martedì 23 dicembre 2014

+2 -2, MEGLIO ZERO

+ 2 -2% sembra poca cosa. Tutt’altro che niente, invece, per quelli che contano, urlano e strepitano nel fare e rifare i conti e farseli tornare.
La differenza mostra l’effetto della variazione dei prezzi dei beni sul mercato. Gli effetti, appunto. La causa invece sta nella maggiore o minore quantità di moneta disponibile dagli operatori per le transazioni economiche.
Senza farla tanto lunga: tra gli squilibri del +2 -2, meglio zero! Essipperchè zero espone la condizione di equilibrio nella disponibilità di moneta tra gli operatori economici.
Già zero dispone l’ottimo nell’impiego delle risorse produttive: quel che serve insomma alle imprese per produrre e quanto quelli della spesa devono avere in tasca per acquistare quanto prodotto. Giust’appunto per fare tutti il meglio per la crescita.
Teoria? Beh, forse un po’. Mica tanto però, se già lo statuto d’azione delle Banche Centrali recita la stabilità dei prezzi. Cacchio, solo che l’equilibrio viene confezionato mediante l’espansione o la contrazione artificiale della quantità di moneta in circolazione ed un mandato: per la Bce, tenere il tasso di inflazione di medio periodo a un livello prossimo al 2%.* Stessa cosa per la Fed, la BoE, la BoJ.
 Alla faccia dell’equilibrio, alla nuca di quell’ottimizzazione; in culo a quella crescita che si fa con la spesa e che così se ne fa meno.
Eggià questi istituti, per svolgere al meglio il mandato istituzionale, fanno pressappoco così: se si riduce la base monetaria e i prezzi scendono, magari, del 2% facendo aumentare il potere d’acquisto, Lor Signori intervengono con la politica monetaria per dare spinta a quei prezzi fino a quell’asintodico + 2%. Torna così a ridursi quel potere d’acquisto: bella no?
Alla deflazione dei prezzi si contrappone insomma una istituzionale inflazione monetaria che, alterando il meccanismo di formazione dei prezzi, riproduce intatto lo squilibrio.
Ci risiamo, la regola di un decrepito paradigma sprona per dar sostegno ai prezzi con l’intento di salvaguardare la produzione ed il lavoro. Dimentica che quel che  non si  acquista si svaluta, svalutando proprio quella produzione ed il lavoro che ha prodotto ed ancor più mancherà proprio quel lavoro per poter riprodurre.
Tocca a questo punto della tenzone aggiustare il tiro per far sì che possa farsi quel prezzo dei nuovi equilibri che si intravvedono al mercato, là, dove hanno più bisogno le imprese di vendere che i consumatori di acquistare.
Eggià, così un prezzo “disinibito” potrà rifocillare quel potere d’acquisto ad oggi inibito.
Tocca insomma sospendere le azioni di reflazione messe in campo che, invece di sanare quegli squilibri, li aggravano. Tocca insomma far agire i dispositivi propri di un mercato efficiente. Quelli in grado di rendere compatibili le risorse economiche degli agenti su quel mercato, con il prezzo dei beni che sono in vendita.
Per l’inflazione e la deflazione, quelle “vere”, nessun anatema insomma, non conviene a nessuno!
P.S: Ogni riferimento agli accadimenti che ieri hanno generato la crisi e che ancor oggi la conclamano appare del tutto causale.
*Quelli di wikypedia dicono che; La BCE esercita il controllo dell'inflazione nell'"area dell'euro" badando a contenere, tramite opportune politiche monetarie (controllando la base monetaria o fissando i tassi di interesse a breve), il tasso di inflazione di medio periodo a un livello inferiore (ma tuttavia prossimo) al 2%.

Mauro Artibani

venerdì 19 dicembre 2014

CACCHIO, GLI INVESTIMENTI. QUALI? DI CHI? COME?

Quando i redditi, erogati dalle Imprese a chi lavora per produrre merci, si sono mostrati insufficienti ad acquistare quanto prodotto, si è generato un pericoloso squilibrio. Fin quando il credito ha surrogato quell’insufficienza si è fatto finta di niente. Quando quel credito sparso nel mondo ha confezionato per ogni dollaro  3,7 di debito si è impallato il meccanismo dello scambio. L’offerta si è fatta in eccesso, la domanda in difetto.
La crisi sta tutta qui. Anzi peggio, nasce da questo squilibrio, si perpetua con l’aggravarsi dello squilibrio.
I Policy-maker di questo mondo, dopo tanti arzigogoli più o meno ineffettuali, per uscire dal guado, sembrano convergere su un punto: spingere gli investimenti.
Cacchio, gli investimenti.Quali? di chi? Come?
Verosimile che tocchi a quelli delle Imprese sovraccapaci e con i magazzini pieni;
a quelli che governano Stati messi all’angolo dalla riduzione del gettito fiscale che fa aumentare deficit e debito; finanche a quelli dell’ industria finanziaria squassata dai crediti incagliati, frutti amari di “investimenti” sballati.
Sant’iddio toccherebbe, insomma, per compito d’istituto,  proprio a quegli agenti che mancano di agio per poter agire, peggio di così…..
Vuoi vedere che toccherà fare l’inverosimile per rimettere in pristino un equilibrio decente?
Vuoi vedere che toccherà aguzzare uno sguardo traverso per vedere oltre?
Si, oltre, dove ci sono altri agenti che hanno risorse che, quando agite per il meglio, garantiscono l’equilibrio proprio nel cuore del sistema: nel meccanismo dello scambio.
E qui si mostra il danno, l’impiego delle loro risorse produttive, che fanno buona parte della crescita, risultano imbolsite  dal debito d’ossigeno reddituale.
Bolsi si, pure però affrancati dal bisogno. Eggià, questi non bisognosi, di quanta sprone possono disporre per fare esercizio e rassodare la pancetta?
Ad occhio e croce, tanta quanta ne consentirebbe un adeguato portafoglio.
Tanto quanto i nuovi bisognosi hanno convenienza che quel potere d’acquisto venga rassodato.
Tanto quanto serve, insomma.
Beh, quei 1.560 mld di euro l’anno, per esempio, che pur in mezzo alla crisi ci stanno. Basta riallocarli in modo da togliere alibi ai pancettari e smaltire il bisogno di smerciare per chi vende; con un rimpinguato prelievo fiscale far fare al pubblico la spesa che gli spetta. E ci vogliamo rovinare, se resta pure il resto, si possono disincagliare i crediti di quelli del credito per farli tornare ad investire in prestiti e guadagnare.
Se poi, come misura l’Fmi, scorgendo persino la relazione inversa che vige nell’economia dei consumi tra spesa e occupazione, un punto di Pil aumenta di uno 0,6% l’occupazione giovanile, beh… allora tocca proprio fare fitness, senza se, senza ma.
Mauro Artibani

