauro Artibani
http://www.capiredavverolacrisi.com/il-vero-motore-della-crescita-sono-i-consumatori/

giovedì 5 dicembre 2013

LA GRANDE FAVOLA DELLA PRODUTTIVITA'


C'era una volta Anchise, con la sua impresa vendeva vino, non faceva granchè.
Quando arriva a governare la baracca, Luca, suo figlio, fa quel che andava fatto per rimettere insieme i cocci. 
Con l'automazione aumenta la resa di alcuni processi; con poca gente, e tutta astemia, fa il resto: carica l'uva, spreme l'uva, la fa fermentare, scarta la vernaccia; mette bottiglie, leva bottiglie, le rabbocca ben bene, con il tappo le attappa... e vai: nessuno a tracannar, manco a far cicchetti; niente ciucchi a rallentare i processi.
Fa di più: riduce il costo del lavoro. Giust'appunto di un mercato del lavoro sovraffollato, approfitta: riduce i lavoranti, le ore di lavoro e pure quanto mette loro in tasca. Che gli importa. I suoi clienti bevono, mica sono astemi.
Fa bene il suo lavoro, aumenta la produzione, ancor più la produttività; lima pure i prezzi, si rifà competitivo.
C'era pure Giuseppe. C'era, se n'è andato. Ora tocca a Giulio, amico di Luca, che deve rimettere in sesto l'antica bottega del trapassato genitore.
In onor suo lo fa. Fa strumenti musicali, ficca dentro l'automazione fin dove è possibile. Il resto s'ha da fare con la gente che gli serve. Tutti opportunamente sordi, non cercano i suoni, non battono, non pizzicano, non sparano fiato, anzi alacri piegano tubi, stendono pelli, incollano legni.
La paga? Quel che passa il convento! Tanto loro non comprano musica.
Si, insomma, fa come Luca: stessi eroici genitori, stessa scuola di Management.
Non c'è 2 senza 3, 4, 5, 6: Franco, Claudio, Antonio, Marco; tutti junior, pure loro figli di cotanto padre, a fare merci.
Con un mare di latte fanno fare dolci a diabetici che stanno a dieta; stampare giornali ad illetterati. Pure far fare farmaci a gente che scoppia di salute e che manco si assenta per malattia: bella no? Marco fa ancor di più, non ha bisogno di alcuno, prende il già fatto e lo smercia in rete.
Beh, che dire, quando si smuove quella sempiterna dottrina economica, avvolta nel tricolore, loda e accredita il fatto, cos'altro vuoi dire!
Menager insomma, ecchè menager. Stirano al massimo le risorse produttive che hanno a disposizione. 
Con una reputazione tanta, incasseranno lauti profitti.
Incasseranno?
Già, quelli in salute, dopo aver acquistato quel che gli tocca, avranno ancora spiccioli per farsi una bevuta? 
E al diabetico resterà quanto gli serve per acquistare salute? 
Gli astemi, è noto, non bevono, mangiano però robe di zucchero. Quando possono!
Gli illetterati poi mettono una pezza al leggere suonando. Se non possono, fischiettano!
Lo vedo male Marco vendere a quegli irretiti dalla rete che  mancano del becco d'un quattrino per abboccare all'amo. Non vedo meglio Claudio che con i giornali non venduti il giono dopo incarta il pesce. Franco, forte? Un cacchio, quel latte in magazzino dopo tre giorni caglia: non ci fai più manco lo yogurt!
Non per tirargliela ma, approposito di latte, così finisce tutto in vacca: Claudio denuncia in Procura Antonio per procurato danno. Antonio ribatte citando per danni Marco che non se la tiene e fa un esposto a Franco che, incazzato, querela propio Luca e Giuseppe già denunziatisi a vicenda. Questo da la stura ad un vortice di corsi e ricorsi che dura ancora oggi.
Se questo fanno i Generali, la truppa fa pure peggio: botte dagli orbi ai diabetici, che timorati del sangue, arretrano; arretrando sgambettano proprio quelli abili: diversamente vendetta? Essì, vendetta, vendetta, tremenda vendetta: infuriati gli astemi bevono, si esaltano, si battono con chiunque gli si pari dinanzi.
Tutti contro tutti, insomma: quelli che hanno merci in magazzino ce l'hanno con quelli che non l'acquistano; quelli che rischiano il posto con quelli che li hanno pagati poco e quelli che hanno bisogno di acquistare, ma poco da spendere, con chi ha guadagnato poco.
Un trambusto tira l'altro ed un altro ancora, fin quando interviene quel molosso della quiete pubblica che prende al volo l'obbligo dell'azione penale e confeziona un bell'illecito economico: "Sconquasso da produttività aziendale". 
Alla sbarra quella sbandierata signora che aveva fornito ai Nostri il sostegno dell'ideologia economica. La dottrina che ha consentito di mettere in piedi proprio quelle imprese abborraciate.
Il capo d'imputazione, grosso così, recita: "Quella produttività d'impresa che pensa il lavoro come un costo da abbattere con gli stipendi da tagliare, mentre esclude la risorsa della spesa dal controllo dei processi. Proprio quella spesa, che quando non acquista, non fa quel che gli tocca e quando non può non smaltisce per far riprodurre, non crea occupazione e manco reddito."
Manca pur essa; non c'è, è stata vista altrove. Irreperibile, la signora viene dichiarata contumace.
Stretta la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia.
Mia, del Professional Consumer!
Mauro Artibani
http://www.capiredavverolacrisi.com/il-vero-motore-della-crescita-sono-i-consumatori/

venerdì 29 novembre 2013

UFFA 'STA SINISTRA!



Senza farla troppo lunga prendo a prestito quanto afferma un Signore di questa sinistra. Veltroni. Scrive, dando sfogo alla sua vis letteraria, ribadendo un luogo comune grosso così: "i produttori producono ricchezza". Non pago affonda il colpo ed aggiunge l'auspicio che si dia luogo alla "società dei produttori". Lo stesso auspicio che arriva dal presidente di Confindustria d'accordo con i vertici sindacali. 
Già, cosa c'è di meglio, nel pantano della crisi,  che mettere in scena la commedia di una bella società fatta da Imprese e da chi ci lavora? 
Personaggi che recitano la sovraccapacità produttiva, gli uni, mentre  gli altri la fanno con il lavoro. In platea stanno gli  interpreti, che non scorgono tale sconquasso. 
Va in scena, insomma, la commedia delle debolezze imprenditoriali, sindacali e pure quelle della politica.
Non se ne parla nemmeno grida Landini insieme all'altro pezzo della sinistra, rinverdendo  antichi furori tra capitalisti e comunisti, progressisti e conservatori, liberali e socialisti,  destra e sinistra.  
Capitale e lavoro insieme? Giammai, appunto!
Già, l'altra sinistra si crogiola con quelle  insindacabili nostalgie novecentesche.
Tra il male ed il peggio si mostra tutta l'inadeguadezza dei Nostri ad affrontare l'oggi ed il domani che la crisi impone.
Una sinistra, insomma, che impreca cose vecchie e quando tenta il nuovo spreca risorse scarse.
Essipperchè, quando la capacità produttiva delle imprese diventa sovraccapacità, viene svalutato il valore delle merci, svalutato pure quel lavoro che le ha prodotte. Due svalutazioni che bruciano ricchezza!
Sinistra dei miei stivali: la crescita si fa con la spesa, non con la produzione nè con il lavoro.  La spesa dei consumatori  fa il 60% del Pil.
Quando questi tizi questo fanno smaltiscono sovraccapacità, fanno ri-produrre: così si crea pure occupazione.
Capito Signori. Per questa via si può pensare di tutelare l'impresa ed il lavoro.
Già, e quando questa spesa manca sono guai. E, se voi state in tutt'altre faccende affaccendati, a chi toccherà rappresentare questi gloriosi agenti economici?

