mercoledì 14 agosto 2013

MA QUALE PUNTO DI SVOLTA DEL CICLO?

Non v'è chi non veda la produzione industriale in caduta libera negli ultimi 10 anni: il crollo delle aziende italiane tra il 2002 e il 2012 e' stato del 17,8%. Rispetto al 2007, ultimo anno prima della crisi, il risultato del 2012 peggiora ulteriormente scendendo al -20,7%. E' quanto emerge dai dati contenuti nelle tabelle dell'Istat sull'attivita' delle imprese industriali, elaborate dall'Adnkronos. Eggià, le attivita' manifatturiere, in un decennio, hanno ridotto la produzione industriale del 19,4% e, negli ultimi 5 anni, del 21,3%. Tornando ai numeri della produzione industriale, nel complesso, c'e' stato un leggero incremento degli ordinativi che, in 10 anni, sono aumentati dell'1,6% mentre c'e' stata una contrazione del 18% rispetto a cinque anni prima. Anche il fatturato segna un forte calo nell'ultimo periodo (-8,8%), mentre dal confronto con il 2002 emerge un incremento del 9,4%. Segnali negativi arrivano anche dal lavoro con l'occupazione nelle grandi imprese che, rispetto al 2002, e' diminuita del 16,2%. L'analisi anno per anno evidenzia che il calo e' stato continuo e costante, senza impennate nel periodo della crisi. Si riducono anche le ore lavorate per dipendente, che segnano un calo dell'1,4%.Non conosce segni negativi, invece, il costo del lavoro che dal 2002 al 2012 aumenta del 34,7% per dipendente. Ricapitoliamo: Per i big dell'industria gli ordini poco o nulla, il fatturato pure; riducono l'occupazione del 16,2 e pure le ore lavorate. Già, c'è però un + 34 per dipendente. Si, ma finisce quasi per intero sulle retribuzioni lorde per dipendente che nello stesso periodo registrano un +34,6%. Fiuuuuu: quell'aumento va tutto in cuneo; insomma per rifocillare, si fa per dire, quello Stato in spending review. Essipperchè, nel frattempo i salari reali sono rimasti al palo in Italia negli ultimi 20 anni. Lo dice l’Istat nel suo rapporto annuale. "Tra il 1993 e il 2011 spiega le retribuzioni contrattuali mostrano, in termini reali, una variazione nulla, mentre per quelle di fatto si rileva una crescita di quattro decimi di punto l’anno". Appunto, quattro decimi di punto e l'inflazione quanti decimi ha sottratto a quegli aumenti? Beh, lasciamo perdere! Non lasciamo perdere: negli ultimi due decenni, evidenzia il rapporto, "la spesa per consumi delle famiglie è cresciuta a ritmi più sostenuti del loro reddito disponibile, determinando una progressiva riduzione della capacità di risparmio. Complessivamente dal 2008 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,1 per cento in valori correnti, ma il potere d’acquisto (cioè il reddito in termini reali) è sceso di circa il 5 per cento. Indipercuiposcia, nel 2012 la spesa media mensile per famiglia è stata pari, in valori correnti, a 2.419 euro, in ribasso del 2,8% rispetto all’anno precedente. Lo rileva l’Istat, precisando che la spesa è fortemente diminuita anche in termini reali (l’inflazione lo scorso anno era al 3%). Beh, a conti fatti, si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Eppure, dal Governo arrivano sprazzi di ottimismo sulla congiuntura economica: “Siamo al punto di svolta del ciclo” dice Saccomanni. Già, ma a fronte di una spesa aggregata, che quando non decresce langue e disgrega la domanda, come farà a crescere l'economia? Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 8 agosto 2013