venerdì 12 dicembre 2014

LA CRISI, TRA ELEMOSINANTI ED ELEMOSINATI


Se qualcuno, di fronte a questa maledetta crisi, avesse voglia di scherzare potrebbe dire: Fai fare una buca, poi falla riempire, tanto paga Pantalone.  Avrai dato lavoro quindi reddito che verrà speso per fare la crescita.
Pure  andare in giro con l’elicottero di Friedman, guidato da Ben Bernanke, che rovescia soldi sui ben-capitati per ampliare la base monetaria e dare sostegno alla spesa, si può pensare di poter fare.
Già, quando si sta davanti ad una crisi imperterrita, lunga 7 anni e latitano soluzioni, non si può andare tanto per il sottile; si toglie la polvere a quelle vecchie, le si rimette in ghingheri.
Gulp, un lavoro fasullo ed il miracolo del denaro piovuto dal cielo.
Cosa nascondono e cosa svelano tali ipotesi di scuola?
L’insufficienza della domanda, cos’altro sennò?
Proprio quella domanda che, se invece trova agio, tiene fluido il ciclo della produzione e fa la crescita.
Domanda insomma che senz’altro s’ha da fare, costi quel che costi!
Perché, i policy-maker dell’altro ieri, di ieri, fino a quelli d’oggi, compresa la forza di quella domanda, ancor più quando viene esercitata bel oltre il bisogno, mancano di afferrarne il ruolo?
Ruolo a tal punto frainteso che i keynesiani ritengono possibile che la spesa privata debba essere sovvenzionata dallo Stato, pagando magari un lavoro fasullo, e non da chi incassa gli utili da quella spesa.
I piloti di elicottero, invece, ritengono di poter dare denaro  a debito per sovvenzionare  spesa a debito per tutti, facendo aumentare i prezzi che riducono il potere d’acquisto.
Dove sta la produttività di questo fare?
-         Quale bene viene generato da quel lavoro e quale remunero merita?
-         Quale cavallo, non soffrendo d’arsura, beve alla fonte del liquido monetario, ancor più offerto a debito?
-         Come si può ritenere di dover fare “elemosina” a chi consuma affinchè faccia quel che gli spetta per obbligo d’ufficio nel sistema produttivo?
Bene, anzi male, fino a quando si continuerà a ritenere quei Tizi, costretti all’indifferibilità della spesa per fare la crescita, esterni al ciclo produttivo, si farà folclore economico. Giust’appunto, come folcloristiche si mostrano le soluzioni messe sul piatto.
Quella indifferibilità deve essere esercitata per garantire la fluidità del ciclo economico, pure per generare lavoro vero ed una crescita senza debito.
Un momento: per quel prodigioso fare vengono impiegate risorse di ruolo. Risorse scarse, senza un potere d’acquisto adeguato, pressoché  non esercitabili.
Mauro Artibani

