lunedì 30 luglio 2012

IL MAINSTREAM DELLA CRISI

Si dice Mainstream. Così s’appella la corrente principale della teoria economica contemporanea. Confeziona la regola per “l’equilibrio naturale” di una economia di mercato; ha redatto ed ancor redige princìpi che hanno conformato le scelte politiche di chi non ha intravvisto la crisi, manco ne governa lo svolgimento, nè ne individua le vie d’uscita. Cos’è, cosa dice: “Stando a questo modello, le variazioni dei salari e dei prezzi generano una serie di effetti su tutti i mercati che spingono l’economia a convergere spontaneamente verso il cosiddetto livello di “disoccupazione naturale”. In particolare, una riduzione dei salari monetari comporterà una pari riduzione dei costi di produzione e quindi anche un calo dei prezzi, dal quale scaturiranno due effetti: in primo luogo, un aumento del potere d’acquisto delle scorte di moneta, e quindi un aumento diretto o indiretto della domanda interna di merci; in secondo luogo, nel caso di un’economia aperta agli scambi internazionali, anche un aumento della competitività delle merci nazionali e un conseguente incremento della domanda proveniente dall’estero. Rilanciando le spese e la produzione i due effetti dovrebbero riportare il sistema in equilibrio.”* Dovrebbero? Orbene, dal momento che tali regole sono agenti, sottoponiamo il modello alla verifica dei fatti. Reggerà? Non regge: di primo acchito i portafogli sgonfi mostrano la riduzione, già in atto da molti anni, del salario monetario**. Lo conclamano tutte le statistiche di ogni ordine e grado mentre espongono, alla faccia della riduzione dei prezzi, il grado d’inflazione. Facciamo finta di nulla, procediamo: Aumento del potere d’acquisto delle scorte di moneta. Bene, quando tutto-quel-che-serve-per-vivere si è fatto merce da acquistare ogni giorno, avranno i “salariati” risparmio in cassa da rivalutare? E quelli neo salariati, già ceto medio? Quello messo al pizzo dai reduci di quel ceto, timorati del domani, verrà speso oggi? Si può contare su quello dei pochi che hanno di più, proprio quelli della bassa propensione al consumo? Qualcuno ha intravvisto un aumento della domanda? Poi c’è l’altro effetto: il vantaggio della riduzione dei costi che si acquisisce nella competizione internazionale. Se in casa e fuori tutti competono, e tutti competono, qual vantaggio può dirsi acquisito? Si intravvede in giro un rilancio della spesa, della produzione dell’occupazione***? Così si è fatta la crisi; così la crisi si rende perpetua! * Tratto dall’intervista ad Emiliano Brancaccio sulle tracce del suo nuovo libro “Anti-Blanchard” ** quantità di denaro che si riceve mensilmente per aver prestato lavoro subordinato. Si contrappone al "salario reale", che è dato dal rapporto tra questa somma di denaro e il livello generale dei prezzi. Il "salario reale" descrive dunque il potere d'acquisto del lavoratore; il "salario monetario" non tiene invece conto del livello generale dei prezzi. *** A maggio 2012 sono 47,7 milioni i disoccupati nell'area Ocse,14 milioni in più rispetto a maggio 2008 Mauro Artibani www.professionalconsumer.wordpress.com www.professioneconsumatore.org

lunedì 23 luglio 2012

IL RICATTO DELLA TERRA CI SALVERA’

Gulp: Entro il 2012 rischia il fallimento un'impresa su tre. A questa conclusione arriva uno studio di Unimpresa che ha analizzato i dati sulle sofferenze bancarie. L’Ansa riferisce: L'analisi focalizza la “probabilita' di ingresso in sofferenza entro l'arco di un anno''. Viene stimata attraverso una metodologia statistica che utilizza indicatori desunti dal bilancio dell'impresa e dalle segnalazioni delle banche alla Centrale dei rischi. Santi numi, un processo di de-industrializzazione inaudito: 1/3 in meno di prodotti alimentari, lo stesso per abbigliamento, mobilità, comunicazione, informazione e chissà quant’altro ancora. Gia, quant’altro ancora: meno produzione, meno occupazione, meno lavoro, meno acquisti e la crisi si avviterà ancor di più. Maledetti Produttori? Macchè, questi producono se vendono il già prodotto, altrimenti chiudono! Allora, maledetti Consumatori? Macchè, questi possono acquistare se non dispongono di salari e stipendi insufficienti? Un bel casino, anzi due! Essipperchè, se questi sono i fatti poi ci sono le interpretazioni: al mercato verrà a ridursi l’offerta di pane, pasta, acqua, vino, verdura, vestimenti, divertimenti e, per l’amor di Dio mi fermo qui. Se mancano i denari per acquistare questo ed altro le Imprese smetteranno di produrle toccherà stare su questa terra gnudi ed affamati? Niente affatto: non più prodotte quelle merci occorrerà tornare a produrle; occorrerà riacquisire quella perizia, già data in comodato d’uso ai Produttori, poi: terra, terra! Già, un pezzo di terra, zappata e coltivata darà uva, grano, cereali; vi pascola un mucca, qualche gallina becca, tre pecore ed un porco fanno quel che sanno. Mescitando ben bene il tutto avremo latte, vino, pane, frittate, carne, salumi, prosciutti; cuoio per fare scarpe, lana che filata diverrà stoffa poi abito. Giacchè ci abito e ci lavoro avrò meno bisogno di spostarmi tanto con la rete posso andare oltre pur restando lì. Tutto questo lavoro Occupa, dall’alba al tramonto; Retribuisce pure: mangio, bevo, mi calzo, mi vesto. Sazio, scambio quel che più ho con quel che mi serve. Eggià, meno dipendente dal denaro. Vita grama? Oddio, per alcuni buona a malapena per sopravvivere; per i secondi, l’eden cercato, ritrovato. I primi non ci stanno, non si accontentano del meno, vogliono di più. Vogliono un mercato finalmente liberato dai trucchi reflattivi . Lo reclamano, anzi vanno dritti al sodo: se non vendete l’offerta, con quel che vi resta, potrete acquistare la domanda, l’unica merce scarsa al mercato. Farà guadagnare noi per poter tornare a spendere e voi a vendere! Due opzioni, insomma, distinte e distanti da mettere sul tavolo e contrattare: dar retta ai quei di portatori di suggestioni neoromantiche o seguire i suggerimenti di quegli sfrontati pragmatisti? Gli Esercenti a quel tavolo dovranno ben scegliere per tornare ad esercitare l’Impresa. A buon intenditor, poche parole. Mauro Artibani www.professionalconsumer.wordpress.com