Mauro Artibani
http://news.you-ng.it/2013/11/14/i-segreti-della-crisi-you-ng-intervista-mauro-artibani/



giovedì 21 novembre 2013

ACCIDENTI, CI MANCAVA PURE LA DEFLAZIONE



Accidenti ci mancava pure la deflazione. Non si parla d'altro: c'è, non c'è? Fa bene, fa male?

Il leader degli industriali sottolinea la presenza di "una situazione di deflazione preoccupante" nel Paese. "Nonostante l'ultimo aumento dell'Iva, c'è l'inflazione in calo: significa che siamo in una situazione di vera e propria deflazione e questo è preoccupante". Il numero uno della Bce, Mario Draghi, che pur ha tagliato i tassi di interesse, non sembra altrettanto timoroso per il basso livello dei prezzi in un contesto di crescita fiacca. Un' indiscrezione del Frankfurter Allgemeine Zeitung, al quale una fonte anonima interna all'ECB avrebbe rivelato che Draghi sarebbe seriamente preoccupato del rischio deflazione in Europa, pur evitando di ammetterlo in pubblico.Cristian Marazzi da parte sua dice: la deflazione è un pericolo perché ingenera quell'effetto domino di stagnazione/riduzione dei salari nominali che non incentivano gli investimenti e che, di conseguenza, contribuiscono a ridurre ulteriormente la domanda aggregata. La spirale deflazionistica è deleteria: aiuta, ma per poco, una crescita orientata all'esportazione al prezzo però di una povertà dilagante. Crescita marginale a mezzo di povertà, ecco cosa è il rischio deflazione.

Beh, dopo tanto dire dico anche della filosofia, che sta nelle dichiarazioni di Jonathan Loynes di Capital Economics, secondo cui "se non puoi vincere qualcosa, devi imparare a conviverci e apprezzarla".

Essipperchè se la deflazione che si intravvede, quella che si teme, pure quella che si auspica, mostra incontroveltibilmente il fallimento di tutte la politiche di reflazione messe in campo per dare sostegno artificiale alla domanda, occorre fare di necessità virtù.

Già, non si può, ed ancor meno si deve, mortificare quel dispositivo del mercato efficiente buono per ripristinare l’equilibrio di prezzo tra domanda e offerta, quando si sta dinnanzi a un eccesso di capacità produttiva ovvero a redditi insufficienti a smaltire quella sovraccapacità.

Un maledetto danno, invece per i timorati della deflazione. Danno derivato dalla riduzione generalizzata dei prezzi, che rimanda gli acquisti, generando stagnazione economica e recessione. Danno perché vengono a ridursi gli utili delle aziende, i redditi di chi lavora e i tassi di interesse reali.

Per i dannati, il contrasto operato dalle politiche reflattive tenta di ridurre questi danni.

Ahinoi: invertire la caduta dei prezzi, mediante politiche monetarie e fiscali, gonfia il debito.

Si tenta, insomma, con la tecnica di rimuovere gli effetti della deflazione misconoscendone le cause: per lor signori sembrano essere i prezzi più bassi, non i bassi redditi, a tagliare gli acquisti!

Sia come sia, per chi sia interessato a voler disinnescare la deflazione occorre ridefinire l'equilibrio del mercato per dare, magari, a Cesare quel che spetta a Cesare.

In quel mercato, appunto, dove la crescita si fa con la spesa.

Essì, così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa.

Tocca, insomma, allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.

Allocare? Si, dare la giusta dose di trippa ai gatti.

Quali risorse? Pressappoco 1500 miliardi l'anno: l'ammontare del Pil.

Chi fa la spesa? Quelli della domanda aggregata.

Come ripartire il remunero? In ragione del contributo alla spesa fornito da questi soggetti economici.

Toh, i consumatori da soli, di quella spesa, ne fanno il 60%. A tutti gli altri aggregati tocca il resto.

Remunerati per fare la crescita, insomma, che come sanno i più risulta incompatibile proprio con la deflazione.




Mauro Artibani

http://news.you-ng.it/2013/11/14/i-segreti-della-crisi-you-ng-intervista-mauro-artibani/

venerdì 15 novembre 2013

APPROSITO DI SPENDING REVIEW

Mamma mia! 
In 2 anni sono stati oltre 118 i miliardi di euro sottratti dalle tasche dei pensionati e finiti nelle casse dello Stato. La denuncia e' dello Spi Cgil che aggiorna il calcolo con le maggiorazioni intervenute sulle tasse nazionali e locali, sul drenaggio fiscale e con il blocco della rivalutazione annuale delle pensioni. Di questi 101,6 miliardi sono arrivati direttamente dall'Irpef nazionale; 3,82 miliardi dalle addizionali regionali e 1,19 miliardi da quelle comunali, dice ancora il sindacato dei pensionati della Cgil, che calcola come "per il solo drenaggio fiscale i pensionati hanno pagato 3,6 miliardi di euro".
Porc..pressappoco la stessa cosa accade con il lavoro. Lo dice LabItalia: ex interinali, finti autonomi, contratti a 'zero ore' o 'mini-job' con orario molto ridotto. Sono sono alcune delle molteplici forme di lavoro 'atipico' (solo in Italia se ne contano dalle 19 alle 46, a seconda di chi esegue il calcolo) diffuse in Europa. Un 'esercito' di lavoratori che con la crisi sono diventati sempre più precari: 9 milioni, stando ai dati Eurostat, coloro che hanno un contratto di durata inferiore a 6 mesi, di cui l'80% ha meno di 40 anni. A lanciare l'allarme è l'Inca, il patronato della Cgil che ha promosso con altri partner sindacali europei (Cgil per l'Italia, Ces per l'Europa, Tuc per il Regno Unito, Fgtb per il Belgio, Dgb per la Germania, Ccoo per la Spagna) il progetto 'Accessor' (acronimo di 'Atypical Contracts and Crossborder European Social Security Obligations and Rigths').
E' il caso di continuare o basta così?
Eggià, da questi numeri all'essere costretti a fare Spending Review, per questi poveri cristi, il passo è breve e risoluto, per tentare di salvare il salvabile di quel che resta del portafoglio.
Quando questo accade, accade pure che chi deve produrre nuove merci ci pensi su due volte prima di farlo. Lo grida la caduta del 25% della produzione industriale dall'inizio della crisi.
Già, pure qui spending review!
E non finisce qua: se non si guadagna abbastanza, se si riducono i profitti si riduce il prelievo fiscale diretto; se si spende meno si riduce quello indiretto.
Beh, se si riducono le entrate fiscali vengono a mancare le risorse per finanziare il Welfare e pure qui tocca fare spendig review.
Orbene, se la crescita si fa con la spesa e i soggetti economici che debbono farla non possono o non vogliono, questa cacchio di crescita come si farà a farla?
Proviamo a dare risposta all'arcano dilemma: seppur in mezzo alla crisi questa spesa genera redditi per 1500 miliardi di euro. Concorre a generare tale ammontare per il 60% la spesa dei consumatori, per il 38% la spesa congiunta dello stato, quella delle imprese per gli investimenti, quella per rifocillare la scorte; quel che resta tocca alla differenza tra impotrazioni ed esportazioni.
Bene, queste risorse di reddito debbono essere riallocate per remunerare, con quella stessa percentuale, quelli che con la spesa hanno generato quel reddito che serve a fare nuova spesa.

Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi 



venerdì 8 novembre 2013

CRISI: FAR GUADAGNARE L'OTTIMISMO

Andiamo a ficcare il naso dove stanno i problemi inrisolti della crisi.
Un mercato del lavoro sovraffollato, l'aumento della produttività guadagnato con la riduzione del costo del lavoro, le migrazioni dal sud al nord del mondo, l'automazione dei processi produttivi e chissà quant'altro ancora  hanno ottenuto un non trascurabile risultato: i redditi erogati dalle imprese a chi lavora per produrre sono risultati insufficienti per smaltire il prodotto!
Quando accade questo, questo finisce con il generare un'offerta in eccesso ed una domanda in difetto che ha blocca il meccanismo dello scambio. La crisi, al netto di un credito surrogatorio ormai inattingibile, sta tutta qui.
E noi qui, in mezzo al guado, per uscirne diamo un colpo al cerchio ed uno alla botte.
Al cerchio, quello rappresentato dalle imprese che per poter vincere nella competizione globale hanno l'obbligo di sottoporre a dieta i costi: quelli del lavoro, primi da comprimere, costi quel che costi. 
Alla botte mezza vuota, quella dei consumatori, della risorsa di reddito adeguato a fare la spesa. 
La produttività totale dei fattori viene alterata: quella del Capitale sale; quella del Lavoro che produce reddito si riduce; quella dell'esercizio di Consumazione, sospesa l'efficacia della risorsa di reddito, smette di fare la spesa mettendo in stand by pure altre risorse: ottimismo, attenzione, tempo
Ricominciamo daccapo: 
Inderogabile la riduzione del costo del lavoro per stare sul mercato e fare profitti?
Inderogabile avere nel portafogli il denaro per acquistare quanto prodotto per far fare profitto? 
Beh, si è davanti allora ad una strada obbligata: qei profitti fatti e per continuare a farli occorre reinvestirli, magari riducendo i prezzi, per rimpolpare  i consumatori di quel potere d'acquisto che smaltisce  merci altrimenti svalutate.
Difficile, non impossibile. Ci sono imprese che già lo fanno insieme ad un rinnovato profitto.
Per  stare ai fatti: 
Ikea, remunera il tempo occorso per il montaggio del mobile acquistato con il prezzo più basso per quel prodotto. 
Le televisioni commerciali, ma anche le "free press" remunerano la mia attenzione alla loro pubblicità con la gratuità del prodotto/servizio.
Nel mondo Low cost e quello dei Social shopping, i prezzi rassodano l'ottimismo.
Un momento, facendosi domandanti ben altro che acquirenti, si può fare di più. Altro che gongolare per queste offerte che mostrano ancora carattere occasionale, .
Si può fare ancor di più: i consumatori  che fanno impresa per fare  commercio dell'unica merce scarsa  sul mercato, la domanda.*
Bene, quando tutto questo accade, accade pure che quelle risorse tornano agenti. 
Ottimo e abbondante per tornare a far crescere proprio quella bistrattata produttività totale dei fattori. 
Se si ritenesse necessario dover ancorare l'equilibrio di tali processi ad un fondamento stabile, si può ricorrere ad un paradigma nuovo di zecca: "La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera."
*a pag. 201 de: " La domanda comanda", Aliberti Editore 2013, si trova il business plan prodromo all'impresa. 
Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi


venerdì 1 novembre 2013

LA CRISI, E SE DOMANI......

E se il debito non fosse la causa della crisi bensì l'effetto?
Si, insomma, se la causa fosse invece da attribuire ai quei redditi, erogati dalle imprese a chi lavora, insufficienti ad acquistare quanto prodotto?
Possibile se, come dice l'Ufficio Studi di Confcommercio, nel 2012 il reddito disponibile è stato pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Beh, mettendo nel conto quanto la crescita si faccia con la spesa aggregata, per farla in tali condizioni di insufficienza si è fatto ricorso alle politiche di reflazione, in grado di fornire credito per surrogare quell'insufficienza. Debito insomma per creare ricchezza: bella no?
Anzi di più. Finchè il trucco ha celato il fatto si è venduto, acquistato, lavorato, riprodotto con buona pace del debito.
Quando accade, però, che il debito troppo in alto sal, tracolla sovente, precipitevolissimevolmente.
Il meccanismo dello scambio va in blocco, salta l'equilibrio tra il prodotto e il consumato che tiene attivo il meccanismo produttivo: non si vende nè si acquista; le merci perdono valore, non vengono riprodotte.
La produttività totale dei fattori finisce dalle stelle alle stalle: le imprese mostrano sovraccapacità produttiva.
Chi lavora nell'impresa produce in eccesso e quelli, che con la spesa fanno il 60% della crescita, sono costretti a fare spending rewiev, dimagrendo mangiando meno, svestendo la moda che passa di moda, smettendo il Suv per andare da qui a lì.
Si sta tutti, insomma, come d'autunno sugli alberi le foglie.
Per uscire dal guado e tornare a crescere occorre migliorare la produttività dei singoli fattori.
Pronti, via: La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca impiegare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.
Giust'appunto quei 1032 miliardi da riallocare per meglio sostenere il potere d'acquisto di quelli che fanno la spesa, alfin di poter tornare ad ingrassare, rivestirsi alla moda, tornare a mostrare il Suv e.... vai col tango!
Smaltito l'invenduto, l'impresa mette la sordina alla sovraccapacità, ripristina il valore delle merci che verranno ri-prodotte. Affrancato così dal produrre l'eccesso, tornerà a mostrare valore pure il lavoro che potrà trovare più adeguato remunero, meno agire precario e soprattutto altro lavoro.
Ai consumatori tocca pure un ultimo sussulto: coniugare il tornaconto del guadagnare spendendo con la responsabilità di chi, con una domanda competente, comanda i processi che governano l'oggi ed il domani. Prosit!

PS. Corre l'obbligo di precisare che tra i fattori della produzione viene inserito d'imperio quell'esercizio di consumazione in grado di ridare efficienza a quegli altrimenti malandati fattori, continuità al ciclo e sostanza alla crescita economica.

Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

giovedì 24 ottobre 2013

ECONOMISTA SARA' LEI!

