mercoledì 27 maggio 2015

IL MESTIERE E' MESTIERE

Era già tutto scritto prima della crisi, viene conclamato quando la crisi scoppia, fin'oggi quando ancora ristagna: la produzione si fa sovrapprodotto ed il lavoro quel che sovrapproduce. I redditi, estratti da queste sovraperformance, sottorenumerano.
Così, se quelle risorse di reddito disponibili vengono per intero spese nell'acquisto di beni di consumo e restano ancora beni invenduti tocca innovare il processo di consumazione per non farci urlare dietro: renitenti!
Innovare si deve, appunto, quando l'alto costo del processo di consumazione lascia troppo non consumato da consumare.
Non male. Una forma di innovazione di processo che sia in grado di trasformare un costoso bene di consumo in un bene meno costoso o, ancor meglio, in una fonte di profitto.
Il ruolo lo impone, la necessità di rifocillare il potere d'acquisto lo esige; l'obbligo di spendere, per tornare a fare la crescita, lo rende indispensabile. A tutti gli altri tocca fare il tifo.
Proviamo: nella filiera del consumo si va dall'acquisto del prodotto confezionato al consumo, poi allo smaltimento del consumato. Costi si sommano a costi: oltre l'acquisto del prodotto pago "l'incarto", infine vengo tassato per smaltire il consumato.
Eggià, sempre più merci si agghindano per potenziare il "valore visto"; quel vestito può far lievitare due volte il prezzo, non altrettanto il valore reale.
Pago pure per aver fatto del prodotto un residuo, tassando il mio esercizio di ruolo.
Signori, matura il tempo di rifare i conti:
se esercito il potere della domanda chiedendo merci svestite d'incanto, le Imprese dovranno adeguarsi, magari pure riducendo i costi del prodotto;
se c'è valore residuo, nel residuo da smaltire, è mio: gli scontrini che ho in tasca lo mostrano. Giust'appunto, rifiuti che valgono oro. Il “megatrend” mondiale lo segnala Bank of America–Merrill Lynch. Lo studio dedicato al settore dei rifiuti la dice lunga: "dal trash al cash." Il mercato vale oggi un trilione di dollari (410-433 miliardi di dollari per la sola gestione dei rifiuti solidi urbani) già nel 2020 varrà il doppio. In Italia il comparto vale già 20 miliardi di euro.
Eggià, se tanto mi da tanto, lo vendo ai riciclatori: ci guadagno. Dispenso le Amministrazioni pubbliche locali dall'inefficiente gestione del servizio, rimetto in tasca pure il prelievo fiscale.
Signori, questo s'ha da fare. Fatto, l'efficiente gestione degli estremi della filiera consente di migliorare la produttività dell' intero esercizio di consumazione ricavandone un aumento del margine di spesa.
Eggià, il mestiere è mestiere!

