martedì 30 maggio 2017

CONFINDUSTRIA FA I CONTI SENZA L'OSTE

Un patto di scopo per la crescita che coinvolga imprenditori, lavoratori e loro rappresentanti, politica, banche e istituzioni finanziarie. Non "un patto spartitorio dove ciascuno chiede qualcosa per la propria categoria. Ma il suo esatto contrario, dove ciascuno cede qualcosa per il bene comune". E' questo l'appello del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, lanciato in occasione dell'assemblea annuale dell'Associazione. L'obiettivo è quello di inaugurare una "nuova stagione di coesione" agendo tutti insieme per il bene del Paese.
"Dobbiamo essere consapevoli - ha avvertito Boccia davanti ai rappresentati del governo, della politica, del sindacato e delle banche - di questa fase delicata della vita del Paese, abbiamo invertito la rotta, ma i divari aumentano: tra imprese, tra giovani e Società, tra cittadini". Da questa consapevolezza e "dal timore che si possano fare passi indietro - ha spiegato - dobbiamo definire tra imprenditori, lavoratori e loro rappresentanti, politica, banche e istituzioni finanziarie, un Patto di scopo per la crescita con l'obiettivo di uscire dalle criticità italiane e costruire un'effettiva dimensione europea".
Secondo Boccia "possiamo andare oltre, verso nuovi e più alti traguardi". Ma per farlo "non dobbiamo lasciare indietro nessuno. La nostra forza viene dal sentirci parte di una comunità e dal nostro agire collettivo", ha aggiunto. Del resto l'Italia "è cresciuta di più quando più forte è stata la coesione sociale, che non significa annullare le differenze, ma dare a ciascuno la fiducia e gli strumenti perchè possano essere superati".
Dunque ricapitoliamo, nell'economia dei consumi, si mette in campo un patto di scopo per fare la crescita. Un accordo da farsi con:
gli imprenditori, quelli che hanno mal gestito i fattori, tanto da trovarsi magazzini di invenduto;
i lavoratori, rei di aver riempito quei magazzini;
i sindacati, che hanno visto scippato dal mercato la contrattazione;
la politica, che affetta da ragioni fragili, parla a vanvera;
banche e istituzioni finanziarie poi... peggio di cosi?
Che patto ragazzi: quattro debolezze insieme fanno una forza?
Quando si fanno i conti senza l'oste, aivoglia a far patti.
Già, manca l'oste, quello che proprio nell'economia dei consumi, da le carte e comanda il gioco.
Là, dove la crescita si fa con la spesa, non con la produzione nè con il lavoro, comanda chi fa la spesa; caparbio, se ha i soldi in tasca fa i 2/3 di quella crescita.
Un consiglio: invitatelo, ma ancor più, coccolatelo per farlo spendere!

Mauro Artibani



martedì 23 maggio 2017

BCE, ROBE DA MATTI!

Nell'area euro oltre un attivo su sei, il 18 per cento, risulta coinvolto dal problema della disoccupazione o della sotto occupazione. Lo rileva la Banca centrale europea, che in un riquadro di analisi, del bollettino economico, solleva rilievi sui parametri di catalogazione internazionali sui disoccupati, quelli stabiliti dall'Ilo (l'Ufficio sul lavoro dell'Onu) a cui si attiene anche Eurostat e gli enti di statistica nazionali.
Occhio, emerge che i recenti miglioramenti del mercato del lavoro appaiono più limitati di quelli del solo tasso di disoccupazione.
Il tasso di disoccupazione mostra il sotto utilizzo del lavoro. In base ai criteri Ilo, i disoccupati sono catalogati come tali se, primo, non hanno una occupazione, secondo, sono pronti a iniziarne una entro due settimane e, terzo, mostrino di essere impegnati in una ricerca attiva del lavoro.
"Tuttavia, definizioni più ampie potrebbero risultare rilevanti per soppesare la complessiva carenza del mercato del lavoro, in particolare guardando a due gruppi. Il primo è quello di coloro che sono senza lavoro ma mancano degli altri due requisiti. Il secondo è quello di coloro che lavorano a tempo parziale, laddove preferirebbero lavorare a tempo pieno". Attualmente il primo gruppo, a livello statistico, viene incluso negli inattivi, il secondo negli occupati.
"Sommare le stime della disoccupazione e della sotto occupazione, con misure più ampie della disoccupazione, suggerisce che la carenza complessiva del mercato del lavoro coinvolge il 18 % della forza lavoro. Questo livello di sotto utilizzo - rileva la Bce - è quasi il doppio del valore fotografato dal tasso di disoccupazione, che attualmente si attesta al 9,5 %". Gulp!
C'è dell'altro, il tasso di occupazione della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni nell'Ue sta al 65%. Gasp!
Maledizione, la Bce dopo averlo stimato e detto, continua a voler fare le nozze con i fichi secchi con i suoi obiettivi di politica monetaria e di normalizzazione dell'inflazione.
Dispone un meccanismo che consente, a quelli del credito, di offrire a debito denari a chi, disoccupato-inoccupato-sottoccupato, non ne ha e che non dispone del merito di credito per prenderli. Si, è vero che la crescita economica non si fa con il lavoro; si fa con la spesa però.
Già, proprio con quelle azioni monetarie che mirano a portare l'inflazione al 2% tagliando ancor di più il potere d'acquisto: robe da matti!
Un momento: secondo quanto evidenziato da un report del World Economic Forum, "il 65% dei bambini attualmente alle elementari domani farà un lavoro che oggi non esiste".
Toh, magari, Il lavoro di consumazione?
Beh, se remunerato, almeno loro, potranno così fare la spesa per fare la crescita economica.
Robe da matti?