Glielo dico: Economista sarà lei.
Io sono un Economaio, che studia l’Economia dei consumi, quella che gli accademici non scorgono e che le facoltà di Economia non insegnano.
Giust'appunto Loro, quelli mentori dell'economia della produzione, propagandano un paradigma che spacciano in ogni dove.
Recita: I Produttori producono beni, occupazione, ricchezza, remunerano il lavoro, danno ristoro ai bisogni. Con tal editto sulle Imprese sventola il vessillo del ruolo. Ne reclamano i vantaggi. Ne hanno ben donde!
A me però non tornano i conti. Io sbircio altrove, non credo alla credenza.
Perchè?
Percome vanno i fatti, nella fattispecie due:
Approposito del remunero del lavoro, il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa. l'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, nel 2013, il reddito disponibile è pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
A sproposito si parla, invece, di ristoro dei bisogni. Essipperchè, se invece di cibarsi si ingrassa, se ci si abbiglia alla moda che passa di moda e per andare da qui a lì si acquista un Suv: ma quale bisogno d'eggitto!
Nell'economia dei consumi, insomma, l'affrancamento del bisogno fornisce la cifra distintiva; l'insufficienza del reddito che spende, la cifra dello squilibrio che fa saltare i conti. Quel paradigma non scorge tal fatti, rimesta soluzioni improvvide.
Già, proprio in mezzo alla crisi si pensano soluzioni sghembe.
Il vicepresidente della Commissione europea e commissario per l'Industria e l'Imprenditoria, Antonio Tajani, ci rammenta come l'UE intenda essere protagonista della crescita del vecchio continente approvando un Piano per la reindustrializzazione che ha l'obiettivo di raggiungere entro il 2020 la quota del 20 per cento del prodotto interno lordo della UE, proveniente dal settore manifatturiero.
Bella no? Proprio quando non si investe né si produce perchè manca chi spende e l'impresa va a rotoli, si pianifica nuova impresa.
Orbene, diamo un'occhiata a quanto fanno quei tizi affrancati sia dal bisogno che da redditi adeguati. Proprio loro, quelli che, quando spendono, fanno fino al 60% della crescita.
Quando fanno la spesa, appunto!
Quando non possono farla, la merci restano invendute, il loro valore non si trasforma in ricchezza, ancor più non si riproduce: approposito di nuova industrializzazione!
Ennò Signori non ci siamo, quel paradigma, con il quale sono state confezionate la regole del sistema produttivo, non funziona.
Provate questo è belleppronto, istituisce la regola dell'economia dei consumi: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.”
Eggià, così potrà tornare ad avere senso economico fare Impresa!

Mauro Artibani

venerdì 18 ottobre 2013

TEMERARIO IL CREDULONE

Il Premier primeggia nel tentare di governare la crisi. Fa quel che può scambiandolo per quel che s'ha da fare.
Ecco, appunto, quel che s' ha da fare: "più soldi in busta paga. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi presenteremo una legge di stabilità e lavoreremo per mettere ordine nelle aliquote dell'Iva. Lo faremo tenendo conto dei problemi della finanza pubblica".
Potrebbe valere tra i 350 e i 400 euro sulla busta paga un ipotetico intervento sul cuneo fiscale di 2,5 miliardi di euro destinato ai lavoratori. Questo è quanto possibile calcolare, considerando l'intervento sulle detrazioni Irpef per il lavoro dipendente e presumendo che, del possibile intervento di 4-5 miliardi nella legge di stabilità, metà sia destinato ai lavoratori e metà alle imprese. Calcolo solo indicativo perché le variabili sono molte. Il bonus potrebbe essere erogato in un'unica tranche.
E bravo il Premier, mette nel mirino il cuneo fiscale.
Messo a leva quel cuneo spacca:
1- può ridurre, per le impresa, il costo per unità di prodotto e così rendere competitive le merci: prezzi ridotti rifocillano il potere d'acquisto.
2 - ridurre il prelievo fiscale su salari e stipendi. Pure qui, aumenta il potere d'acquisto.
Eggià, due piccioni con una fava: i produttori troveranno convenienza a produrre; i lavoratori, lavorando a guadagnare di più; i consumatori a consumare.
Micco il Premier!
Tocca fare adesso quattro conti sullo stato delle cose.
Confcommercio mette in campo dati raggelanti: nel 2013, il reddito disponibile e' pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Il Premier non si abbatte, anzi ribatte e mette, giust'appunto, sul piatto 1 euro, cent più cent meno, al giorno per dare compenso a quei redditi.
Un bel gruzzolo!
Non pago spera, anzi deve credere e pregare che la riduzione del prezzo delle merci compensi quel che ancora manca per riparare al danno fatto a quei redditi.
Temerario il credulone!

Mauro Artibani


giovedì 10 ottobre 2013

PIL O SIL?

Pil: Prodotto interno lordo. Massì, quel sistema che misura il rendimento dell’attività economica.
Viene inteso come il valore complessivo dei beni e servizi, destinati a usi finali, prodotti all’interno di un Paese in un definito intervallo di tempo.
Oddio, non proprio se si prende la formula keynesiana: Y=C+G+(I+S)+X.
Dove Y è il Pil, in Italia nel 2009 = 1.596.000.000.000 euro
C, la spesa privata
G, la spesa pubblica
I, la spesa per investimenti delle imprese
S, la spesa per le scorte delle imprese
X, il saldo commerciale.
Altro che misura della produzione; misura invece del consumo. A esser pignoli non è nemmeno un prodotto bensì una somma, seppur algebrica, fatta di + e -.
Guistappunto, domanda aggregata.
Disaggregata mostra i fatti: fanno il 60 per cento circa quelli della C; gli altri, i GIS circa il 39 per cento; agli X tocca più o meno l’1 per cento.
Tal misuratore certifica il maggior contributo fornito dai consumatori alla generazione della ricchezza, vieppiù il carico di responsabilità assunto per la crescita economica del Paese.
La prova del nove: quando i consumatori, quelli che fanno la spesa privata, hanno redditi adeguati a generare l’ormai consueto 60 per cento di quel Pil, gli altri, sollecitati da cotanto fare, faranno il resto.
Quando invece, e siamo all’oggi, quei redditi risultano insufficienti e viene a mancare tal contributo, resta l’invenduto. I produttori visto l’andazzo tirano i remi in barca, fanno fatica a investire per nuovamente produrre, anche ad attrezzare scorte per magazzini già pieni. Per gli improvvidi della spesa pubblica, quando si riducono le entrate fiscali di quelli di prima e si tenta di ridurre questa spesa per ridurre il debito dello Stato, faranno anch’essi meno Pil.
Seppoi si sbircia il Pil, come somma delle remunerazioni di tutti i fattori impegnati nel processo produttivo, emergono fatti che non ti aspetti.
A chi ha redditi acconci, pur spesi per rifocillarsi di tutto e di più, resta ancora il resto; risparmio che mette in cassa sottraendolo alla spesa complessiva. Se le imprese, per risparmiare, retribuiscono chi ha lavorato per produrre beni con redditi che non fanno tutta la spesa che serve, inducono quegli impresari a risparmiare pure la spesa per gli investimenti che fanno nuovamente produrre. A risparmio si somma risparmio, alla spesa invenduta si sommano invendute scorte: l’equilibrio tra spesa e reddito salta, viene a ridursi la capacità del sistema economico di utilizzare per intero le risorse produttive.
Se per rendere massimo il rendimento del processo economico il valore prodotto deve poter essere interamente acquistato e così trasformato in ricchezza, ehm… non ci siamo proprio.
Eggià, finché la crescita si fa con la spesa ma il tornaconto lo distribuisce l’impresa; finché, insomma, il meccanismo che trasferisce quella ricchezza passerà per il remunero della produzione, verrà a mancare la trippa ai gatti.
La vecchia regola che ne governa l’allocazione remunera il concorso fornito dal lavoro dei singoli alla produzione del valore, riproducendo un vizio: si dà più agli abbienti che già hanno, meno a chi non ha. I primi spenderanno meno, i secondi tutto, ma poco, e quel valore verrà svalutato.
Quell’anodina rappresentazione insomma, impressa nell’acronimo Pil, non lascia scorgere lo sperequato remunero dei soggetti economici che diversamente spendono per la crescita.
La Sil, Spesa interna lorda, sì; ma questa è tutta un'altra storia!