Mauro Artibani




giovedì 21 maggio 2015

QUELLA MERCE CHE FA USCIRE DALLA CRISI

Qualunque cosa che risolve necessità, e ce n’è pure poca in giro, viene considerata un Bene.
Così un bene fa bene. Per questo si anela, fa prezzo, si acquista. Si avvia così un ciclo virtuoso che trasforma quel bene in ricchezza che, distribuita, remunera il lavoro di chi l'ha prodotta; che, smaltita, si dovrà riprodurre; che, per riprodurla, occorrerà lavorare, etc. etc: salute!
Già, salute a tutti quelli che da un ciclo di tal fatta traggano beneficio.
Ah, dimenticavo, due sono le condizioni necessarie e sufficienti a che tutto questo accada: chi vuol guadagnare da tal valore deve farne merce e chi la anela deve avere denaro per acquistarla.
Banale? Banale sulla carta, al mercato invece tuttun'altra storia.
Andiamo con ordine:
prima c'erano poche merci, tanti bisogni e pochi denari; poi aumentarono i denari e le merci che danno ristoro ai bisogni; poi ancor più merci non altrettanti denari e quei bisogni soddisfatti, eppoi eppoi eppoi, un corno: con bisogni soddisfatti e merci in sovrappiù quei beni si dimenano non più scarsi, ancor meno necessari.
Niente paura, in un mercato efficiente, beni che vanno in affanno trovano il soccorso di beni fatti all'uopo per dare ristoro. Beni che vanno insomma, beni che vengono.
Bene? Benissimo quel denaro che fa girare ancora il ciclo, che fa produrre e fa spendere.
Ecchè bene, un credito per spendere in beni nuovi di zecca che danno ristoro a bisogni anch'essi nuovi di zecca.
Eccolo belleppronto, puro distillato delle politiche di reflazione messe in campo: credito come se piovesse, a basso costo, che riempie portafogli sgonfi a debito.
Appetito, tutti ingozzano, si approvigionano e riapprovvigionano fino ad andare oltre, oltre il lecito.
Gulp! Gli Istituti eroganti, tra crediti incagliati e l'aumento dei requisiti per l'erogazione, smettono di erogare. I Consumatori, ancor più affrancati dal bisogno, non si crucciano anzi ritirano di soppiatto la domanda.
Già la Domanda, di quelli dei prodighi e men che mai satolli, manca. Quella domanda necessaria ai produttori per vendere, indispensabile per spendere, tenere attivo il ciclo e fare la crescita.
Scarsa , scarsissima, diviene un bene di inestimabile valore che dovrà fare prezzo. Fatto, rifocillerà il potere d'acquisto dei prodighi, magari pure il potere saldare quei debiti e vivaddio uscire dal buio della crisi a riveder le stelle.

Mauro Artibani



giovedì 14 maggio 2015

SIGNORI, SI CAMBIA: DAL LAVORO NELLA PRODUZIONE A QUELLO NEL CONSUMO

Secondo una recente ricerca americana ben il 47% dei posti di lavoro negli USA risultano a rischio, per un incremento della tecnologia, nei prossimi 20 anni.
Beh, dal momento che chi ha tempo non aspetta tempo già oggi alcuni degli articoli e delle notizie di agenzia che possiamo leggere sul web, sono prodotto di complessi algoritmi informatici. Un algoritmo risulta già in grado, nella vendita al dettaglio, di dare risultati migliori di un venditore umano grazie alla grande quantità di dati che è in grado di considerare. Un altro settore messo a rischio dalla tecnologia è poi quello della logistica, nella quale si stanno affacciando veicoli completamente automatici in grado di organizzare automaticamente magazzini; per non parlare di settori come agricoltura e trasporti dove, veicoli a motore e agricoli, potrebbero essere già facilmente guidati da un computer.
Uno scenario, questo, che prefigurerebbe una società molto differente da quella attuale nella quale poche persone fisiche o giuridiche, che possiedono macchine, sarebbero i soli in grado di guadagnare, togliendo così ogni fonte di reddito alla classe media.
D'altronde già nel dicembre di due anni fa Amazon aveva dichiarato l’inizio di un progetto test di consegna pacchi attraverso i droni.
Nel frattempo una società inglese, Mole Solutions sta sviluppando un progetto all’opposto: dall’aria al sottosuolo, cioè utilizzare o creare una rete sotterranea di tunnel nelle grandi metropoli. Obiettivo: diminuire il traffico stradale e creare un’alternativa alla più rischiosa soluzione dell’utilizzo dei droni.
Il governo inglese poi sta sostenendo forti finanziamenti nell’innovazione nel settore dei trasporti: nuovi sistemi di movimentazione, brevetti di “mobilità intelligente”, auto senza conducente, sensori sotterranei e nuove condutture di trasporto merci.
Sempre gli Anglosassoni, quelli di Oxford, prevedono addirittura ancor più gramo il reddito che viene dal lavoro umano: il 45% verrà fatto da esseri non umani e, gulp, il tasso di occupazione ancor più giù.
Un dato lo dice: secondo l'International federation of robotics, "nel 2014 le vendite dei robot industriali si sono impennate del 27% rispetto ai 12 mesi precedenti. "
Cavolo. Manca solo il carico da undici. Eccolo: Senza innovazioni e investimenti nel capitale umano "rischiamo una disoccupazione di massa". Lo dice il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, intervenendo alla presentazione del libro 'Investire in conoscenza e innovazione'. Visco ha sottolineato che "nel giro di 10-20 anni un lavoro su due scomparira'
Brrrrrrrrrrr... mancherà il lavoro ed il reddito da quel lavoro?
Ennò Signori non cospargiamoci il capo di cenere, se non c'è più trippa per i gatti o cambiamo pietanza o ci liberiamo dei gatti!
Innovazione ed investimenti nel capitale umano per resistere?
Prendiamo il Governatore in parola, non per resistere ma per andare all'attacco.
Se la crescita si fa con la spesa, non con la produzione nè con il lavoro, vi è più valore nel consumare che nel produrre!
L'innovazione sta nel fare di questo valore un prodotto da mettere sul mercato. Del capitale umano, messo in campo nel fare la spesa, ne abbiamo da vendere. Anzi lo vendiamo a tutti quelli che avendo corposamente aumentato la capacità produttiva vorranno smaltirla.
Pressappoco una partita di giro tra i consumatori e le imprese.