giovedì 4 dicembre 2014

GIOCA ALL’ ATTACCO, NON IN DIFESA, CON I CONTI DELLA LA SPESA

Quando con quel che guadagni dal lavoro ci paghi a malapena  “quel che serve per vivere” e vuoi , vivaddio, avere un po’ di più, devi darti da fare e pure imparare a farlo.
Una bella sfida: Si può fare. Et voilà: Consigli per gli acquisti ’ per usare una  Domanda sapiente.
Quel che costa troppo fare da soli si può fare insieme ad altri e risparmiare:
-viaggiare insieme costa meno;
-costa meno pure una casa per le vacanze condivisa;
-magari pure acquistare il 3 per 2 in tre conviene; acquisti il giusto, non sprechi, spendi meno;
Puoi  insomma “fare meglio insieme”. Questo fare  gli inglesi lo chiamano sharing, gli economisti lo definiscono economia della condivisione. A Noi fa risparmiare.
Quando vai in giro, acchiappa tutte le “carte fedeltà” che ti vengono offerte. Quando ri-giri usale, non rimirarti negli specchietti come fa l’allodola, acquista al meglio quel che costa meno. Fidelizzi i  fidelizzatori e risparmi.
Se vuoi puoi. Senza andare in giro, al mercatino sottocasa, i prezzi variano. Alle 13 sono più bassi delle 10: prezzi ad orologeria. Guarda l’orologio!
Fai il pane per te, la pizza con quelli del pianerottolo.
Fai il menù settimanale dopo aver acquistato le “offerte”, non prima.
Vesti alla moda? Fatti furbo: se acquisti il giorno dopo la  “scadenza della moda” , se ne accorgono in pochi, quel vestito ti costa la metà.
Non vesti alla moda? I tuoi abiti li abiti fino all’usura;  spendi meglio il tuo denaro.
Puoi persino fare baratto tra ciò che hai e non usi e ciò che vuoi e non hai.  Non spendi: un bel guadagno.
Due volte l’anno si smercia l’invenduto: compri a saldo, fai affari d’oro.
Se metti in comune la tua forza contrattuale, ci aggiungi l’azione di net- work operata dai “Social Shopping”, acquisti confezioni  per il ristoro, il tempo libero, gli eventi, la salute, i viaggi, lo sport e i servizi, a prezzi scontati fino all’ 80%: un bel guadagno.
Tanti sconti, sconti per tanti?  Già, senza dimenticare però che nell’economia non esistono pasti gratis. Con quello sconto le imprese acquistano la tua domanda per vendere la loro offerta in eccesso.
Se tanto ci da’  tanto, al mercato si incontra la possibilità di sfruttare tutte le occasioni per  tentare di riparare il danno che ha provocato lo squilibrio del mercato, tra  le tonnellate di nuove merci, per numero e volume, da dover acquistare e,  come denuncia l'Ufficio Studi di Confcommercio, la riduzione del reddito disponibile delle famiglie italiane, che nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa, pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Un Professional Consumer deve farlo quel che gli spetta e farlo al meglio, per obbligo di ruolo.
Se però, alla fine della fiera resta ancora un resto d’invenduto, beh…. allora avranno ancora più “bisogno” le Imprese da vendere che i Consumatori d’acquistare.
Eggià, avranno bisogno di rinnovare il loro modello di business,  per andare oltre l’occasionalità dello “sconto”.
Imprese impareggiabili nell’averlo già fatto ci sono; nel fare per Sé, fanno pure per Noi:
Ikea vende mobili da montare, li acquisto, li monto, ottengo il prezzo più basso sul mercato;
le tv commerciali e le Free Press, fanno commercio della mia attenzione con i pubblicitari; la do in comodato d’uso, in cambio ottengo informazione ed intrattenimento tutto l’anno, senza spendere il becco d’un quattrino;
Groupon, Groupalia, Letsbonus, intermediano tra l’offerta in eccesso e la domanda in difetto; loro guadagnano nel farlo, i domandanti pure con sconti travolgenti;
H3G che fa contratti telefonici biennali, deflazionando il prezzo, reflazionando il pacchetto offerto, è okkei.
Gli Outlet guadagnano gestendo “città dello sconto” dove si incontrano chi ha invenduto e chi vorrebbe acquistarlo.
” Bla bla Car “ organizza il viaggiare condiviso, ci guadagna; ci guadagnano pure i viaggiatori.
Olè, ai Politici tocca tornare a prender parte, farsi parte, nella questione. C’è una montagna di credito elettorale da guadagnare e senza sconto.
Ci sono pure quelli della spesa, a loro toccherà fare  una scelta, difficile e solenne:
giocare in difesa, mettendo i risparmi al pizzo in attesa di giorni peggiori o, all’attacco,  impiegandoli per rifocillare quel potere d’acquisto che spende per fare crescita e un domani migliore?
Magari pure per chi non ha lavoro, magari pure per i nostri figli e i figli dei nostri figli.


Mauro Artibani


giovedì 27 novembre 2014

CRISI, CHI HA TEMPO NON ASPETTI TEMPO

La crescita economica rende l’esercizio della spesa indifferibile. Le famiglie, i consumatori insomma, quando fanno quella spesa e ne fanno tanta: fanno il 60% del Pil. Obbediscono al diktat e… più che cibarsi vanno in sovrappeso, vestono alla moda che passa di moda, per andare da qui a lì acquistano un Suv. Questa la regola.
Tutti insieme appassionatamente hanno tentato di fare al meglio, si è fatto il meglio. Risultato: abbienti ed affrancati dal bisogno. Ip ip urrà!
Poi viene il tempo dello sconquasso quando il reddito, erogato dalle Imprese a chi lavora, si mostra insufficiente ad acquistare le merci prodotte, impallando il meccanismo dello scambio: l’offerta così va in eccesso, la domanda in difetto.
Et voilà, la crisi.
Già, questa crisi che mostra come il ciclo, per funzionare, abbia bisogno di chi produce e chi consuma nonché di quel reddito che consenta di fare la spesa, trasformando quanto prodotto in consumato: associati insomma ad un comune destino, nella barca del Libero Mercato Spa, hanno da remare nella stessa direzione.
Essipperchè, se manca di fare l’uno annaspa pure l’altro. Un “mutuo soccorso” soccorre tutteddue, per andare insieme oltre la crisi.
 Bene, i consumatori fin quando hanno potuto hanno speso, magari a debito, acquistando ben oltre il bisogno. Ora tocca alle imprese mettere fiches per rifocillare l’immiserito potere d’acquisto. A loro tocca  fare un investimento per vendere.
Olè,per quelli che fanno orecchie da mercante ci vuole un tweet: " Sta qui il bandolo della matassa”.

Un altro tweet ratifica la regola: "La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera”.

Nell’attesa che pure i mercanti prendano atto del fatto, si fa a modo nostro.

