giovedì 24 ottobre 2013

ECONOMISTA SARA' LEI!

Glielo dico: Economista sarà lei.
Io sono un Economaio, che studia l’Economia dei consumi, quella che gli accademici non scorgono e che le facoltà di Economia non insegnano.
Giust'appunto Loro, quelli mentori dell'economia della produzione, propagandano un paradigma che spacciano in ogni dove.
Recita: I Produttori producono beni, occupazione, ricchezza, remunerano il lavoro, danno ristoro ai bisogni. Con tal editto sulle Imprese sventola il vessillo del ruolo. Ne reclamano i vantaggi. Ne hanno ben donde!
A me però non tornano i conti. Io sbircio altrove, non credo alla credenza.
Perchè?
Percome vanno i fatti, nella fattispecie due:
Approposito del remunero del lavoro, il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa. l'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, nel 2013, il reddito disponibile è pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
A sproposito si parla, invece, di ristoro dei bisogni. Essipperchè, se invece di cibarsi si ingrassa, se ci si abbiglia alla moda che passa di moda e per andare da qui a lì si acquista un Suv: ma quale bisogno d'eggitto!
Nell'economia dei consumi, insomma, l'affrancamento del bisogno fornisce la cifra distintiva; l'insufficienza del reddito che spende, la cifra dello squilibrio che fa saltare i conti. Quel paradigma non scorge tal fatti, rimesta soluzioni improvvide.
Già, proprio in mezzo alla crisi si pensano soluzioni sghembe.
Il vicepresidente della Commissione europea e commissario per l'Industria e l'Imprenditoria, Antonio Tajani, ci rammenta come l'UE intenda essere protagonista della crescita del vecchio continente approvando un Piano per la reindustrializzazione che ha l'obiettivo di raggiungere entro il 2020 la quota del 20 per cento del prodotto interno lordo della UE, proveniente dal settore manifatturiero.
Bella no? Proprio quando non si investe né si produce perchè manca chi spende e l'impresa va a rotoli, si pianifica nuova impresa.
Orbene, diamo un'occhiata a quanto fanno quei tizi affrancati sia dal bisogno che da redditi adeguati. Proprio loro, quelli che, quando spendono, fanno fino al 60% della crescita.
Quando fanno la spesa, appunto!
Quando non possono farla, la merci restano invendute, il loro valore non si trasforma in ricchezza, ancor più non si riproduce: approposito di nuova industrializzazione!
Ennò Signori non ci siamo, quel paradigma, con il quale sono state confezionate la regole del sistema produttivo, non funziona.
Provate questo è belleppronto, istituisce la regola dell'economia dei consumi: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.”
Eggià, così potrà tornare ad avere senso economico fare Impresa!

Mauro Artibani

venerdì 18 ottobre 2013

TEMERARIO IL CREDULONE

Il Premier primeggia nel tentare di governare la crisi. Fa quel che può scambiandolo per quel che s'ha da fare.
Ecco, appunto, quel che s' ha da fare: "più soldi in busta paga. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi presenteremo una legge di stabilità e lavoreremo per mettere ordine nelle aliquote dell'Iva. Lo faremo tenendo conto dei problemi della finanza pubblica".
Potrebbe valere tra i 350 e i 400 euro sulla busta paga un ipotetico intervento sul cuneo fiscale di 2,5 miliardi di euro destinato ai lavoratori. Questo è quanto possibile calcolare, considerando l'intervento sulle detrazioni Irpef per il lavoro dipendente e presumendo che, del possibile intervento di 4-5 miliardi nella legge di stabilità, metà sia destinato ai lavoratori e metà alle imprese. Calcolo solo indicativo perché le variabili sono molte. Il bonus potrebbe essere erogato in un'unica tranche.
E bravo il Premier, mette nel mirino il cuneo fiscale.
Messo a leva quel cuneo spacca:
1- può ridurre, per le impresa, il costo per unità di prodotto e così rendere competitive le merci: prezzi ridotti rifocillano il potere d'acquisto.
2 - ridurre il prelievo fiscale su salari e stipendi. Pure qui, aumenta il potere d'acquisto.
Eggià, due piccioni con una fava: i produttori troveranno convenienza a produrre; i lavoratori, lavorando a guadagnare di più; i consumatori a consumare.
Micco il Premier!
Tocca fare adesso quattro conti sullo stato delle cose.
Confcommercio mette in campo dati raggelanti: nel 2013, il reddito disponibile e' pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Il Premier non si abbatte, anzi ribatte e mette, giust'appunto, sul piatto 1 euro, cent più cent meno, al giorno per dare compenso a quei redditi.
Un bel gruzzolo!
Non pago spera, anzi deve credere e pregare che la riduzione del prezzo delle merci compensi quel che ancora manca per riparare al danno fatto a quei redditi.
Temerario il credulone!

Mauro Artibani


giovedì 10 ottobre 2013

PIL O SIL?