Mauro Artibani


venerdì 4 ottobre 2013

IL PARADOSSO DELLA PARSIMONIA 2

Non sempre accade, quando accade sono guai: le aziende americane, dice la Federal Reserve, continuano ad accumulare liquidità; nel secondo trimestre 2011 le loro riserve sono salite del 4,5 per cento, a 2047 miliardi di dollari. Si tratta del livello maggiore dal 1945.
Stessa brusca frenata, dice Eurostat, pure per gli investimenti in Europa nel quarto trimestre 2011.
E nel “ decennio perduto” del Giappone? Pure lì pressappoco la stessa cosa.
Guai! Quando insomma si manca di fare la spesa in conto capitale, perchè chi deve fare la spesa in conto merce manca del denaro sufficiente ad acquistare e le merci restano invendute, si inceppa il ciclo produttivo.
Già, la crisi si mostra in tutte le salse: le vendite al dettaglio, per esempio, segnano il tredicesimo calo consecutivo su base annua, mostrando a luglio una contrazione dello 0,9%. Lo rileva l'Istat, precisando che rispetto a giugno la flessione del commercio al dettaglio è dello 0,3%.
Beh, allora per quei capitali inattivi un po' di deflazione alla giapponese, che aumenterebbe il valore di quei risparmi, non farebbe poi male.
Non accade però, si reflaziona tutto pur di sostenere la domanda.
Eggià, abbassando il costo del denaro diventa conveniente indebitarsi, sconveniente invece prestare quel risparmio di capitale; sale pure oltre il lecito il rischio in altri impieghi.
Si, insomma si mancano chances tuttaffatto trascurabili!
L'inflazione, sospinta, quella invece sale, magari poco, ed erode.
Erode, eccome, il valore di quelle rimesse non spese.
Et voilà, il paradosso della parsimonia 2: la vendetta?
Cari signori dell'altra sponda, occorre cambiare registro.
Nei tempi bui della crisi torna a farsi prepotente una regola dell'economia dei consumi: là, dove si ha più bisogno di vendere che di acquistare, occorre impiegare quelle risorse di capitale meno per produrre, più per smaltire il già prodotto.
Si sbocca così il meccanismo dello scambio; così si garantisce la crescita.
Evvivaddio, torna a farsi conveniente l'investimento di quel capitale.

Mauro Artibani


venerdì 27 settembre 2013

QUESTI SONO MATTI

Un dato preso a caso tra i tanti che il mercato offre ogni giorno: Europa, in otto mesi la domanda di auto nuove è stata pari a 7.841.596 unità, ovvero il 5,2% in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il livello più basso del periodo gennaio-agosto registrato dal 1990. Dal 1990? gulp! Altri dati, altro giro: Negli Usa, al netto del tasso di inflazione, il 40% di chi lavora guadagna meno di quello che era il salario minimo nel 68. Non va meglio nel resto del mondo: quelli dell' Ilo scrivono che il tasso degli inoccupati sta attorno al 65%. Beh, vuol dire che il 35% degli attivi mangia la polvere. In Gb il 20% di salari e stipendi sta sotto il reddito minimo garantito: 15% degli uomini , il 25% delle donne. E i 7 milioni di mini job erogati in Germania da 450 euro/mese? Noi in Italia non stiamo a guardare: il reddito disponibile delle famiglie nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa. L'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che nel 2013 il reddito disponibile e' pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988. Gulp, gulp ed ancora gulp. Se tento mi da tanto, non si acquista perchè mancano i redditi sufficienti a fare la spesa. Per tutta risposta ed uscire dall'impasse si mette in campo una ipotesi stupefacente: l'Ue raccomanda di spostare il prelievo fiscale dalle persone alle cose, tra queste l'Iva. Gulp! Ennò signori: già, dato! Essipperchè tra i poco invidiabili primati fiscali l'Italia, tra i principali Paesi della zona Euro, ha anche quello del record dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'Iva, cresciuta in 40 anni di 8 volte. Lo afferma l'ufficio studi della Cgia di Mestre. Dall'anno della sua apparizione, il 1973 al 2013 l'Iva e' aumenta di ben 9 punti, portandosi dal 12% all'attuale 21% - dall'11 al 19% invece in Germania, dal 16 al 21% in Olanda, addirittura diminuita, dal 20% al 19,6% in Francia. Come se non bastasse c'è un'altra stangata in arrivo. Dal 1° ottobre, salvo cambiamenti dell’ultima ora, l’aliquota Iva del 21% salirà al 22%. Per il 2013 il costo complessivo a carico dei consumatori sarà di circa 1 miliardo di euro, dal 2014 toccherà i 4,2 miliardi. Ipotizzando che i comportamenti di consumo delle famiglie italiane rimangano immutati, la CGIA di Mestre stima che per un nucleo costituito da 3 persone l’aggravio medio annuo sarà di 88 euro. Nel caso di una famiglia di 4 componenti, l’incremento medio annuo sarà invece di 103 euro. E la tares, già tarsu, che sta arrivando? Già, aumento dell'iva + la tares, ovvero maggior prelievo fiscale sull'acquisto e lo smaltimento del consumato. Toh, tassato proprio il lavoro svolto da chi sta sul mercato per consumare; che proprio con quegli esercizi fa crescere l'economia. Gulp: tassato il lavoro, insomma, non il reddito da lavoro! A conti fatti, per rimpinguare il portafoglio toccherà vendere la vecchia auto altro che acquistarne una nuova: alla faccia della crescita! Mauro Artibani http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

venerdì 20 settembre 2013

LA CRISI CON DENTRO UNA CONTRADDIZIONE GROSSA COSI'

Agenzie di tutela in ogni giurisdizione, “salvagenti”, “help consumatori”. Si insomma ci si dà un gran da fare per far da balia a chi sta sul mercato a fare la spesa. La politica, in tutt'altre faccende affaccendata, abdica a strutture terze il rapporto con questi poveri cristi. Eggià, la politica tutta, di destra, centro e sinistra ha altro da fare. Per dovere istituzionale si occupa di redistribuire i redditi tra i percettori; si disoccupa di chi per ruolo quei redditi li spende! E da bravi, fanno a braccio di ferro tra chi sta con il capitale e chi con il lavoro. L'epica tenzone, ad uso degli elettori, viene però combattuta fuori tempo massimo. Essipperchè il 900 è finito l'altro ieri. Già, non rimarrà agli onorevoli signori molto spazio per accapigliarsi nel tempo della neonata “società dei produttori”, là dove le organizzazioni di categoria di imprenditori e lavoratori hanno deciso di fare la pace. Alla politica toccherà sbirciare quel che accade dentro quella nuova ecumene dove stanno insieme chi, per essere competitivo sul prezzo sotto remunera il lavoro e chi, non potendo disporre di adeguato remunero per fare la spesa, avrà lavorato per produrre merci invendute che svalutano proprio il lavoro. Contraddizioni, insomma, grosse così! Cavolo: due debolezze, seppur associate non fanno una forza e la politica messa all'angolo proprio da chi, per mettere la sordina al quel secolare contraddittorio, misconosce quella contraddizione. Cacchio, per non rischiare il “fuori gioco” istituzionale la politica dovrà fare altro, guardare altrove. Uno spazio v'è. Tocca però cambiare i cavalli da cavalcare, non più quelli del capitale nè quelli del lavoro ormai imbolsiti. Toccherà a Lor Signori farsi promotori di un'istanza economica indifferibile che recita: Chi si adopera nel quotidiano esercizio della spesa dovrà disporre della quantità idonea di reddito che consenta di acquistare quanto viene prodotto. Toh, proprio quella spesa, insomma, che smaltendo l'invenduto evita l'eccesso, fa riprodurre, restituisce valore al lavoro, da spinta alla crescita epperchennò sana pure quella contraddizione. Già, proprio quella che ha generato la crisi. Mauro Artibani http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

