giovedì 27 novembre 2014

CRISI, CHI HA TEMPO NON ASPETTI TEMPO

La crescita economica rende l’esercizio della spesa indifferibile. Le famiglie, i consumatori insomma, quando fanno quella spesa e ne fanno tanta: fanno il 60% del Pil. Obbediscono al diktat e… più che cibarsi vanno in sovrappeso, vestono alla moda che passa di moda, per andare da qui a lì acquistano un Suv. Questa la regola.
Tutti insieme appassionatamente hanno tentato di fare al meglio, si è fatto il meglio. Risultato: abbienti ed affrancati dal bisogno. Ip ip urrà!
Poi viene il tempo dello sconquasso quando il reddito, erogato dalle Imprese a chi lavora, si mostra insufficiente ad acquistare le merci prodotte, impallando il meccanismo dello scambio: l’offerta così va in eccesso, la domanda in difetto.
Et voilà, la crisi.
Già, questa crisi che mostra come il ciclo, per funzionare, abbia bisogno di chi produce e chi consuma nonché di quel reddito che consenta di fare la spesa, trasformando quanto prodotto in consumato: associati insomma ad un comune destino, nella barca del Libero Mercato Spa, hanno da remare nella stessa direzione.
Essipperchè, se manca di fare l’uno annaspa pure l’altro. Un “mutuo soccorso” soccorre tutteddue, per andare insieme oltre la crisi.
 Bene, i consumatori fin quando hanno potuto hanno speso, magari a debito, acquistando ben oltre il bisogno. Ora tocca alle imprese mettere fiches per rifocillare l’immiserito potere d’acquisto. A loro tocca  fare un investimento per vendere.
Olè,per quelli che fanno orecchie da mercante ci vuole un tweet: " Sta qui il bandolo della matassa”.

Un altro tweet ratifica la regola: "La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera”.

Nell’attesa che pure i mercanti prendano atto del fatto, si fa a modo nostro.

C’è molto da fare:
acchiappare tutte le carte fedeltà per fidelizzare così i fidelizzatori;
vivere a saldi;
acquistare in gruppo e fare il prezzo;
toh, il taxi- sharing di Uber dimezza il costo del viaggiare; “bla bla car” pure;
si può indossare il fuori moda, dura di più;
si può pure fare baratto tra ciò che abbiamo e non usiamo e ciò che vogliamo ma non abbiamo;
Si può andare ancora avanti e scovare altro, ce n’è per tutti.

Si può tentare persino  l’impossibile: vendere la nostra domanda a chi si trova in debito d’ossigeno nel vendere l’offerta. Di questi tempi, appunto, hanno più bisogno i produttori di vendere che i consumatori di acquistare!

Attenzione, ci stanno pure Imprese, nazionali ed multinazionali, che hanno attrezzato business che fanno utili e danno il resto a chi fa la spesa.

Risparmi  a iosa insomma, da scovare, piluccare, intascare.

Essì  Signori, tocca intercettare quel tornaconto che, rifocillando il Potere d’Acquisto, sblocca il meccanismo dello scambio che impalla il mercato,  riattivando  la crescita.

Ehi ehi, per i Consumatori una promozione sul campo, anzi al mercato: Badanti, non più badati!

Mauro Artibani




giovedì 20 novembre 2014

SI IN-CASTRA PER FARE DISPETTO AL SOCIO

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Lo sottolinea l'Ocse presentando in via preliminare, l'Economic Outlook. Dice come sull'eurozona incomba una "minaccia di stagnazione" anche per il rallentamento delle principali economie: la Germania, la Francia e l'Italia. L'area dell'euro ha bisogno, secondo loro, di "ulteriori ambiziose riforme per spingere la crescita" e la "flessibilità e la discrezione all'interno delle regole fiscali dell'Ue potrebbero essere usate per ridurre le resistenze della domanda".
Cacchio, dopo 6 anni hanno trovato il bandolo della matassa della crisi: R-e-s-i-s-t-e-n-z-a d-e-l-l-a d-o-m-a-n-d-a
 Si, insomma, i domandanti fanno resistenza a domandare.
Si proprio loro quelli che, con l’acquisto, trasformano la merce in ricchezza; consumandola poi la fanno riprodurre fornendo continuità al ciclo economico, dando sostegno alla crescita.
Già, questo fanno quando acquistano. Dagli Sherlok Holmes dell’ Ocse sono stati colti invece in flagranza di reato: renitenti alla leva della spesa. Hai capito i puzzoni!
Così, quando viene scoperto l’arcano, dentro quella combriccola societaria dove coabitano con i produttori, la “Libero Mercato Spa”, volano gli stracci:
La tua non domanda nega il valore alle mie merci;
Vanifichi la produttività dei fattori che come imprenditore metto in campo;
Mi costringi a stare in sovraccapacità e ti ricordo che con i magazzini pieni si brucia ricchezza. Pure la tua!
Beh ti’è, te lo sei, anzi ve lo siete meritato: Il vostro reddito disponibile del 2013 è tornato ai livelli di 25 anni fa.
Capito?
Se ancora non vi bastasse, l'Ufficio Studi di Confcommercio dice pure che, in quello stesso anno, il reddito disponibile e' stato pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.