C’è molto da fare:
acchiappare tutte le carte fedeltà per fidelizzare così i fidelizzatori;
vivere a saldi;
acquistare in gruppo e fare il prezzo;
toh, il taxi- sharing di Uber dimezza il costo del viaggiare; “bla bla car” pure;
si può indossare il fuori moda, dura di più;
si può pure fare baratto tra ciò che abbiamo e non usiamo e ciò che vogliamo ma non abbiamo;
Si può andare ancora avanti e scovare altro, ce n’è per tutti.

Si può tentare persino  l’impossibile: vendere la nostra domanda a chi si trova in debito d’ossigeno nel vendere l’offerta. Di questi tempi, appunto, hanno più bisogno i produttori di vendere che i consumatori di acquistare!

Attenzione, ci stanno pure Imprese, nazionali ed multinazionali, che hanno attrezzato business che fanno utili e danno il resto a chi fa la spesa.

Risparmi  a iosa insomma, da scovare, piluccare, intascare.

Essì  Signori, tocca intercettare quel tornaconto che, rifocillando il Potere d’Acquisto, sblocca il meccanismo dello scambio che impalla il mercato,  riattivando  la crescita.

Ehi ehi, per i Consumatori una promozione sul campo, anzi al mercato: Badanti, non più badati!

Mauro Artibani




giovedì 20 novembre 2014

SI IN-CASTRA PER FARE DISPETTO AL SOCIO

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Lo sottolinea l'Ocse presentando in via preliminare, l'Economic Outlook. Dice come sull'eurozona incomba una "minaccia di stagnazione" anche per il rallentamento delle principali economie: la Germania, la Francia e l'Italia. L'area dell'euro ha bisogno, secondo loro, di "ulteriori ambiziose riforme per spingere la crescita" e la "flessibilità e la discrezione all'interno delle regole fiscali dell'Ue potrebbero essere usate per ridurre le resistenze della domanda".
Cacchio, dopo 6 anni hanno trovato il bandolo della matassa della crisi: R-e-s-i-s-t-e-n-z-a d-e-l-l-a d-o-m-a-n-d-a
 Si, insomma, i domandanti fanno resistenza a domandare.
Si proprio loro quelli che, con l’acquisto, trasformano la merce in ricchezza; consumandola poi la fanno riprodurre fornendo continuità al ciclo economico, dando sostegno alla crescita.
Già, questo fanno quando acquistano. Dagli Sherlok Holmes dell’ Ocse sono stati colti invece in flagranza di reato: renitenti alla leva della spesa. Hai capito i puzzoni!
Così, quando viene scoperto l’arcano, dentro quella combriccola societaria dove coabitano con i produttori, la “Libero Mercato Spa”, volano gli stracci:
La tua non domanda nega il valore alle mie merci;
Vanifichi la produttività dei fattori che come imprenditore metto in campo;
Mi costringi a stare in sovraccapacità e ti ricordo che con i magazzini pieni si brucia ricchezza. Pure la tua!
Beh ti’è, te lo sei, anzi ve lo siete meritato: Il vostro reddito disponibile del 2013 è tornato ai livelli di 25 anni fa.
Capito?
Se ancora non vi bastasse, l'Ufficio Studi di Confcommercio dice pure che, in quello stesso anno, il reddito disponibile e' stato pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.

Questo l’hanno detto l’altro ieri. Noi ieri ci abbiamo messo pure il carico da undici, loro hanno rifatto l’aggiornamento e hanno scoperto che nel 2013 si e' registrato il sesto calo consecutivo del reddito delle famiglie, con una contrazione dell'1,1% in termini reali (-2,2% pro capite ). Rispetto, insomma, al 2007 viene fuori che nel 2013 il reddito disponibile reale pro capite e' sceso del 13,1%, pari a un ammontare di euro 2.590 a testa ai prezzi del 2013.
Tiè, tiè, tiè, socio: così impari, tu e i tuoi compari, a campare!
Et voilà, come ci si in-castra per fare dispetto non alla moglie, al socio.
Mauro Artibani



giovedì 13 novembre 2014

PRODUTTIVITA’ VS VALORE: GULP!

Cosa debbono fare le Imprese per tenere il mercato in equilibrio dinamico?
Tenere elevato il livello di produttività nella gestione dei fattori. Quando questo si compie si produce di più e meglio. Quando poi viene dato a Cesare quel ch’è di Cesare, attraverso una adeguata allocazione delle risorse di ricchezza  generate tra tutti gli agenti economici, si porta al mercato il prodotto; percepito come valore e acquistato, remunera i fattori. Tutto bene.
Quando invece si chiude il cerchio del sistema produttivo, che da lineare aperto si fa circolare e continuo* ma non adeguatamente lubrificato, quando insomma le risorse economiche, generate dall’aumento della produttività, vengono allocate in maniera sghemba e il moto s’inceppa, gli equilibri saltano.
Di male in peggio se le Imprese, nel bel mezzo della crisi, tra opzioni di buy back, chiudere la cassa e  non abbeverarsi di credito, mostrano di aver sposato la renitenza ad investire, altro che migliorare la produttività.
Già proprio quella produttività che, passata al vaglio di chi fa la spesa, viene rispedita al mittente. Essipperchè  seppur forgiata nei processi e trasferita nei prodotti, alla verifica del valore: sdong, s’affloscia!
Già quando più di 120 milioni di persone nell'Unione Europea sono a rischio povertà o esclusione sociale**, ovvero 1 persona su 4, non si spende:  macchè valore d’eggitto! Quando poi, per  i restanti ¾, quelli satolli - magari pure in sovrappeso - vestiti alla moda  che passa di moda - a bordo di un Suv per andare di qua e di là,  quel valore vale meno: s’affloscia appunto. Se viene poi incastrato tra troppe merci  troppo care, addirittura collassa.
Se, tra gli illuminati, c’è  chi pensa di poter sostenere la produttività delle merci ed estrarne valore, utilizzando fino allo stress Marketing e  Pubblicità, con la crisi dovrà rifare i conti e a conti fatti scorgere che…
Si, che il valore non sta nella merce, sta invece negli occhi di chi la guarda, nel tatto di chi la tocca, di chi l’ascolta e l’annusa. Di chi  la valuta insomma, poi magari la vuole, sempre che possa acquistarla.
Già, possa. Altrimenti, negato quel valore, tutta quella produttività  messa addosso alla merce te la sbatti!
Ci siamo. Zitti zitti, quatti quatti, magari per non svalutare le risorse impiegate, credo tocchi achittare una produttività che non si faccia scuotere dall’oscillazione di quei sensi, magari capitalizzando adeguatamente il potere d’acquisto di quei valutatori del valore, affinchè ben valutino.
O no?
*Questo accade quando la funzione “consumo” viene associata agli altri fattori della produzione
**Lo fa sapere l'Eurostat: La percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale nel 2013 risulta pari al 24,5%. (Finanza. Com)
Mauro Artibani