giovedì 12 settembre 2013

DOMANDE E RISPOSTE SULLA CRISI

Di crisi ne hanno parlato tutti: professori, politici, persino attori e cantanti. Nessuno ha mai chiesto quale sia il punto di vista dei consumatori. Ne parliamo con un professional consumer, autore del libro “ La domanda comanda: verso il capitalismo dei consumatori ben oltre la crisi” Aliberti Editore – 2013. Ritiene si possa dare una definizione sintetica della crisi? Ci provo: La crisi è quella del reddito, erogato dai Produttori a chi lavora per produrre merci, insufficiente a smaltire quanto prodotto che ha bloccato il meccanismo dello scambio domanda/offerta. Lei allude ad una sindrome da miopia? No. Alludo all’esistenza di mercati asincroni che vanno a braccetto con quei vecchi paradigmi che ancora governano l’economia. Cerchiamo di intenderci: il mercato del lavoro ha ridotto stipendi e salari? Si. Le migrazioni dal sud al nord del mondo hanno affollato di domanda il mercato del lavoro; l’ automazione dei processi produttivi ed i fenomeni di delocalizzazione hanno ridotto l’offerta di lavoro; il basso casto del lavoro nelle economie emergenti hanno fatto il resto. il mercato si mostra efficiente riduce stipendi e salari. Il mercato delle merci ha ridotto i prezzi? No, anzi. Nonostante si sia ridotta la capacità di spesa che ha ridotto gli acquisti, gonfiando il mercato di merci invendute, dentro questo mercato non si sono manifestati fenomeni di deflazione in grado di ripristinare quella capacità. Si sono alterati cosi gli equilibri del meccanismo economico? Già, viene alterato il rapporto di scambio offerta/domanda; non smaltite quelle merci in eccesso perdono valore, bruciano ricchezza. Un momento pero’ sembra si sia potuto ripristinare l’equilibrio? Si: mediante le azioni condotte da politiche reflattive che hanno artificialmente sostenuto la domanda per dar sostegno ai prezzi ripristinando così il valore delle merci garantendo utili alle imprese. Si e’ comunque prodotta ricchezza ! Si: le politiche monetarie hanno abbassato il costo del denaro da prendere a prestito, la spesa pubblica ha fatto la sua parte; pure il “rifinanziamento” dei mutui fondiari ha fornito reddito da spendere per acquistare e smaltire l’invenduto: politiche reflattive alla bisogna, insomma, per surrogare la capacità di spesa attraverso l’assunzione di debito, quello privato e quello pubblico. Si è prodotta, insomma, ricchezza con il debito. Si puo’ andare oltre quello che lei ritiene un misfatto? Si, perché se i Produttori hanno dettato la regola al mercato del lavoro, quando salta il tappo il debito si fa inattingibile e l’offerta invendibile , subiscono la regola- prima negata- dell’altro mercato, quello delle merci: hanno più bisogno loro di vendere che i Consumatori di acquistare. Muta lo statuto delle convenienze; è tempo di ridefinire il ruolo degli operatori della domanda e dell’offerta: Ai Consumatori, tocca il compito di dover acquistare, ben oltre il bisogno, per trasformare il valore delle merci in ricchezza; di consumare l’acquistato per far nuovamente produrre dando continuità al ciclo produttivo e sostanza alla crescita economica. Ai Produttori tocca fornire merci ancorchè l’adeguato supporto alla capacità di spesa di chi acquista quelle merci. C’e’ chi dovra’ pagare il conto per riavviare una crescita non drogata? Facciamoli due conti: per i Consumatori tutti clienti, clienti di tutto - tutto è stato reso merce, tutto deve essere consumato per far crescere l’economia - necessario disporre di reddito adeguato alla bisogna per sostenere tal obbligo. Ai Produttori tocca oliare il meccanismo che smaltisce il prodotto sottraendo rischio all’impresa. Ecco, appunto, sottrarre rischio all’impresa, un bel guadagno. Il costo? Lo paga il profitto: vanificato il rischio occorre rimettere in circolo quel reddito che lo retribuisce. Quel remunero, redistribuito per dare sostegno alla domanda, tiene attiva la funzione consumo che rende efficiente la gestione dei fattori della produzione garanti dell’utile d’impresa; fa scendere il prezzo delle merce, rende competitivo il prodotto: il rendimento appezzabile! Come vede cambiando la regola degli oneri e la gerarchia delle relazioni produttive che genera la prosperità economica si può fare meglio. Gia’, lei auspica un cambiamento: in francia a livello istituzionale si discute di “nouveau monde, nouveau capitalism”, cosa ne pensa? Mettiamola così: un nuovo esercizio economico per un mondo nuovo; nuovo pure l’esercizio del comando. I Produttori da comandanti a dipendenti; l’industria finanziaria, ridimensionata la funzione creditizia, torna d’acchito all’intermediazione che ben gli stà; alla funzione consumo, che occupa il centro della scena produttiva, tocca governare la crescita economica. Occorre aggiornare la ragione sociale del capitalismo: prima, dei Produttori poi dei Creditori oggi , che la domanda comanda, dei Consumatori. Essipperché cambiando l’ordine dei fattori produttivi il Prodotto Interno Lordo cambia, eccome; può tornare a salire. Per garantirne la salita occorre rispettare una regola nuova di zecca: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.” Mauro Artibani http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

venerdì 6 settembre 2013

CRISI: SE LA SUONANO, SE LA CANTANO

Appunti e spunti dei tempi incerti. Oltre un mese fa, il presidente della Fed di New York, William Dudley, durante un discorso a New York ebbe a dire: "Le circostanze economiche potrebbero divergere significativamente dalle aspettative del Fomc. Se le condizioni del mercato del lavoro e lo slancio della crescita dovessero essere meno favorevoli rispetto alle prospettive della Fomc - e questo è ciò che è accaduto negli ultimi anni - mi aspetterei che gli acquisti di asset continuino ad un ritmo più elevato e per un periodo di tempo maggiore". Buontemponi questi della Fed, c'è da fidarsi. Non paghi di cotanta preveggenza, dalle minute della loro riunione del 21 agosto si legge: I membri del comitato hanno espresso preoccupazione per l'andamento dell'inflazione. Dai verbali emerge come "una inflazione costantemente al di sotto della soglia del 2%, fissata dal Comitato, potrebbe porre rischi alla performance dell'economia Usa.” Inflazione bassa = danno! Ed il reddito insufficiente allora? Già, proprio negli Usa e proprio al netto del tasso di inflazione, il 40% di chi lavora guadagna meno di quello che era il salario minimo nel '68. Sta scritto nel sito Zero Edge che rielabora i dati riferiti dalla Social Security Administration sulle “statistiche salariali 2011”. Quelli dell' Ilo scrivono che se il tasso degli inoccupati nel mondo sta attorno al 65% vuol dire che il 35% degli attivi mangia la polvere. Ci sono pure quei 40.0000.0000 di Usati e dismessi che vivono con i sussidi statali senza fare granchè. Con l'Obamacare Full Frontal, poi, dei 953 mila posti di lavoro creati nel 2013, il 77%, pari a 731.000, è a tempo parziale. Qualcuno dice insomma che gli Usa si stanno trasformando in una società di persone che ha tempo perchè lì si fa il part-time. Dunque, se tanto mi da' tanto, mancano salari, stipendi, soldi spicci insomma e senza soldi non si canta messa! Quale messa? Quella della spesa. Chi adesso vuol prendersi la briga di ricordare quante, per numero e volume, nuove merci e servizi sono arrivate sul mercato dal '68 che devono essere acquistate? Tante, ma tante; tante, che quelle ridotte capacità di spesa non riescono a smaltire. Già, e quelli della Fed rimestano con l'inflazione. Non scherziamo, con questi chiari di luna, non v'è traccia di aumento dei prezzi, anzi. Un momento però, inflazione per inflazione si potrebbe che so...”sollecitare” quella salariale; far crescere questa. Massì, una mossa per rifocillare il potere d'acquisto. Toh, proprio quello che fa il 70% della performance dell'economia. Già, proprio quella che pur quei signori faticano ad immaginare se non spinta dal debito generato dalle loro politiche monetarie. Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

mercoledì 14 agosto 2013

MA QUALE PUNTO DI SVOLTA DEL CICLO?

