venerdì 30 gennaio 2015

IL BLUFF DEL QUANTITATIVE EASING

Scende il prezzo del petrolio: bene!
Costa meno girare in macchina, aumenta il potere d'acquisto; costa meno fare merci. Va bene per chi le produce e chi le acquista.
Scende il prezzo dell'Euro: bene!
Migliora la bilancia commerciale Ue, ancor di più la capacità competitiva delle imprese continentali.
Avanti tutta per la crescita con la deflazione allora?
Macchè, si fa in tutt'altro modo.
L'atteso annuncio arriva dalla conferenza stampa del presidente della Bce, Mario Draghi, successiva al direttivo dell'Eurotower. La Banca centrale europea interviene per il rilancio dell'economia con un massiccio programma di acquisto titoli, per l'importo di 60 miliardi di euro ogni mese a partire da marzo. Il programma di quantitative easing (allentamento quantitativo) consiste nell'aumento della quantita' di moneta in circolazione tramite l'acquisto di titoli di Stato e altre obbligazioni.
L'obbiettivo: contrastare i rischi di deflazione, riportando il tasso di inflazione verso il 2%, e agevolare il credito.
Il conforto, a Draghi, per cotanto fare si spreca: Le misure della Bce daranno piu' certezze e piu' potere di acquisto permettendo anche ai cittadini di spendere di piu'.
Per tutti dice il ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, in una conferenza stampa a Davos: "Per un cittadino italiano cambia, c'e' piu' potere di acquisto e piu' certezza per il futuro. Quindi ci sono buone ragioni per aumentare la fiducia nel futuro e quindi l'invito a famiglie e imprese, che nel frattempo stanno aggiustando i loro bilanci, e' quello che si puo' iniziare a spendere di piu' e le imprese a investire di piu', tenendo conto anche del calo delle tasse".
Con cotanto dire si intende dire: sostegno alla domanda per acquistare, far vendere e ri-produrre.
E qui c'è il bluff: si dice sostegno alla domanda, magari con il debito, si intende dire sostegno ai prezzi.
Essipperchè, se il sostegno alla domanda si ottiene già deflazionando, all'opposto il sostegno ai prezzi si tenta reflazionando.
Giust'appunto si tenta. Seppur lecito tentar di dar sostegno ai prezzi, il farlo si mostra inefficace e qui sbandano le politiche monetarie.
Quale sostegno avrà quella domanda, per fare la crescita, quando a regime i prezzi saranno aumentati supperggiù del 2%?
Quale sostegno avranno le Imprese per vendere, da quei prezzi che non fanno spendere?
E, ancor di più, perchè gli abitanti del vecchio continente, abbondantememente affrancati dal bisogno, dovrebbero trovare conveniente spendere a debito per dar sostegno ai prezzi?