 

giovedì 6 novembre 2014

A TERNI ESPERIMENTI DI ECONOMIA DEI CONSUMI



Nel mondo si misura in 580 milioni di tonnellate la sovraccapacità produttiva nell’industria dell’acciaio. 80 milioni in Europa.
A Terni,  nelle acciaierie, per ridurre i costi di tal garbuglio tagliano di 100 milioni l’anno i costi. 537 di quelli che lavorano vanno in sovrappiù, per gli altri riduzioni di stipendio.  
Il 18/10/14  pressappoco 113.000 ternani reagiscono, 30.000 vanno in piazza. Manifestano solidarietà e pure un po’ di  interesse, anzi molto, per quelli che mancheranno di portare i soldi a casa e per quelli che ne porteranno meno. In piazza ci stanno pure quelli che non venderanno a chi ha perso il lavoro  o venderanno meno a quelli che guadagneranno meno. Già, ci stanno, e pure in cagnesco perché scorgono un domani gramo: senza lavoro  anch’essi.
Fanno scongiuri  insomma fabbricanti, commercianti, artigiani, professionisti, persino le banche che vedranno deteriorarsi i loro crediti. Stretti di chiappe, su un lato della piazza, ci stanno pure tutti quelli dell’indotto.
Una reazione a catena, di sovraccapacità in sovraccapacità, che costa e non fa guadagnare; per quelli del prelievo fiscale, che a Terni hanno rappresentanza, solo spiccioli.
Brrrrrrrrrrrr, fa freddo!
Per riparare il danno quelli al Governo nazionale sembrano muoversi tra opzioni lasche, spazi stretti e tempi lunghi. 
Beh, intanto ai ternani per non restare intirizziti nell’attesa  tocca muoversi.
Le politiche keynesiane che, quand’anche efficaci, fatte a debito non sono spendibili.
Fomentare impresa invece, a costo quasi zero, guadagnando un ricostituente fiscale si può: Per quei 537 si possono spendere 73,5 ettari* di terreno agricolo demaniale dato in comodato d’uso da Comune, Provincia e Regione.
C’è bisogno degli utensili per coltivare? Beh… tocca alle Imprese investirci  per dare sprone a quei senza lavoro che hanno smesso di fare la domanda.
Se poi viene assunto pure  “quel modello produttivo agricolo italiano, primo per produzione di valore aggiunto”  il gioco è fatto.
Se tornano a lavorare, con il surplus che se ne trae, si fa  reddito buono per fare  la spesa. Se tanto  da’ tanto si può fare, anzi occorre farlo!
Occorre fare pure altro però per quel lavoro che quando c’è remunera poco, pressappoco quel-che-serve-per-vivere, facendo mancare  la capacità di acquistare quanto prodotto.
Essipperchè, così conciati si va ramenghi in sovrappiù. Tutti!
Se l’Impresa paga il lavoro quanto può per tenere arzilla la produttività, può fare ancora meglio abbassando i prezzi per alleggerire i costi della sovraccapacità, recuperando pure capacità competitiva. “Bonus” insomma, buoni per rifocillare quel potere d’acquisto di chi acquista poco, per far acquistare il resto.
Così si possono pareggiare i conti e tutti insieme tornare a fare.
Eggià, nell’economia dei consumi funziona così: occorre spendere per poter lavorare.
Così i negozianti possono smettere di oziare, i progettisti tornare  ad architettare ed ingegnare per muratori che tornano a murare con i manovali a dare una mano. Pure i taxi a girare, le agenzie ad agire servizi, gli agenti a fare la guardia. Persino Maurizio, non più solo soletto, può tornare a dare lezioni di chitarra, mentre per quelli all’angolo della piazza finalmente  poter rilassare i glutei.
Bizzarro eh?

*Quelli del Dossier di Coldiretti con Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison considerano il modello produttivo agricolo italiano primo per produzione di valore aggiunto. Viene stimato triplo rispetto a Regno Unito, doppio rispetto a Spagna e Germania, superiore del 70% a quello francese. In questo settore l'Italia è prima anche per addetti occupati, con 7,3 addetti per ettaro, a fronte di una media europea di 6,6 addetti.