Non v'è chi non veda la produzione industriale in caduta libera negli ultimi 10 anni: il crollo delle aziende italiane tra il 2002 e il 2012 e' stato del 17,8%. Rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi, il risultato del 2012 peggiora ulteriormente scendendo al -20,7%. E' quanto emerge dai dati contenuti nelle tabelle dell'Istat sull'attivita' delle imprese industriali, elaborate dall'Adnkronos. Eggià, le attivita' manifatturiere, in un decennio, hanno ridotto la produzione industriale del 19,4% e, negli ultimi 5 anni, del 21,3%. Tornando ai numeri della produzione industriale, nel complesso, c'e' stato un leggero incremento degli ordinativi che, in 10 anni, sono aumentati dell'1,6% mentre c'e' stata una contrazione del 18% rispetto a cinque anni prima. Anche il fatturato segna un forte calo nell'ultimo periodo (-8,8%), mentre dal confronto con il 2002 emerge un incremento del 9,4%. Segnali negativi arrivano anche dal lavoro con l'occupazione nelle grandi imprese che, rispetto al 2002, e' diminuita del 16,2%. L'analisi anno per anno evidenzia che il calo e' stato continuo e costante, senza impennate nel periodo della crisi. Si riducono anche le ore lavorate per dipendente, che segnano un calo dell'1,4%.Non conosce segni negativi, invece, il costo del lavoro che dal 2002 al 2012 aumenta del 34,7% per dipendente. Ricapitoliamo: Per i big dell'industria gli ordini poco o nulla, il fatturato pure; riducono l'occupazione del 16,2 e pure le ore lavorate. Già, c'è però un + 34 per dipendente. Si, ma finisce quasi per intero sulle retribuzioni lorde per dipendente che nello stesso periodo registrano un +34,6%. Fiuuuuu: quell'aumento va tutto in cuneo; insomma per rifocillare, si fa per dire, quello Stato in spending review. Essipperchè, nel frattempo i salari reali sono rimasti al palo in Italia negli ultimi 20 anni. Lo dice l’Istat nel suo rapporto annuale. "Tra il 1993 e il 2011 spiega le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno". Appunto, quattro decimi di punto e l'inflazione quanti decimi ha sottratto a quegli aumenti? Beh, lasciamo perdere! Non lasciamo perdere: negli ultimi due decenni, evidenzia il rapporto, "la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio. Complessivamente dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1 per cento in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5 per cento. Indipercuiposcia, nel 2012 la spesa media mensile per famiglia è stata pari, in valori correnti, a 2.419 euro, in ribasso del 2,8% rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat, precisando che la spesa è fortemente diminuita anche in termini reali (l’inflazione lo scorso anno era al 3%). Beh, a conti fatti, si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Eppure, dal Governo arrivano sprazzi di ottimismo sulla congiuntura economica: “Siamo al punto di svolta del ciclo” dice Saccomanni. Già, ma a fronte di una spesa aggregata, che quando non decresce langue e disgrega la domanda, come farà a crescere l'economia? Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 8 agosto 2013

CONSUMATORI BOLSI, INFINGARDI E PERDIGIORNO

Ci risiamo, nuovo calo per i consumi delle famiglie italiane. Lo rileva l'Istat. Ad aprile 2013 l'indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio diminuisce dello 0,1% rispetto al mese di marzo. L'istituto, sottolinea che l'indice incorpora la dinamica sia delle quantità sia dei prezzi. Rispetto ad aprile 2012 l'indice grezzo del totale delle vendite segna una flessione del 2,9%, sintesi di una diminuzione del 4,5% delle vendite di prodotti alimentari e dell'1,9% di quelle di prodotti non alimentari. Nei primi quattro mesi del 2013, invece, l'indice grezzo diminuisce del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le vendite di prodotti alimentari segnano una flessione del 2,1% e quelle di prodotti non alimentari del 4,2%. Eggià, politiche di consolidamento fiscale, a più non posso, hanno sottratto risorse di reddito. Il cuneo fiscale penetra là dove non dovrebbe e rende smilzi i redditi. Pure il lavoro precario del reddito fa carne di porco. La disoccupazione invece lo taglia. Si riduce pure il potere d'acquisto. Essipperchè il carrello della spesa risulta piu' caro a luglio, come dice l'Istat: i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori, sono aumentati del 2% nell'ultimo mese rispetto a luglio 2012. E il record dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'Iva, cresciuta in 40 anni di 8 volte ? Non è finita: quattro giovani su dieci si trovano senza il becco d'un quattrino; 2.400.000 fanno i Neet, fanno quindi poco o nulla; una donna su due armeggia tutto il giorno tra i fornelli senza beccare un centesimo; un pensionato su due si arrabatta per tirare a campare. Varia umanità questa, costretta a farsi bolsa, infingarda e perdigiorno invece di mettersi a fare la spesa come fanno quelli che hanno il denaro per farla. Orbene, se la crescita si fa con proprio con la spesa, quella privata fa il 60% del Pil, e quelli privati delle risorse di reddito la riducono, verrà generato ancor meno reddito che ridurrà pure la capacità di spesa di chi ha fin qui speso. Con le merci invendute verrà ridotta ancor di più l'occupazione, i produttori smetteranno di produrre, i venditori ancor più di vendere, pure meno spesa pubblica perchè gli esattori non potranno più esigere. Essì, funziona così! E pensare che per raddrizzare la baracca basterebbe che i redditi erogati a chi lavora per produrre fossero sufficienti ad acquistare quanto prodotto: sic! Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com  