Mauro Artibani



mercoledì 17 maggio 2017

I DAZI SO' C....!

"Combatteremo per i lavoratori americani e per l'acciaio americano, a partire da ora. Per decenni, l'America ha perso posti di lavoro e fabbriche per un commercio ingiusto, ma cambieremo le cose". Ci risiamo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha presentato la direttiva firmata, che dà la "priorità immediata" a un'indagine del dipartimento del Commercio sull'importazione di acciaio e sulla possibilità che rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale. Si tratta di un settore "in cui non possiamo essere dipendenti dai Paesi esteri".
Trump ha intenzione di appellarsi a una legge del 1962 per imporre restrizioni alle importazioni di acciaio per ragioni di sicurezza nazionale, in base al fatto che viene usato per la costruzione degli scafi delle navi, dove è necessario un alto standard di sicurezza che, secondo l'amministrazione Trump, potrebbe non essere garantito dalle aziende non statunitensi.
Si tratta di una nuova mossa di Trump per portare avanti la sua agenda, che prevede di avvantaggiare i prodotti e i lavoratori statunitensi. A sentire il suo dire cerano alcuni degli amministratori delegati del settore dell'acciaio.
Gli Stati Uniti, nel 2016, hanno importato 30 milioni di tonnellate di acciaio, usati nella costruzione di palazzi, ponti, dighe e impianti per la lavorazione del gas e del petrolio. I principali fornitori sono Canada, Brasile, Corea del Sud, Messico, Giappone e Germania.
Dunque, a colpi di dazi, si combatte in nome e per conto dei lavoratori a stelle e strisce.
Si, quei dazi, che facendo fuori i concorrenti non fanno scendere i prezzi anzi li fanno salire diminuendo il potere d'acquisto di quei lavoratori verso i quali si scalpita.
Non basta, in nome e per conto di quei dazi, chi li mette li aspetti: se dazi tu dazio anch'io.
Daziano tutti, chiuse le porte, le merci non passano, si dovrà ridurre la produzione, l'occupazione , il lavoro e i salari: gulp!
Si insomma dazio x dazio = sessan'cazio.
Dazio io, dazi tu, daziano tutti: dannazione, la crescita economica si fa con la spesa, con questi chiari di luna come faccio a farla?

Mauro Artibani


mercoledì 10 maggio 2017

IL POTERE DELL'ACQUISTO MUTA DA VERBO A SOSTANTIVO

Nel 2016, le famiglie hanno aumentato la spesa per consumi (+1,3%) in misura inferiore rispetto alla crescita del reddito disponibile (+1,6%); di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie sale all’8,6% (+0,2 punti percentuali). “Il fatto che la spesa per consumi sia salita in misura inferiore rispetto al reddito disponibile, dimostra che anche le famiglie che riescono ad arrivare a fine mese sono restie a mettere mano al portafoglio, non avendo fiducia nel futuro. L’incertezza per la propria condizione economica ed il rischio di manovre correttive non facilita la ripresa, riducendo la propensione al consumo”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
“Quanto al rialzo del potere d’acquisto, è merito solo della deflazione, che non si registrava dal 1959. La cosa più grave, comunque, è che la situazione peggiora invece di migliorare: la spesa per consumi finali, infatti, scende dal +1,5% del 2015 al + 1,3% del 2016”, conclude Dona.
Fatti i conti, visti i confronti, ancora una volta ci risiamo con il sempiterno potere di fare la spesa. Già, ma cos'è?