Mauro Artibani



venerdì 23 gennaio 2015

RICAPITOLANDO LA CRISI

Dalle stelle alle stalle e ritorno, ovvero quel che si faceva, quel che non si è potuto più fare, quel che si dovrà tornare a fare.
Quando il sistema produttivo stava a regime, accadeva che i Consumatori, con il loro fare, attribuivano valore alle merci che trovavano al mercato, poi le acquistavano trasformandole in ricchezza; pagando l'Iva finanziavano la spesa pubblica. Non paghi, consumavano l'acquistato; nello smaltirlo finanziavano la spesa pubblica locale con l'ex Tarsu. Pregni di cotanto fare facevano ri-produrre, dando continuità al ciclo e sostanza alla crescita. Se poi, dopo tanto fare, restava in tasca il resto lo si investiva per finanziare gli investimenti.
Mentre tutto questo accadeva, accadeva pure che le Imprese vendevano il prodotto facendo utili, le maestranze lavoravano portando i soldi a casa, lo stato spendeva......tutto filava liscio come l'olio.
Se tanto da' tanto a tutti perchè non fare di più?
Detto fatto, diventa merce tutto, finanche la sete, la pipì e la sosta*. Già, pure le funzioni fisiologiche messe sul mercato fanno il Pil: tutto a più non posso.
Già, a più non posso fin quando il portafoglio tiene. Quando s'affloscia ed il resto non resta allora si fa debito, che quando è troppo è troppo e si arriva alla fine della fiera.
Così, quando quel portafoglio sgonfio smette di dare agio alla sequenza ordinata di quelle otto azioni di ruolo, siamo tutti, ma proprio tutti, ficcati in un bel guaio: è la crisi bellezza!
Essì, con quel poco, venne il tempo del troppo. E quando è troppo è troppo! Il valore di tutte qelle merci non lo riconosco, ancor meno le acquisto; svalutate, in magazzino si afflosciano svalutando pure il lavoro che le ha prodotte, così pure le risorse messe in campo. E se non c'è trippa per i gatti, figurati per finanziare l'erario e gli investimenti. Si scassa tutto, insomma, aumenta la sovraccapacità, viene ridotta la produzione, ahi Loro pure gli utili; gira meno lavoro e quel che resta pagato meno. Quel che tra le macerie resta rischia di valere un soldo bucato.
Già, proprio il soldo che è mancato per tenere lubrificato quel sistema produttivo, circolare e continuo, dove tutti gli agenti stanno ancora invischiati.
Quel soldo, l'unico, che può lenire le sviste restituendo lo sguardo per tornare a vedere il valore, dare la spinta per riattivare il ciclo e ripristinare pure il valore dell'altrui fare.
Per i Nostri, un vantaggio competitivo che cotanto fare, con quei soldi la spesa, mostra; da mettere a profitto quando si dovrà mettere mano ad una più adeguata allocazione della ricchezza che ancora in giro gira.
Per un nuovo equilibrio, non vaquo, equo. Buono proprio per chi è più equo degli altri.

**Mauro Artibani:"dopo tanto andare a zonzo per fare acquisti, la vita chiede conto con l’arsura. Quella fontanella che gli sta dappresso asciutta, nei pressi frizzanti minerali, impudicamente esposte nel distributore, ammiccano: 2/3 di litro = 1,50 €. Ne beve e da lì a far la pipì il passo è breve, anzi lungo, il wc sta più in là. Lì stanno tutti in fila per pagare prezzo: 0,80 €. Quando torna a prendere l’auto paga la sosta, il tempo dell’acquisto: 2,50 €."
Dal format: Crisi, trovato il bandolo della matassa.

Mauro Artibani

venerdì 16 gennaio 2015

LA CRISI E L'EQUO COMPENSO


Strano quel mercato dove stanno una merce e spiccioli di denaro. Ci stanno cento imbuti, quei cosi prodotti con i derivati del petrolio, che sono un servizio: trasferiscono liquido da un contenitore ad un altro.
Poi gli spicci, cento euro.
Bene, a queste condizioni quale può essere il prezzo di un imbuto?
Se fosse due euro resterebbero cinquanta imbuti invenduti.
Se fosse cinquanta centesimi resterebbero cinquanta euro inutilizzati.
Se fosse un euro, verrebbero venduti tutti gli imbuti, spesi tutti i soldi.
Ora usciamo dal vago, incontriamo gli attori che stanno dietro le quinte di tale rappresentazione: le Imprese che hanno gestito i fattori per produrre gli imbuti, chi ha lavorato per produrli, chi con quei denari deve acquistarli.
Bene, cosa accade al fare economico di questi tizi quando si formano tali prezzi?
Nel primo caso il valore dell'invenduto verrebbe svalutato, il guadagno tagliato.
Nel secondo caso quel denaro che resta, non avendo niente da acquistare, varrebbe una cicca; mancando pure le cicche, niente.
Nell'ultimo caso, chi ha prodotto ha potuto vendere, chi ha lavorato ha guadagnato, chi voleva l'imbuto ce l'ha. Non è neanche male veder valutato al meglio il valore della merce e del denaro.
Essì, così ci siamo.
Evviva l'imbuto, insomma, per quelli che con l'imbuto vivono. Stanno in fila: quelli che remunerano, quelli remunerati e quelli che il remunero lo spendono.
Stare insomma nel circolo della produzione e fare per dare spinta a chi sta dinnanzi. Così si produce, così si lavora, così si acquista, così poi si ri-produce, si ri- lav.....tutti insieme appassionatamente.
Tocca fare pure un po' di polemica, mica tanta però! Se con la vendita si fanno gli utili che poi remunerano e con quel remunero fare la spesa, si fa quel che si deve ottenendo pure effetti collaterali apprezzabili: tenere attivo il ciclo e l'occupazione.
Il si deve ha però bisogno del si può; il si può dell'equo compenso, altrimenti non si fa!
Qual'è l'equo compenso?
Quello che oggi deve stare nelle tasche di tutti quelli che fanno la spesa. Fatta, potrà ricompensare domani tutti quelli del ciclo.
Tertium non datur!