giovedì 1 agosto 2013

L'EMPASSE DELLA CRISI, LA CRISI DE L'EMPASSE

Già, l'empasse della crisi: la crescita si fa con la spesa, la spesa con il denaro, il denaro con il lavoro; quel lavoro remunerato poco, genitore del difetto di domanda che fa dell'offerta un eccesso, che affossa il prodotto, che affossa la produttività. Essipperchè, nella miope gestione di attempati fattori della produzione, il capitale taglia il lavoro. Al grido di “automazione” viene ridotto quel lavoro; le variegate forme della flessibilità ne riducono il costo, con la deflazione salariale pure il valore del remunero. Già, ci sono parole magiche, nella fattispecie: competitività, produttività, concorrenza che hanno il loro centro di gravità nel contenimento dei costi d' impresa. In cima stanno quelli del lavoro, agiti fanno salire la disoccupazione, scendere salari e stipendi. Toh, proprio quel che serve per fare quella spesa, buona per la crescita. Eppur si deve, se s' ha da vincere la battaglia della globalizzazione, quella che consente di vendere in tutto il mondo mentre tutto il mondo vende in casa tua. Un bel garbuglio, insomma, dal quale tocca uscire per uscire dalla crisi evitando, magari, le ineffettuali scorciatoie fin qui adottate. Mettiamo in crisi l'empasse, prendiamo per il bavero i fatti: cosa accade, per esempio, a quella “generazione senza lavoro” che Papa Francesco grida? Già, quei giovani sottratti all'esercizio produttivo per aumentare quella produttività che migliora i volumi prodotti; quella generazione che, mancando pure di remunero per acquistare quel prodotto, ne svaluta il valore. Giust' appunto, mancando di spendere, la loro domanda si fa scarsa, l'offerta al contrario sovrabbondante! E proprio qui si mostra quel che non t'aspetti: vi è più valore nell'esercizio del consumare che in quello del produrre. Se tanto mi dà tanto, tocca allora remunerare l'esercizio della spesa. Per un mercato efficiente fare il prezzo di quel valore, che consuma il prodotto e fa riprodurre, è cosa buona e giusta: un modo per compensare quel tributo pagato, all' aumento della produttività di processo e alla competitività di prodotto, che spossa proprio il potere d'acquisto. Pagare, investendo il profitto per ridurre i prezzi, non grava sulla struttura dei costi mentre aggiunge ulteriore capacità concorrente ai prodotti. Chi lavora avrà convenienza a fare più e meglio nel produrre ed avere così da acquistare quindi spendere e guadagnare. Remunerare l'esercizio del consumo migliora la produttività totale dei fattori e la capacità di fare utili per le imprese; matura pure la convenienza a poter stornare quote di profitto da investire per compensare chi, con lo spendere, fa guadagnare. Viene così sottratto rischio all'impresa: toh, proprio quello che il profitto remunera. Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 25 luglio 2013

LA LEZIONE PER L' OGGI SCRITTA IERI

Nel 1944 con “Bureaucracy”, Ludwig von Mises identifica l'agente supremo dell'economia di libero mercato. La mette giù dura: “I capitalisti, gli imprenditori e gli agricoltori sono come strumenti nella conduzione degli affari economici. Sono al timone e governano la nave. Ma non sono liberi di tracciare il suo corso. Non sono supremi, sono solo timonieri, tenuti ad obbedire incondizionatamente agli ordini del capitano. Il capitano è il consumatore.” Vero! Ancor più vero quando, quello stesso consumatore, risulta affrancato dal bisogno! Ha ancora da dire, dice: “Né i capitalisti, né gli imprenditori, né i contadini determinano ciò che deve essere prodotto. Lo fanno i consumatori. I produttori non producono per il proprio consumo ma per quello del mercato. Il loro intento è quello di vendere i loro prodotti. Se i consumatori non acquistano i beni offerti loro, l'imprenditore non può recuperare le spese effettuate. Perde il suo denaro. Se non riesce a regolare la sua produzione secondo i desideri dei consumatori, molto presto verrà rimosso dalla sua eminente posizione al timone. Verrà sostituito da altri uomini che avranno soddisfatto meglio la domanda dei consumatori.” Beh, che dire: quelli che stanno al timone, per scampare al pericolo e restarci, hanno preteso ed ottenuto che venissero messe in campo politiche e tecniche in grado di reflazionare il mercato e così dare sostegno alla domanda per non far scendere i prezzi.Tanto per gradire: tutte le banche centrali dei paesi del G7, mostrano come, dal 2007 fino a ora, le iniezioni massicce di liquidità siano state di ben 10.000 miliardi di dollari. Un belleppronto giochino di alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi, buono insomma per non cambiare il timoniere. Tutto questo fin quando i nodi vengono al pettine: le politiche monetarie smettono di funzionare, il credito si mostra inattingibile. Quegli equilibri posticci saltano. E quando emerge dai dati dai diffusi dall'Istat che nel 2012 in Italia il numero di persone che vivono in povertà relativa è aumentato a 9. 563.000, pari al 15,8% della popolazione, mentre quelle in povertà assoluta sono risultate pari all'8%, ossia 4 milioni 814 mila, sono dolori! Dolori, si! La chiosa di von Mises, letta oggi non lascia scampo: “Questo è il sistema di causa/effetto del libero mercato. I consumatori sono in carica e sono spietati. I veri padroni nel sistema capitalistico dell'economia di mercato, sono i consumatori. Essi, con il loro acquisto e la loro astensione dall'acquisto, decidono chi deve possedere il capitale e gestire le industrie. Esse determinano ciò che dovrebbe essere prodotto e in che quantità e qualità. I loro atteggiamenti comportano per l'imprenditore un utile o una perdita. Rendono poveri gli uomini ricchi e ricchi gli uomini poveri. Non sono capi semplici. Sono pieni di capricci e fantasie, mutevoli ed imprevedibili. A loro non importa un briciolo del merito passato. Appena viene offerto loro qualcosa che gradiscono di più o che è più economico, abbandonano i loro vecchi fornitori. Per loro niente conta di più della loro soddisfazione. Non si preoccupano affatto degli interessi acquisiti dei capitalisti né della sorte dei lavoratori che perdono il posto di lavoro se i consumatori non comprano più quello che solevano comprare.” Figuriamoci quando addirittura non possono. Che dire: ce ne sarà per tutti o forse per nessuno. Prosit ! Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

venerdì 19 luglio 2013

TUTTO TORNA, OCCORRE IMPIEGARE IL PROFITTO

La crisi! La crisi sta qui, lo rileva l'Istat: Nel 2012 la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.419 euro, in ribasso del 2,8% rispetto all'anno precedente, precisando che la spesa è fortemente diminuita anche in termini reali. La caduta della spesa media mensile registrato nel 2012, pari al -2,8%, risulta la più forte dall'inizio delle nuove serie storiche dell'Istat, avviate nel 1997. Si taglia soprattutto a tavola, proprio dove si sprecava il 30% dell'acquistato, insomma meno spesa. Se tanto mi da' tanto, meno spesa pure tra le Imprese dice ancora l' Istat: nel primo trimestre 2013 il tasso di investimento e' sceso al 19,5%, con una diminuzione di 0,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1,5 punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2012. Era al 23% nel primo trimestre 2008. La spesa pubblica poi, quella che “se tocchi i fili muori”, si tenta di ridurla senza se, senza ma per ridurre il debito! Il Pil, che della spesa aggregata si nutre, così s'ammoscia. Quest'anno i previsori, prevedono -1,9%; per gli anni passati è andata pure peggio. Quando tutto questo si mostra, si mostra pure altro: Essì, tutto torna. La quota di profitto delle società non finanziarie, spiega l'Istat, si e' attestata al 38,3%, con una diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,8 punti percentuali nel confronto con il corrispondente trimestre del 2012. Fiuuuu: era al 44, 3% nel primo trimestre 2008. Orbene, se le quote di quel profitto che si va così riducendo ( – 6% in cinque anni ) fossero state investite per ridurre il prezzo delle merci, si sarebbe potuto ottenere da un lato un aumento della capacità competitiva, rifocillando dall'altro la capacità di spesa delle famiglie; si sarebbero fatte spese in conto capitale, che invece ristagnano; con il prelievo fiscale rifocillata la spesa pubblica: tutti, insomma, insieme a fare il Pil. Giust'appunto, si sarebbero potute allocare meglio quelle risorse di ricchezza che invece ancor oggi bruciano al sole di una calda estate. Nulla è perduto però, restano ancora 38 colpi in canna. Si potrà continuare a sparare alla luna, qualche colpo si potrà sparare pure alla crisi. Mauro Artibani, l'economaio Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com