Nella definizione statistica dell'Istat il potere d'acquisto misura il reddito lordo disponibile delle famiglie in termini reali, ottenuto utilizzando il deflatore della spesa per consumi finali delle famiglie espressa in valori concatenati con anno di riferimento 2000.
Per la burocrazia economica, solo una misura, oltre il notaio, molto altro.
Nell'economia della produzione, lineare e aperta, quel potere fa il verbo tra il soggetto, lavoro, ed il complemento, spesa. Un portafoglio, insomma, che si riempie lavorando e si svuota acquistando quello di cui si ha bisogno.
Nell'economia dei consumi, circolare e continua, quel verbo muta in sostantivo. Si, nella sostanza di chi governa il processo produttivo: con la spesa si fanno 2/3 della crescita, con la domanda si gestisce l'offerta e il prezzo; facendo switching migliora la redditività del reddito, con l'esercizio di consumazione si genera nuova produzione, occupazione e lavoro.
Chi vorrà sottrarsi a questi diktat?
Potere, si, oltre la volontà di potenza; consenso di individui che trovano un interesse all'obbedienza.
Dubbi?
Possibili, quando si stava in quel sistema lineare, aperto.
Impossibili, quando si sta in uno circolare e continuo.
Nell'economia della produzione, con un portafoglio vuoto cresceva il bisogno; nell'economia dei consumi decresce tutto!
La forza del consumatore non sta nel poter acquistare quanto nel potere che deriva dal farlo.


Mauro Artibani


mercoledì 3 maggio 2017

AL MERCATO SI PUO' FARE LA SPESA 4.0

Della quarta rivoluzione industriale, la 4.0, quelli di McKinsey dicono: Il 45% delle attività, che retribuiscono chi lavora, potrà essere automatizzata. Sono almeno 8 milioni negli Stati Uniti e addirittura 15 milioni in Gran Bretagna i posti di lavoro messi a rischio dall’Intelligenza artificiale.
Gulp!
Si, gulp, perchè se il lavoro si riduce così come il reddito che lo retribuisce, i consumatori vanno stand by, le imprese in game over. Tutto questo altera l'efficiente impiego dei fattori della produzione, pure la produttività dell'intero sistema.
L'occasione fornita dalle nuove tecnologie di rendere di nuovo efficiente l'impiego di questi fattori produttivi, è ghiotta: per i consumatori l'occasione di poter approfittare di quel "Digital dividends" che consente di recuperare capacità di fare reddito facendo offerta della domanda per sanare quel gap, che non consente ai consumatori di poter fare tutta la spesa necessaria a tenere attivo il ciclo economico.
Digital dividends, perchè nell'Econonomia dei Consumi c'è più valore da estrarre dell'esercizio del consumo che da quello nella produzione.
Come estrarlo? Big data!
Si, big data, Il “file” dice di noi; cresce ogni giorno, con migliaia di dati che vengono raccolti, classificati ed elaborati in modo da costruire profili appetibili per inserzionisti pubblicitari pronti ad acquistarli.
Questi big data, vengono negoziati dagli inserzionisti con piattaforme di trading automatizzate; i Programmatic Advertising, con meccanismi ad asta in tempo reale. Chi vende il dato riceve una quota del prezzo che l’azienda acquirente dello spazio pubblicitario ha pagato. Nei mercati digitali la moneta con cui si acquistano i banner è il CPM, il costo per mille visualizzazioni di uno spazio pubblicitario, e il prezzo corrente dei dati oscilla tra 0,50 e 2 euro CPM.
Le Imprese li acquistano poi li interpretano, infine producono per offrire quel che vorremmo.
Un problema: loro hanno prodotto quel che vorremmo, non quel che possiamo acquistare.
Bene, qui scatta il dividents:
Vale il rischio spendere, 150 miliardi di dollari, per acquistare delle "impressioni"?
Vale il rischio spendere per acquistare dai Consumatori le emozioni, le passioni, pure quel che resta del bisogno migliorando così proprio il loro potere d'acquisto?
Mentre loro riflettono, i Consumatori fiduciosi di aver fatto una offerta conveniente, restano attesa.
Nell'attesa, vale il rischio di fare Network*: tra la respondabilità del ruolo e il vantaggio da incassare i Consumatori si fanno Impresa; le tecnologie 4.0" forniscono la possibilità.
Un sito internet mostra in home, il sovrappeso degli associati - il loro vestire alla moda – l'andare in giro in Suv poi un urlo: SIAMO OLTRE IL BISOGNO
Dunque, con i tablet e gli smart phone che indossiamo ovunque andiamo, 24/24/365, si fa la lista delle nostre voglie. Le voglie di tutti fanno massa critica; il network le mette in bella mostra, ne fa offerta e attende domande al rialzo.
Ai connessi delle imprese, oltre l'offerta in tempo reale, arriva un alert: "Il prezzo pagato deve poter far acquistare quel che si vuole vendere; così Voi nuovamente produrre, Noi poter fare i 2/3 della crescita economica."
Bene, un nuovo equilibrio che vincola le imprese a fare utili se e quando i consumatori aumentano il potere d'acquisto; dentro quel "libero mercato Spa". Si, soci che lavorano appassionatamente per fornire continuità al ciclo della produzione.

* Allegato al libro, Il business plan del network: "La domanda comanda comanda, verso il capitalismo dei consumatori; ben oltre la crisi"

Mauro Artibani