mercoledì 31 luglio 2019

IL LAVORO PARTITA DI GIRO

Così le trovo, così le riporto: « Mio figlio dopo la laurea in ingegneria navale, in Italia ha avuto 4 offerte a 500 euro ed è andato a Brema dove lo pagano 3mila euro al mese». «Un mio giovane parente, laureato al Politecnico di Milano in ingegneria industriale e specializzatosi al Delft in Olanda, ha contattato varie aziende italiane. Una di queste gli ha offerto l’assunzione con uno stipendio di 1.250 euro. Il ragazzo ha rifiutato e due mesi dopo è stato assunto da una grande azienda del nord Europa con uno stipendio iniziale di 3.350 euro». «Ho 42 anni, parlo 4 lingue ed ho esperienza manageriale internazionale e chiedevo un basic salary netto di 3.000 euro al mese piu commission. Com’è che continuo a ricevere offerte da Londra, Dublino, Amsterdam, Berlino, Hong Kong e dall'Italia quasi nulla?» Dunque il lavoro, dall'Impresa, viene considerato un costo. Da ridurre, costi quel che costi; ne va della produttività e della competitività necessarie per stare sul mercato. Lo si riduce mediante l'automazione dei processi, la trasformazione digitale, con produzioni capital intensive, finanche facendo pagare dazio a quel lavoro, reo di aver sovrapprodotto quelle merci invendute. Si ottiene, per quelli dell'alta propensione al consumo, non lavoro e/o lavoro sottopagato. Per riffe o per raffe l'impresa, nel trasferire la ricchezza generata dalla crescita economica, mette in conto al lavoro quel costo, pagato con un insufficiente potere d'acquisto. Un momento: pure il lavoro di consumazione, non svolto per quest'insufficienza, finisce con l'avere un costo che deve essere sostenuto da chi trae vantaggio dall'esercizio invece svolto; magari da pagarsi con quanto risparmiato dai trasferenti nel trasferimento. Suvvia, pressappoco una partita di giro oppure... beh, l'innesco del paradosso della parsimonia! Prosit. Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 23 luglio 2019

LA PRODUTTIVITA' DELLA CASA, SENZA L'OSTE

Ogni giorno, nel mondo, vengono fuori dati che non fanno rumore; invece dovrebbero farlo. Nel primo trimestre del 2019 la produttività negli Stati Uniti, relativa al settore manifatturiero, è aumentata al tasso annualizzato del 3,4% rispetto all'ultimo trimestre del 2018; dal 1947 al 2018, la crescita media è stata del 2,1 per cento. Rispetto a un anno prima, la produttività - l'indice viene ottenuto dividendo la produzione per il numero di ore lavorate - è cresciuta del 2,4%, il rialzo maggiore dal terzo trimestre del 2010. Nel primo trimestre, sempre del 2019, il costo unitario del lavoro invece risulta diminuito al tasso annuo dello 0,8%, rispetto ai tre mesi precedenti. Le scorte delle imprese, nel secondo trimestre poi, hanno registrato un +0,8% rispetto a marzo. All'attuale ritmo di vendita, occorrerebbero 1,34 mesi per venderle. Le scorte di auto sono aumentate del 3,8%, il massimo dall'agosto 2018. Che cavolo di produttività è mai quella misurata in casa delle Imprese, gestendo il capitale ed il lavoro, che non sembra far bene a quelli fuori da questa casa se, il Pil reale pro-capite Usa, non sembra far tutto d'oro quel che luccica. L'aspettativa di vita è scesa ben al di sotto di quella di altri Paesi del G7; il reddito mediano di una famiglia americana, al netto dell'inflazione, è salito solo del 2,2% rispetto alla fine degli anni '90, nonostante il Pil reale pro-capite sia aumentato del 23% nello stesso arco temporale; il tasso di povertà è rimasto vicino a quello registrato prima della crisi finanziaria, con quasi 45 milioni di poveri su una popolazione di oltre 300 milioni di persone. Essì, cari padroni di casa della vostra azienda, affinchè non venga sgarupata, occorre saper gestire la produttività, quella di sistema però: la casa dove abitano tutti! Ai Produttori tocca raddrizzare i modi del loro fare rendendo efficiente l’impiego delle riserve di capitale. Se si teme di investire per produrre invenduto, sottraendo denaro alla crescita, si investa per vendere l’eccesso già prodotto; adeguando il prezzo di quelle merci torneranno sufficienti redditi insufficienti, troverà ristoro il potere d’acquisto, mitigato il debito. Si potrà consumare, si potrà tornare a produrre, a lavorare, a crescere, a guadagnare. Eggià, smaltire l’invenduto restituisce scarsità alle merci ripristinandone il valore; l’impresa riacchiappa scampoli di capacità competitiva e.... toh, pure la produttività. Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 9 luglio 2019

3x2 = 6 GANZO!