Mauro Artibani


venerdì 31 ottobre 2014

COMPETENTI DI COMPETENZE SCADUTE

Stimo la competenza dei policy maker , sottostimo l’efficacia di quella competenza nell’ affrontare la crisi.
Proprio quella competenza costruita sul dettame di un paradigma vecchio come il cucco, che l’avvicinarsi della crisi  non l’ha scorta, manco aiuta a comprenderne lo svolgimento, ancor meno i modi per uscirne.
Così quando dopo 6 anni finalmente quei portatori di quella competenza scorgono, nell’insufficienza della domanda aggregata, la causa della crisi si danno un gran da fare per attrezzare alambicchi capaci di estrarre soluzioni adeguate.
Nel discorso, del 22/8/14, di Draghi a Jackson Hole, vi sono due frasi  che danno conto del ristagno della spesa. La prima: «I dati più recenti sul Pil confermano che la ripresa nell'eurozona è debole ovunque, e la crescita dei salari è minima anche nei paesi meno colpiti dalla crisi; ciò indica una debolezza della domanda». L'altra: «Le politiche di intervento sulla domanda non sono giustificate soltanto dalla significativa componente ciclica della disoccupazione. Esse sono rilevanti perché, data l'incertezza che prevale in questo momento, queste politiche contribuiscono ad evitare il rischio che la depressione della domanda distrugga la capacità produttiva.”
La Bce conviene quindi che: tocca agire sugli investimenti e sull’occupazione!
Lo ribadisce a novembre  il vicepresidente designato della Commissione Ue con delega a crescita e investimenti e attuale commissario agli Affari economici, Jyrki Katainen: "E' necessario un rinnovato slancio per crescita e occupazione attraverso gli investimenti, ma senza creare nuovo debito".
Eggià, questo il modo che dovrebbe dar sostegno alle politiche di intervento sulla domanda: c’è bisogno di occupati che guadagnano così poi spendono. Occorre quindi investire nel fare merci per occuparli.
Lo ribadisce il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.
Il programma da 300 miliardi prospettato dal futuro presidente della Commissione Ue Juncker "deve essere un programma di stimolo" alla crescita e all'occupazione "per fare in modo che gli investimenti possono essere effettivamente mobilitati".
Non manca proprio nessuno, dall’Fmi, anche Christine Lagarde auspica crescita ed occupazione.

Oibò, questi competenti pensano che la crisi della domanda, che sta distruggendo capacità produttiva, si possa superare con gli investimenti.
Solo una competenza scaduta può credere che siano le imprese, magari investendo, a poter produrre quella ricchezza, che distribuita, sia in grado di riattivare la domanda.
Ennò Signori, a questa contrazione della domanda privata pagano fio la produzione che va in surplus, il lavoro che ha prodotto quelle merci che va in sovrappiù. Così se si riduce l’occupazione ed il reddito di chi ancora lavora figuriamoci la domanda: chi diavolo, in tali condizioni di sistema, vorrà investire per nuovamente produrre?
Si sta  spending review, Signori. Essì, rivede la spesa chi vuol rassodare il potere d’acquisto, pure le imprese per limitare la sovraccapacità e le tante famiglie già satolle.
E qui mi duole ma, al fin qui detto e ridetto, occorre ancora dire per far vacillare le certezze di quei competenti.
Orbene, a meno che non si voglia credere che la pandemia dell’avarizia abbia infettato i consumatori e con gli investimenti delle imprese si possa fornire quel vaccino che redima il vizio, tocca credere ad altro.
Ecco, per esempio, che sia invece venuto a mancare quel sostegno economico che remunera l’impiego delle risorse produttive messe in campo proprio da chi, facendo quotidianamente la spesa, tiene attivo il ciclo.
Si, insomma, proprio quel remunero con cui fare la spesa. Quella spesa che genera reddito, buono per fare altra spesa.
Toh, se a spesa fatta resta pure il resto, con questi risparmi si finanziano proprio quegli investimenti delle Imprese.
Così si fa la crescita nell’ Economia de Consumi; così fatta genera pure occupazione.
Così si intravvedeno lampi di vigore economico nella notte della crisi, il resto è noia.
Noia competente, anzi mortale.

Mauro Artibani


giovedì 23 ottobre 2014

“NEW NORMAL”, UN PIFFERO!