N.B. Quegli imbuti non possono essere utilizzati per travasi di bile.

Mauro Artibani

giovedì 8 gennaio 2015

'CCA NISCIUNO E' FESSO!

Ha redatto l’indice Ghini, Corrado Ghini. Lo statistico italiano così misura la diseguaglianza di una distribuzione: l’indice viene usato per individuare la concentrazione della diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Il massimo della diseguaglianza fa uno, l’uguaglianza fa zero.
I legislatori italiani fanno ancora meglio: la diseguaglianza la eliminano. Con una norma annullano i privilegi di censo vietando a poveri e ricchi di dormire sotto i ponti.
La magistratura sentenzia i renitenti alla norma mostrando, urbi et orbi, come la legge sia uguale per tutti.
E questa è fatta.
Ricchi e poveri insomma stiano in campana, non potendo più dormire sotto i ponti avranno altro da fare.
Così, tra quel che Ghini misura e l’Ocse indaga, sembra scorgersi che proprio la diseguaglianza all’interno di una società sempre più bi polarizzata, avrà al 2040 un impatto sulla crescita pari a un -0,35%.
Ci risiamo, quella diseguaglianza, brutta e cattiva, cacciata dalla porta rientra dalla finestra.
L’Etica, corroborata dalla Morale, sbraita; l’Economia dei Consumi invece va oltre, non misura l’eguale, misura l’equo e rifà i conti: se per migliorare la capacità produttiva l’ Impresa riduce il lavoro ed il costo di quel lavoro e quelli che ancora lavorano fanno di più a meno, i Consumatori addirittura acquistano ben oltre il bisogno e tutto questo fare, per far quadrare i conti, viene condito con politiche monetarie lasche, che hanno alterato i prezzi e rifocillato il debito, beh…allora onore al merito di tutti ma senza spocchia. Essipperché l’alta resa produttiva, messa in campo da ogni singolo tizio, ha squassato l’intero.
Gia, in un sistema produttivo circolare e continuo se la produttività dell'intero non fa premio sulla produttività dei singoli agenti che vi operano, salta il banco. Così incastrati dalla crisi occorrerà rifare quei conti, fatti un tempo, per trovare un'equità più acconcia al tempo presente.
Equo è quel remunero che paga il contributo fornito dal fare produttivo degli agenti economici alla generazione della ricchezza: a contributo dispari non può esservi contribuzione pari.
Pari e dispari. Altro che uguali perchè la crescita, vieppiù la ricchezza, si fa con la spesa.
Fatta, sostiene la produzione ed il lavoro; spinge il ciclo fino a generare, per esempio, il 60% di quei 34.000 mld di dollari che fanno il Pil di quelli del G7.
Tanto vale questa spinta.Il mancato equo compenso di tal valore non smaschera le diseguaglianze, è fesso!
Mina proprio quella crescita che remunera tutti.
Mauro Artibani