Questo l’hanno detto l’altro ieri. Noi ieri ci abbiamo messo pure il carico da undici, loro hanno rifatto l’aggiornamento e hanno scoperto che nel 2013 si e' registrato il sesto calo consecutivo del reddito delle famiglie, con una contrazione dell'1,1% in termini reali (-2,2% pro capite ). Rispetto, insomma, al 2007 viene fuori che nel 2013 il reddito disponibile reale pro capite e' sceso del 13,1%, pari a un ammontare di euro 2.590 a testa ai prezzi del 2013.
Tiè, tiè, tiè, socio: così impari, tu e i tuoi compari, a campare!
Et voilà, come ci si in-castra per fare dispetto non alla moglie, al socio.
Mauro Artibani



giovedì 13 novembre 2014

PRODUTTIVITA’ VS VALORE: GULP!

Cosa debbono fare le Imprese per tenere il mercato in equilibrio dinamico?
Tenere elevato il livello di produttività nella gestione dei fattori. Quando questo si compie si produce di più e meglio. Quando poi viene dato a Cesare quel ch’è di Cesare, attraverso una adeguata allocazione delle risorse di ricchezza  generate tra tutti gli agenti economici, si porta al mercato il prodotto; percepito come valore e acquistato, remunera i fattori. Tutto bene.
Quando invece si chiude il cerchio del sistema produttivo, che da lineare aperto si fa circolare e continuo* ma non adeguatamente lubrificato, quando insomma le risorse economiche, generate dall’aumento della produttività, vengono allocate in maniera sghemba e il moto s’inceppa, gli equilibri saltano.
Di male in peggio se le Imprese, nel bel mezzo della crisi, tra opzioni di buy back, chiudere la cassa e  non abbeverarsi di credito, mostrano di aver sposato la renitenza ad investire, altro che migliorare la produttività.
Già proprio quella produttività che, passata al vaglio di chi fa la spesa, viene rispedita al mittente. Essipperchè  seppur forgiata nei processi e trasferita nei prodotti, alla verifica del valore: sdong, s’affloscia!
Già quando più di 120 milioni di persone nell'Unione Europea sono a rischio povertà o esclusione sociale**, ovvero 1 persona su 4, non si spende:  macchè valore d’eggitto! Quando poi, per  i restanti ¾, quelli satolli - magari pure in sovrappeso - vestiti alla moda  che passa di moda - a bordo di un Suv per andare di qua e di là,  quel valore vale meno: s’affloscia appunto. Se viene poi incastrato tra troppe merci  troppo care, addirittura collassa.
Se, tra gli illuminati, c’è  chi pensa di poter sostenere la produttività delle merci ed estrarne valore, utilizzando fino allo stress Marketing e  Pubblicità, con la crisi dovrà rifare i conti e a conti fatti scorgere che…
Si, che il valore non sta nella merce, sta invece negli occhi di chi la guarda, nel tatto di chi la tocca, di chi l’ascolta e l’annusa. Di chi  la valuta insomma, poi magari la vuole, sempre che possa acquistarla.
Già, possa. Altrimenti, negato quel valore, tutta quella produttività  messa addosso alla merce te la sbatti!
Ci siamo. Zitti zitti, quatti quatti, magari per non svalutare le risorse impiegate, credo tocchi achittare una produttività che non si faccia scuotere dall’oscillazione di quei sensi, magari capitalizzando adeguatamente il potere d’acquisto di quei valutatori del valore, affinchè ben valutino.
O no?
*Questo accade quando la funzione “consumo” viene associata agli altri fattori della produzione
**Lo fa sapere l'Eurostat: La percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale nel 2013 risulta pari al 24,5%. (Finanza. Com)
Mauro Artibani