Tu devi crescere in quei pantaloni, tua sorella nella gonna!
In quel tempo passato e con quella capacità di spesa, si faceva categorico l’imperativo di mia madre. Lei e mio padre non erano da meno: rivoltavano i cappotti per farli durare.
Allora funzionava tutto così. Un film veniva spremuto come un limone, dentro cinema di 1, 2, 3 visione; le vacanze fatte pendolando al mare in 4 sulla moto di papà. La domenica poi doppia festa, quella religiosa e quella profana del pollo arrosto nel piatto. 
La tenzone 8/900esca dentro la fabbrica, tra capitale e lavoro, si inasprisce. Mio padre operaio, stava lì, battagliava.
In quel passato remoto, insomma, affaticati dal bisogno, ci si dava da fare.
Da allora ad oggi son passati 50 anni, molta acqua sotto i ponti e molta strada dal bel tempo andato.
Dentro questo tempo lungo, venne pure il tempo della congiuntura favorevole.
Si era una Nazione in bilico sul bordo di un mondo diviso tra democrazia e comunismo, questo ci rese appetibili, venimmo foraggiati per stare di qua. Se poi nella corsa allo sviluppo stavamo più indietro di altri, meglio: un affare tutto quel bisogno da soddisfare, tutta quell’italica creatività da far fruttare e quel lavoro da assegnare, buono per far guadagnare e spendere!
Tant’è, ringalluzziti dalla incipiente profusione le donne ci misero l’utero, gli uomini lo sperma e vennero al mondo tanti baby, quelli poi detti boomers. Pur essi da soddisfare. Se tanto mi da tanto cosa c’è di meglio, per spingere al massimo l’impiego delle risorse produttive, se non rendere merce tutto-quel-che-serve-per-vivere. Il Valore aggiunto sta nel trasformare in beni e servizi gli  atti della vita. Acquistati diventano ricchezza. Se tutti possono acquistare, si genera ricchezza a più non posso, per tutti o quasi. Escono così dalla fame famiglie, nazioni pure continenti per la prima volta nella storia del consorzio umano.
Se tocca a tutti, tocca pure alla mia famiglia, piano, piano, magari a rate.
Prima la casa, piccola ma confortevole, poi la “cucina economica”, più in là pure la televisione e ancora il telefono, così quando arriva la “seicento” mia sorella sbotta: siamo ricchi; mio padre si inorgoglisce, mia madre si commuove.
Ricchi no; passo dopo passo, però, stavamo lasciando la condizione del bisogno.
Non fini qui, facemmo altro.
Io, ficcato d’imperio nella neo categoria dei “Giovani”, dovetti fare di più. Mi ficcai tra i 68’ini, quelli del “vogliamo tutto e subito”. Dentro quella baraonda trovai  pure Proraso che faceva la barba ai Beat e Mary Quant che faceva moda con le minigonne per vestire le rivoluzionate dal sesso.
Ecco si, la moda, il transeunte come dicono quelli che sanno; l’obsolescenza programmata, come pensano le imprese che  mi vestono e mi svestono, quando fa loro comodo. Quando poi si arriva “all’usa e getta” si scopre l’arcano.
Senza trucco nè inganno, venne prodotto più di quanto potessimo acquistare. Le Imprese misero insieme arzigogoli  di ogni sorta: aumentarono stipendi e salari e alla bisogna offrirono credito al consumo come se piovesse; con il marketing e la pubblicità costruirono la domanda. A noi non restò che acquistare.
Anzi con l’usa e getta il messaggio fu chiaro ed irrevocabile: non c’è più tempo per traccheggiare occorre acquistare e consumare senza tempi morti in mezzo!
Eggià, se dentro il ciclo economico all’Impresa tocca velocizzare i processi e vendere il prodotto, a noi tocca fornire continuità al ciclo e pure in fretta.
Presi per il bavero e ficcati dentro il meccanismo produttivo fu tutt’uno. Senza squilli di trombe venimmo associati all’accolita “ Libero Mercato Spa” in funzione pro ciclica: azionisti di maggioranza ma senza portafoglio adeguato, anzi zeppi di debito.
Debito in tutte la forme e di tutte la salse, che per surrogare redditi insufficienti, da spendere in quel che si vuole, quando si vuole.
Io qui ora, con il debito, faccio il mio a più non posso: ho mangiato ben oltre il pollo fino ad ingrassare mentre tip/tappo sul ticchettio che fanno i vestiti nell’armadio passando di moda,  in garage tengo pure un Suv per andare da qui là.
Altri là, negli Usa, usano il mutuo della casa  come un bancomat per rifocillare il potere d’acquistare tutto fin quando, in quel 9 agosto del 2007, Home Bank Mortage, colosso del settore dei mutui fondiari, chiede la protezione “under chapter 11”: l’amministrazione controllata.
Eggià, la storia è nota: il troppo storpia!
Troppa sovraccapacità, troppa spesa fatta con il debito, troppo debito: viene giù tutto.
Oggi, dopo sette anni di crisi e tutti i policy maker a tentare di rifare il già fatto, io faccio il mio: non spreco il mangiare per ingrassare, anzi vado in bici da qui a lì così mi  rassodo, ho preso pure a detestare quel ticchettìo della moda e vesto l’usato.
Si, faccio spending review  e come me tanti, di qua e di là dell’Atlantico.
Gulp, così l’Impresa diventa ancor più sovraccapace, per metterci una pezza riduce l’occupazione e i salari, cosi girano ancor meno soldi che spendono ancora meno.
Chi vorrà ancora fare credito/debito, per fare cosa?
Tant’è, le politiche monetarie messe in campo per sostenere la domanda, alterando il meccanismo di formazione dei prezzi, non funzionano. La deflazione, prima repressa, ora fa capolino.
Si deteriorano le risorse produttive del sistema: capitale, lavoro e spesa.
Questi i dati, questi i fatti, questi i danni.
In quest’oggi, carico di affanni, se speri nel domani quelli del "New normal" ti tolgono il fiato.  Cristian Rocca li presenta: “Vedono al ribasso le aspettative economiche creata dalla crisi. Analisti ed esperti di destra e di sinistra, liberisti e keynesiani, iniziano già a scontrarsi sull'argomento. L'idea del "new normal" sta nel fatto che la recessione ha alterato in modo strutturale il mercato del lavoro. La conseguenza è che dobbiamo scordarci la piena occupazione, i grandi profitti e gli alti dividendi”.
Fiuuuuu, che verve ragazzi e quanto ottimismo!
Già, con i precetti che guidano il pensiero di questi tizi, tal disperante ragionare è quel che può capitare di dover pensare: un lavoro che paga appena per acquistare quel-che-serve-per-vivere, non quanto invece prodotto che resta invenduto, tagliando appunto profitti e dividendi.
Già, se torno a crescere nei pantaloni, questo è il minimo che possa capitare.
Anzi peggio, quella spesa insufficiente non rigenera manco il lavoro.
Solo le norme di dottrine scadute sono in grado di pensare tal nuovo normale.
Non è normale pensare di spesare chi fa la spesa, quella  spesa che fa crescere l’economia, ma s’ha da fare.
Non è normale abbassare il prezzo delle merci, ancorchè sovraprodotte, per rifocillare la capacità di spesa e smaltire il magazzino, ma s’ha da fare.
Non è normale rifocillare quella spesa che paga con il prelievo fiscale l’altra spesa, quella pubblica, ma s’ha da fare.
Perchè, giova rammentarlo ai dormienti, la crescita si fa con la spesa; proprio quella spesa che, smaltendo il sovraprodotto, fa fare nuova produzione che genera pure occupazione.
Eggià, serve una nuova eresia non un nuovo normale!