Pil: Prodotto interno lordo. Massì, quel sistema che misura il rendimento dell’attività economica.
Viene inteso come il valore complessivo dei beni e servizi, destinati a usi finali, prodotti all’interno di un Paese in un definito intervallo di tempo.
Oddio, non proprio se si prende la formula keynesiana: Y=C+G+(I+S)+X.
Dove Y è il Pil, in Italia nel 2009 = 1.596.000.000.000 euro
C, la spesa privata
G, la spesa pubblica
I, la spesa per investimenti delle imprese
S, la spesa per le scorte delle imprese
X, il saldo commerciale.
Altro che misura della produzione; misura invece del consumo. A esser pignoli non è nemmeno un prodotto bensì una somma, seppur algebrica, fatta di + e -.
Guistappunto, domanda aggregata.
Disaggregata mostra i fatti: fanno il 60 per cento circa quelli della C; gli altri, i GIS circa il 39 per cento; agli X tocca più o meno l’1 per cento.
Tal misuratore certifica il maggior contributo fornito dai consumatori alla generazione della ricchezza, vieppiù il carico di responsabilità assunto per la crescita economica del Paese.
La prova del nove: quando i consumatori, quelli che fanno la spesa privata, hanno redditi adeguati a generare l’ormai consueto 60 per cento di quel Pil, gli altri, sollecitati da cotanto fare, faranno il resto.
Quando invece, e siamo all’oggi, quei redditi risultano insufficienti e viene a mancare tal contributo, resta l’invenduto. I produttori visto l’andazzo tirano i remi in barca, fanno fatica a investire per nuovamente produrre, anche ad attrezzare scorte per magazzini già pieni. Per gli improvvidi della spesa pubblica, quando si riducono le entrate fiscali di quelli di prima e si tenta di ridurre questa spesa per ridurre il debito dello Stato, faranno anch’essi meno Pil.
Seppoi si sbircia il Pil, come somma delle remunerazioni di tutti i fattori impegnati nel processo produttivo, emergono fatti che non ti aspetti.
A chi ha redditi acconci, pur spesi per rifocillarsi di tutto e di più, resta ancora il resto; risparmio che mette in cassa sottraendolo alla spesa complessiva. Se le imprese, per risparmiare, retribuiscono chi ha lavorato per produrre beni con redditi che non fanno tutta la spesa che serve, inducono quegli impresari a risparmiare pure la spesa per gli investimenti che fanno nuovamente produrre. A risparmio si somma risparmio, alla spesa invenduta si sommano invendute scorte: l’equilibrio tra spesa e reddito salta, viene a ridursi la capacità del sistema economico di utilizzare per intero le risorse produttive.
Se per rendere massimo il rendimento del processo economico il valore prodotto deve poter essere interamente acquistato e così trasformato in ricchezza, ehm… non ci siamo proprio.
Eggià, finché la crescita si fa con la spesa ma il tornaconto lo distribuisce l’impresa; finché, insomma, il meccanismo che trasferisce quella ricchezza passerà per il remunero della produzione, verrà a mancare la trippa ai gatti.
La vecchia regola che ne governa l’allocazione remunera il concorso fornito dal lavoro dei singoli alla produzione del valore, riproducendo un vizio: si dà più agli abbienti che già hanno, meno a chi non ha. I primi spenderanno meno, i secondi tutto, ma poco, e quel valore verrà svalutato.
Quell’anodina rappresentazione insomma, impressa nell’acronimo Pil, non lascia scorgere lo sperequato remunero dei soggetti economici che diversamente spendono per la crescita.
La Sil, Spesa interna lorda, sì; ma questa è tutta un'altra storia!

Mauro Artibani


venerdì 4 ottobre 2013

IL PARADOSSO DELLA PARSIMONIA 2

Non sempre accade, quando accade sono guai: le aziende americane, dice la Federal Reserve, continuano ad accumulare liquidità; nel secondo trimestre 2011 le loro riserve sono salite del 4,5 per cento, a 2047 miliardi di dollari. Si tratta del livello maggiore dal 1945.
Stessa brusca frenata, dice Eurostat, pure per gli investimenti in Europa nel quarto trimestre 2011.
E nel “ decennio perduto” del Giappone? Pure lì pressappoco la stessa cosa.
Guai! Quando insomma si manca di fare la spesa in conto capitale, perchè chi deve fare la spesa in conto merce manca del denaro sufficiente ad acquistare e le merci restano invendute, si inceppa il ciclo produttivo.
Già, la crisi si mostra in tutte le salse: le vendite al dettaglio, per esempio, segnano il tredicesimo calo consecutivo su base annua, mostrando a luglio una contrazione dello 0,9%. Lo rileva l'Istat, precisando che rispetto a giugno la flessione del commercio al dettaglio è dello 0,3%.
Beh, allora per quei capitali inattivi un po' di deflazione alla giapponese, che aumenterebbe il valore di quei risparmi, non farebbe poi male.
Non accade però, si reflaziona tutto pur di sostenere la domanda.
Eggià, abbassando il costo del denaro diventa conveniente indebitarsi, sconveniente invece prestare quel risparmio di capitale; sale pure oltre il lecito il rischio in altri impieghi.
Si, insomma si mancano chances tuttaffatto trascurabili!
L'inflazione, sospinta, quella invece sale, magari poco, ed erode.
Erode, eccome, il valore di quelle rimesse non spese.
Et voilà, il paradosso della parsimonia 2: la vendetta?
Cari signori dell'altra sponda, occorre cambiare registro.
Nei tempi bui della crisi torna a farsi prepotente una regola dell'economia dei consumi: là, dove si ha più bisogno di vendere che di acquistare, occorre impiegare quelle risorse di capitale meno per produrre, più per smaltire il già prodotto.
Si sbocca così il meccanismo dello scambio; così si garantisce la crescita.
Evvivaddio, torna a farsi conveniente l'investimento di quel capitale.

Mauro Artibani