Ehi, economisti, apologeti dell'Economia della Produzione, prendo di petto un vostro attempato concetto: l'Utilità Marginale di un bene. Cardine della teoria neoclassica del valore in economia, misura l'incremento del livello di utilità, ovvero della soddisfazione, che un individuo trae dal consumo di un bene, ricollegabile ad aumenti marginali nel consumo del bene. Che sia attempata non lo mostra solo il settecentesco Daniel Bernoulli, che per primo ne parla e, passando di bocca in bocca, altri che ribadiscono di una utilità non sempre utile. Nella monumentale formula non una sillaba viene spesa per dedurre cosa accada, nel tempo dell'Economia dei Consumi, al valore di una marginalità vieppiù decrescente. Bene, affinchè sia di monimento, diamo un'occhiata ai fatti. Se ho in casa tutto il bendiddio che si possa desiderare, il desiderio ristagna. Bene, l'utilità marginale decrescente* si annusa guardando di traverso: se si è affrancati dal bisogno si riduce quella del dover fare spesa, pure l'utilità del debito per poterla fare; quella del dover produrre e del dover lavorare al produrre merci da acquistare. Et voilà, quando le altre utilità annaspano aumenta invece l'utilità marginale della domanda di merci. Essipperchè se viene a mancare la domanda, manca il contributo fornito dalla "tiritera"** alla crescita. Con una teoria che non misura questo valore, la crisi - che incarta il mondo dal 2007 - è stato il minimo che potesse capitare. Già, la Teoria economica neoclassica non considera il valore marginale della domanda, inversamente proporzionale a quello della spesa, nè valuta gli effetti collaterali che vengono così generati proprio dentro il meccanismo della produzione del valore. La teoria, appunto; il mercato a volte si, magari, quando fa il 3x2. Già, il 3x2 fa il prezzo dell'utilita decrescente della spesa remunerando la domanda: mia moglie, mia madre e mia nonna acquistano il 3, pagano per il 2. Avranno ciascuno l'1 al prezzo di 0,666666. Per le Imprese, un' iniziativa pro crescita; per la mia Famiglia / gli amici / quelli del pianerottolo e quelli in Gruppi d'acquisto si contiene la discesa dell'utilità marginale del prodotto acquistato; migliorando la redditività del reddito speso si rifocilla il potere d'acquisto. Beh, seppur con pazienza, prudenza e perseveranza, insomma: LA DOMANDA COMANDA! A meno che i soliti apologeti, con le stesse 3P, non vogliano ancor tentare, per arrestare la decrescente utilità marginale della spesa, di utilizzare "un consistente stimolo monetario per assicurare che prosegua l'accumularsi di pressioni al rialzo sui prezzi nel medio termine", come dice Mario Draghi, nel rapporto annuale della Bce. Bella, no? Prezzi più alti, meno spesa, per fermare quella decrescenza! *La legge dell'utilità marginale decrescente afferma che, all'aumentare del consumo di un bene, l'utilità marginale di quel bene diminuisce. **La spesa trasforma la merce in ricchezza, il consumo dell'acquistato spinge la riproduzione.... Mauro Artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA

martedì 2 luglio 2019

GIGGINO, SO' TUTTO!

"Sono pronto a fare la legge di bilancio, anche in deficit, se crea centinaia di migliaia di posti di lavoro". Lo ha detto il Premier politico dei 5 stelle, il vicepremier della presidenza del consiglio, il Ministro del Lavoro, il Ministro dello Sviluppo economico; si, ex Steward dello stadio San Paolo, Luigi di Maio. A Taranto, al tavolo istituzionale permanente sull'ex Ilva, ha sottolineato come si debba intervenire sul cuneo fiscale. "Se togliamo un po' di tasse dagli stipendi, a lavoratori e imprese, si generano posti di lavoro". Orbene "se crea", dice il Nostro, si insomma sennò ciccia? Quel tagliare 'npo' di tasse poi sarebbe il modo per ridurre la spesa pubblica e far trovare alle Imprese quelle risorse per fare spesa in conto capitale? Proprio quella spesa che non vogliono fare, perchè quello che arriverà in più nelle tasche di chi lavora sarà del tutto insufficiente a recuperare il reddito perduto, con la crisi, per fare la spesa? Sicuro, sicuro? Essipperchè, mi risulta come la crescita si faccia con la spesa aggregata, non con la produzione nè con il lavoro. Essì, così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Conciossiachè, tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e lo remunera, remunerando Tutti. Tutti, nessuno escluso! Quando gli aggregati - spesa per investimenti, spesa pubblica, spesa privata - non possono/vogliono farla, la spesa si disgrega e finisce tutto in vacca. Si, insieme al disperante deficit che diventa debito! Prosit. Mauro artibani, l'economaio https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_ss_i_3_7?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=mauro+artibani&sprefix=mauro+a%2Caps%2C207&crid=E9J469DZF3RA