Mauro Artibani

giovedì 16 ottobre 2014

CON CHI STA LA POLITICA?

In Parlamento c’è un Onorevole, già potente Ministro dell’Economia, che nel bel mezzo della crisi amava  dire “la crisi è terra incognita”.
Gulp, come un metereologo che non vede il domani.
Di quel dire improvvido i suoi compagni di governo e di partito non dissero nulla; l’opposizione non lo fischiò, ne’ chiese le dimissioni.
Fiuuuu: i politici, tutti, della crisi sembrano non capire un tubo.
Perché?
La faccenda è un po’ complicata, proviamo a dipanarla:
i Partiti sono rappresentanze di interessi. Gli interessati votano per interesse di parte, i partiti, appunto.
I Partiti, per adempiere al ruolo, sono pure “redistributori di reddito”. E qui la faccenda si complica.
Per buona parte del ‘900 fu la liceità del Profitto il pomo della discordia: botte da orbi in omnia secula  seculorum.
Si divisero su tutto, i pro-profitto ed i contro. Soggetti questi tanto forti da spaccare il mondo e la politica: da una parte il mondo capitalista, dall’altra quello socialista. L’un contro l’altro armati, la classe del capitale e quella del lavoro; destra e sinistra.
In un’ Italia con al centro la DC, un’ iperbole interclassista ed una politica dei redditi accorta per 50 anni li fece, magari controvoglia,  collaborare allo sviluppo del paese. Buoni i risultati: crescita economica, sviluppo industriale, innovazione fecero uscire il paese prima  dalla fame poi pure dal bisogno.
Più o meno benessere, insomma, in barba a quei Sociologi che gridano al consumismo e agli Intellettuali che fanno il coro. 
Ce ne sarà pure per i Politici, ma questa è un’altra storia.
La storia di un successo produttivo che tocca vette insondabili e che, spesso, quando tutto troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente.
Così, quando crolla il muro di Berlino, sotterrando il comunismo, comincia pure la lenta agonia dei vincitori.
Già, quando il produrre si inerpica ben oltre il bisogno e il potere d’acquisto non riesce a stargli dietro, si ricorre al debito per fare la spesa. Quando, dopo anni ed anni di vacche grasse, il debito fa sboom e viene a mancare la possibilità di acquistare la pappa per tizi oramai sovrappeso, gli ingrati si mettono a dieta.
In quell’Impresa stanno impresari, organizzatori di quei fattori che hanno sovraprodotto e chi lavorando ha fatto quel sovraprodotto; sul mercato ci sta pappa in eccesso.
Fosse solo pappa beh…. anche auto, abbigliamento, arredi, case, acciaio, telefonini, libri, latte, energia  e molto altro ancora, in sovrappiù.
Fiuuuuu: questo fanno, oggi, quelli forti di ieri.
Eggià, per non oziare nel vizio, hanno prodotto troppo.
Mentre chi del vizio ha fatto virtù  impiegando il tempo, l’attenzione, persino l’ottimismo fino a mettere su ciccia per smaltire quella pappa, forti di cotanto fare presentano il conto ai deboli.
Capito quei viziosi ciccioni?
Beh, se per fare la crescita si rende indispensabile mangiarla quella pappa e per continuare a mangiarne occorre avere un potere d’acquisto che l’ acquisti, altrimenti la pappa che resta in magazzino  marcisce, la crescita decresce e voi, ex forti, sarete ancor più deboli e pure smagriti.
Confindustria, a fronte di tutto questo, trasale e per bocca di Squinzi prima elabora, quindi auspica “la Società dei Produttori” ottenendo il consenso pure dei Sindacati. Il tentativo, insomma, temerario e disperato di trovare un comune interesse, tra chi nell’Impresa sta ai vertici e chi sta alla base.
Rieccoli capitale e lavoro, ancora loro, stavolta insieme per forza, anzi per debolezza.
Essipperchè, mettere insieme due debolezze non fa una forza!
Così sbiadiscono le identità della destra e della sinistra. Così finisce davvero il ‘900.
I Politici del nuovo millennio, per non dover ratificare la scomparsa dell’agone  che organizzava lo scontro degli interessi, non se ne avvedono.
Eggià,  una politica miope che invece di rappresentare gli interessi di quelli della pappa,  sta ancora con quegli ex forti ora deboli, debolissimi, non riuscendo a fare granchè.
Beh, se tant’è, è il tempo dei consigli.
Già, nel mondo alla rovescia diamo noi i consigli per gli acquisti: Orsù Signori del Palazzo se volete ancora rappresentare i deboli, rappresentate gli interessi di quelli forti, date loro quel che gli spetta. Torneranno ad ingrassare cosicchè tra i vostri rappresentati qualcuno dovrà nuovamente produrre, qualcun altro lavorare; torneranno ad ingrossare pure gli utili, cosi come i salari.
Una politica insomma, buona per fare gli interessi di tutti. Soprattutto nuova, per i ciccioni che lo meritano, buona pure per quegli smagriti tornati in tempo in forma.
Acquisti, appunto:  con una fava, due piccioni, forse tre, e tanti, tanti voti!
Mauro Artibani