CONSUMATORI BOLSI, INFINGARDI E PERDIGIORNO

Ci risiamo, nuovo calo per i consumi delle famiglie italiane. Lo rileva l'Istat. Ad aprile 2013 l'indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio diminuisce dello 0,1% rispetto al mese di marzo. L'istituto, sottolinea che l'indice incorpora la dinamica sia delle quantità sia dei prezzi. Rispetto ad aprile 2012 l'indice grezzo del totale delle vendite segna una flessione del 2,9%, sintesi di una diminuzione del 4,5% delle vendite di prodotti alimentari e dell'1,9% di quelle di prodotti non alimentari. Nei primi quattro mesi del 2013, invece, l'indice grezzo diminuisce del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le vendite di prodotti alimentari segnano una flessione del 2,1% e quelle di prodotti non alimentari del 4,2%. Eggià, politiche di consolidamento fiscale, a più non posso, hanno sottratto risorse di reddito. Il cuneo fiscale penetra là dove non dovrebbe e rende smilzi i redditi. Pure il lavoro precario del reddito fa carne di porco. La disoccupazione invece lo taglia. Si riduce pure il potere d'acquisto. Essipperchè il carrello della spesa risulta piu' caro a luglio, come dice l'Istat: i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza dai consumatori, sono aumentati del 2% nell'ultimo mese rispetto a luglio 2012. E il record dell'aumento dell'aliquota ordinaria dell'Iva, cresciuta in 40 anni di 8 volte ? Non è finita: quattro giovani su dieci si trovano senza il becco d'un quattrino; 2.400.000 fanno i Neet, fanno quindi poco o nulla; una donna su due armeggia tutto il giorno tra i fornelli senza beccare un centesimo; un pensionato su due si arrabatta per tirare a campare. Varia umanità questa, costretta a farsi bolsa, infingarda e perdigiorno invece di mettersi a fare la spesa come fanno quelli che hanno il denaro per farla. Orbene, se la crescita si fa con proprio con la spesa, quella privata fa il 60% del Pil, e quelli privati delle risorse di reddito la riducono, verrà generato ancor meno reddito che ridurrà pure la capacità di spesa di chi ha fin qui speso. Con le merci invendute verrà ridotta ancor di più l'occupazione, i produttori smetteranno di produrre, i venditori ancor più di vendere, pure meno spesa pubblica perchè gli esattori non potranno più esigere. Essì, funziona così! E pensare che per raddrizzare la baracca basterebbe che i redditi erogati a chi lavora per produrre fossero sufficienti ad acquistare quanto prodotto: sic! Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com  

giovedì 1 agosto 2013

L'EMPASSE DELLA CRISI, LA CRISI DE L'EMPASSE

Già, l'empasse della crisi: la crescita si fa con la spesa, la spesa con il denaro, il denaro con il lavoro; quel lavoro remunerato poco, genitore del difetto di domanda che fa dell'offerta un eccesso, che affossa il prodotto, che affossa la produttività. Essipperchè, nella miope gestione di attempati fattori della produzione, il capitale taglia il lavoro. Al grido di “automazione” viene ridotto quel lavoro; le variegate forme della flessibilità ne riducono il costo, con la deflazione salariale pure il valore del remunero. Già, ci sono parole magiche, nella fattispecie: competitività, produttività, concorrenza che hanno il loro centro di gravità nel contenimento dei costi d' impresa. In cima stanno quelli del lavoro, agiti fanno salire la disoccupazione, scendere salari e stipendi. Toh, proprio quel che serve per fare quella spesa, buona per la crescita. Eppur si deve, se s' ha da vincere la battaglia della globalizzazione, quella che consente di vendere in tutto il mondo mentre tutto il mondo vende in casa tua. Un bel garbuglio, insomma, dal quale tocca uscire per uscire dalla crisi evitando, magari, le ineffettuali scorciatoie fin qui adottate. Mettiamo in crisi l'empasse, prendiamo per il bavero i fatti: cosa accade, per esempio, a quella “generazione senza lavoro” che Papa Francesco grida? Già, quei giovani sottratti all'esercizio produttivo per aumentare quella produttività che migliora i volumi prodotti; quella generazione che, mancando pure di remunero per acquistare quel prodotto, ne svaluta il valore. Giust' appunto, mancando di spendere, la loro domanda si fa scarsa, l'offerta al contrario sovrabbondante! E proprio qui si mostra quel che non t'aspetti: vi è più valore nell'esercizio del consumare che in quello del produrre. Se tanto mi dà tanto, tocca allora remunerare l'esercizio della spesa. Per un mercato efficiente fare il prezzo di quel valore, che consuma il prodotto e fa riprodurre, è cosa buona e giusta: un modo per compensare quel tributo pagato, all' aumento della produttività di processo e alla competitività di prodotto, che spossa proprio il potere d'acquisto. Pagare, investendo il profitto per ridurre i prezzi, non grava sulla struttura dei costi mentre aggiunge ulteriore capacità concorrente ai prodotti. Chi lavora avrà convenienza a fare più e meglio nel produrre ed avere così da acquistare quindi spendere e guadagnare. Remunerare l'esercizio del consumo migliora la produttività totale dei fattori e la capacità di fare utili per le imprese; matura pure la convenienza a poter stornare quote di profitto da investire per compensare chi, con lo spendere, fa guadagnare. Viene così sottratto rischio all'impresa: toh, proprio quello che il profitto remunera. Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com