 

giovedì 6 novembre 2014

A TERNI ESPERIMENTI DI ECONOMIA DEI CONSUMI



Nel mondo si misura in 580 milioni di tonnellate la sovraccapacità produttiva nell’industria dell’acciaio. 80 milioni in Europa.
A Terni,  nelle acciaierie, per ridurre i costi di tal garbuglio tagliano di 100 milioni l’anno i costi. 537 di quelli che lavorano vanno in sovrappiù, per gli altri riduzioni di stipendio.  
Il 18/10/14  pressappoco 113.000 ternani reagiscono, 30.000 vanno in piazza. Manifestano solidarietà e pure un po’ di  interesse, anzi molto, per quelli che mancheranno di portare i soldi a casa e per quelli che ne porteranno meno. In piazza ci stanno pure quelli che non venderanno a chi ha perso il lavoro  o venderanno meno a quelli che guadagneranno meno. Già, ci stanno, e pure in cagnesco perché scorgono un domani gramo: senza lavoro  anch’essi.
Fanno scongiuri  insomma fabbricanti, commercianti, artigiani, professionisti, persino le banche che vedranno deteriorarsi i loro crediti. Stretti di chiappe, su un lato della piazza, ci stanno pure tutti quelli dell’indotto.
Una reazione a catena, di sovraccapacità in sovraccapacità, che costa e non fa guadagnare; per quelli del prelievo fiscale, che a Terni hanno rappresentanza, solo spiccioli.
Brrrrrrrrrrrr, fa freddo!
Per riparare il danno quelli al Governo nazionale sembrano muoversi tra opzioni lasche, spazi stretti e tempi lunghi. 
Beh, intanto ai ternani per non restare intirizziti nell’attesa  tocca muoversi.
Le politiche keynesiane che, quand’anche efficaci, fatte a debito non sono spendibili.
Fomentare impresa invece, a costo quasi zero, guadagnando un ricostituente fiscale si può: Per quei 537 si possono spendere 73,5 ettari* di terreno agricolo demaniale dato in comodato d’uso da Comune, Provincia e Regione.
C’è bisogno degli utensili per coltivare? Beh… tocca alle Imprese investirci  per dare sprone a quei senza lavoro che hanno smesso di fare la domanda.
Se poi viene assunto pure  “quel modello produttivo agricolo italiano, primo per produzione di valore aggiunto”  il gioco è fatto.
Se tornano a lavorare, con il surplus che se ne trae, si fa  reddito buono per fare  la spesa. Se tanto  da’ tanto si può fare, anzi occorre farlo!
Occorre fare pure altro però per quel lavoro che quando c’è remunera poco, pressappoco quel-che-serve-per-vivere, facendo mancare  la capacità di acquistare quanto prodotto.
Essipperchè, così conciati si va ramenghi in sovrappiù. Tutti!
Se l’Impresa paga il lavoro quanto può per tenere arzilla la produttività, può fare ancora meglio abbassando i prezzi per alleggerire i costi della sovraccapacità, recuperando pure capacità competitiva. “Bonus” insomma, buoni per rifocillare quel potere d’acquisto di chi acquista poco, per far acquistare il resto.
Così si possono pareggiare i conti e tutti insieme tornare a fare.
Eggià, nell’economia dei consumi funziona così: occorre spendere per poter lavorare.
Così i negozianti possono smettere di oziare, i progettisti tornare  ad architettare ed ingegnare per muratori che tornano a murare con i manovali a dare una mano. Pure i taxi a girare, le agenzie ad agire servizi, gli agenti a fare la guardia. Persino Maurizio, non più solo soletto, può tornare a dare lezioni di chitarra, mentre per quelli all’angolo della piazza finalmente  poter rilassare i glutei.
Bizzarro eh?

*Quelli del Dossier di Coldiretti con Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison considerano il modello produttivo agricolo italiano primo per produzione di valore aggiunto. Viene stimato triplo rispetto a Regno Unito, doppio rispetto a Spagna e Germania, superiore del 70% a quello francese. In questo settore l'Italia è prima anche per addetti occupati, con 7,3 addetti per ettaro, a fronte di una media europea di 6,6 addetti.

Mauro Artibani