Mauro Artibani

giovedì 7 maggio 2015

ALLA CORTE DEI CONTI I CONTI TORNANO

Il potere d'acquisto mostra inesorabilmente lo stato dell'equilibrio tra i redditi e la produzione.
Lo sanno alla Corte dei Conti. Fanno i conti poi presentano il conto con un documento depositato al Senato, in occasione delle audizioni sul Documento di economica e finanza.
I consumi delle famiglie, a causa della crisi, sono tornati ai livelli del secolo scorso. Nel 2014 risultano inferiore del 7,7% rispetto al 2007.
Le esportazioni non sono così distanti dai livelli pre-crisi (-1,4 per cento)
Il Pil era alla fine del 2014 dell’8,9 per cento inferiore al livello del 2007.
Gli investimenti hanno perso 1/3 del loro valore rispetto al 2007 (Toh. Proprio come la produzione industriale, n.d.r.).
Le unità di lavoro sono cadute di 800 mila, il tasso di disoccupazione è cresciuto di 6,6 punti percentuali, il 13 per cento alla fine del 2014.
Durante i sette anni di crisi le retribuzioni lorde pro-capite sono cresciute dell' 11 per cento.
I prezzi sono cresciuti nello stesso periodo del 12,3 per cento.
La produttività è diminuita anch’essa dell -2,1 per cento, alzando il costo unitario del lavoro del 12 per cento.
Tutto ciò, secondo la magistratura contabile, ''ha ulteriormente peggiorato la competitività di prezzo dell’Italia rispetto agli altri partner dell’area euro e della Germania in particolare".
Già, con i conti de 'sti contabili a conti fatti è un bel casino: prima della crisi il potere d'acquisto, fatto di redditi insufficienti, non faceva smaltire quanto prodotto. Con questi squilibri si è entrati nella crisi dove quella sovraccapacità brucia ricchezza potenziale. Oggi, in mezzo alla crisi, quella sovraccapacità si riduce drasticamente: ci sono così meno merci da acquistare rifocillando, per via traversa, un potere d'acquisto.
Già, pure però meno agio a disposizione da distribuire.
Si, insomma, sembrano alternarsi le cause, gli effetti invece sempre gli stessi.
Pur cambiando l'ordine dei fattori, insomma, il risultato non cambia: ancora crisi.
Così se i Nostri, dopo aver fatto i conti, con una chiosa certificano: "La ripresa che si prospetta conserva un’intensità del tutto insufficiente a recuperare le ampie perdite di reddito e di prodotto subite nel corso della recessione''.
Chi potrà dar loro torto?

Mauro Artibani