venerdì 13 luglio 2012

ZONA EURO, UN MODO PER LA CRESCITA

Regione economica che associa stati autonomi; senza dazi né gabelle consente la libera circolazione delle merci. Abitata da operatori di mercato: milioni di Imprese producono valore, centinaia di milioni di Consumatori producono il consumo di quel valore, spendendo un’ unica moneta, per generare ricchezza. Zona Euro s’appella quel sistema che ha estratto virtù economica dalle risorse produttive e da quelle improduttive messe in campo. Più o meno 12.000.000.000 $ l’incasso per anno mettendo a profitto vantaggi e svantaggi. Una Spa di operatori che agisce dentro processi globalizzati: per contenere il costo del lavoro riduce stipendi e salari, finanzia così l’aumento della produttività, rintuzza la concorrenza. Con l’abbondante impiego delle politiche di reflazione, per sostenere la spesa, viene alterato il meccanismo di formazione dei prezzi, imprigionato il libero mercato. Con il debito, che ha surrogato i redditi, si è sollazzata quella spesa dei privati ben oltre il bisogno e i profitti di chi così ha smerciato; ha foraggiato la spesa pubblica, ha invitato le Imprese alla spesa per gli investimenti. Tutti hanno speso. Già, quella spesa aggregata che fa il reddito, cos’altro sennò! Cotanto fare fa la crescita, fatta a debito prima o poi si impalla. Si impalla! Tornano insufficienti i redditi riducendo la capacità della spesa privata che riduce la convenienza delle imprese al loro spendere. Il ridotto prelievo fiscale riduce la spesa pubblica, il consolidamento fiscale la taglia. Tal spending review degli agenti economici blocca il meccanismo dello scambio domanda/offerta. Scatta l’allarme, arrivano gli economisti, è affar loro: vengono quelli di Chicago a dire; quelli Austriaci sono lì a due passi, dicono; i Keynesiani, i neo e i post- keynesiani propongono. Le dottrine si danno battaglia: debito si, no, ni. I Politici, già lì, si elidono, si eludono; si incontrano, si scontrano, si impegnano, si disimpegnano senza cavare il ragno dal buco. Essipperchè se il debito sale impalla la crescita, nel tentativo di ridurlo si va in recessione. Signori, per tornare a crescere occorre fare quel che si deve senza fare debito. Lo spazio si intravvede. Dentro gli Stati e tra gli Stati ci sono aree dove si produce più di quanto si consuma ed altri dove accade l’inverso. I primi hanno bisogno di acquirenti, i secondi di venditori. Gli squilibri nelle bilance commerciali di quei paesi lo mostrano, esponendo costi e ricavi. Lo mostra quella parte di debito fatta per dare sostegno al tenore di vita necessario a smaltire le merci prodotte altrove. Lo mostra pure l’affanno della spesa pubblica corrente che fa un bel pezzo di Pil e quella che retribuisce chi nel ‘pubblico’ lavora per fare pur essi la spesa. Lo mostra il deficit e il costo del debito di chi importa; il surplus ed il vantaggio ad indebitarsi di chi esporta. Affanni e guadagni che lo spread misura e grida. Già, così quando in quel mercato unico l’offerta si mostra in eccesso, svalutandone il valore, per difetto di domanda si impone la necessità di riportare in equilibrio quel commercio squilibrato, acquistando l’unica merce scarsa sul banco della spesa: la domanda. Tocca a chi vende importare quella merce che fa smerciare il già prodotto, fa riprodurre dando continuità al ciclo, fa crescere l’economia per fare utili. Tocca così investire i surplus, non altrimenti investiti, per remunerare il valore di quella merce e i costi di quell’esercizio, ricostituendo la capacità di spesa di tali tizi. Et voilà, per l’area comune un nuovo equilibrio: surplus più acconci, deficit meno sconci, pure meno debito. Si raddrizzano i conti, si riavvia il meccanismo dello scambio. Sbirciando qua e là qualcosa già si intravvede. Mentre per l’equilibrio di bilancio i Tedeschi chiedono tagli su tagli per tutti, in casa loro il basso costo del debito consente di retribuire chi deve spendere. Zitti zitti, quatti quatti assumono dipendenti nella pubblica amministrazione, aumentano i salari e le pensioni per dare focillo al potere d’acquisto; un discreto inizio. Per l’equilibrio della bilancia commerciale d’area dovranno fare di più. Giustappunto acquistare la domanda d’altri. Il modo per ricapitalizzare quegli associati che acquistano l’offerta l’oro, ripristinandone il valore. Do ut des: ma che bella compagnia! Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com