giovedì 27 giugno 2013

VENDESI FIDUCIA DEI CONSUMATORI

La notizia emersa la settimana scorsa, secondo cui Reuters concede ai suoi abbonati di avere accesso ai dati mensili sulla fiducia dei consumatori in anticipo sulla concorrenza, dovrebbe far suonare un campanello d'allarme sui pericoli rappresentati da questa pratica. Si tratta, infatti, di clienti che fanno grande uso delle statistiche per stabilire come effettuare le operazioni di trading ad alta frequenza. Eggià, la fiducia dei consumatori: notizia market sensitive, una leccornia per i golosoni del mercato. Michael Gayed, chief investment strategist di Pension Partners, ha detto in un'intervista a Newsmax TV che "per i gruppi che gestiscono le piattaforme di high-frequency trading, i due secondi di vantaggio che Reuters concede ai clienti sono una "cosa molto negativa", perche' costituisce una minaccia alla stabilita' dei mercati. "La velocita' - dice l'analista - puo' essere molto piu' pericolosa di quanto si possa pensare". Quanto ci sia di illecito in questo fare non spetta a me dirlo. Spetta invece a tutti riflettere sul fatto. Già, qual è il valore di mercato di quel dato, dato ai clienti in anticipo sulla concorrenza? Beh, quando il dato della fiducia sale, quelli che fanno la spesa vuol dire che spenderanno. Eggià, andrà bene per chi produce e chi commercia; quelle aziende quotate che fanno questo avranno più utili da mostrare nei loro bilanci. Sapere questo prima degli altri fa investire con maggior profitto. Se invece quella fiducia scende, quei due secondi di vantaggio saranno cruciali per uscire dal mercato prima degli altri, senza farsi male. Ma quanto cacchio vale la fiducia di quei tizi? Fa scendere o salire il valore dei titoli in borsa, svuota o riempie i magazzini delle imprese, fa aumentare o diminuire l'occupazione; con la spesa fa crescere o decrescere l'economia. Mica male eh? Già, cosicchè quando nel 2012 ogni abitante del nostro paese ha prodotto in media 504 kg di rifiuti, 32 kg in meno rispetto al 2010, vuol dire che ha speso meno. Sono cacchi. Anzi, più che cacchi, crisi. Quella che affonda il mondo dal 2007! Orbene, vista la relazione prodromica che lega questa fiducia alle fiducie altrui, visto cotanto valore, perchè non vendere fiducia? E, ancor di più, per quelli che ne possano trarre beneficio, perchè non acquistare fiducia? Pagata, rifocilla quel potere d'acquisto per fare la spesa che tanto manca all'economia. E vai!! Con i soldi in tasca, insomma, si può tornare a cantare messa, intonando magari tutt'insieme il cantico della crescita. Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 20 giugno 2013

CONFESSO, SONO INADEMPIENTE !

Negli ultimi cinque anni, dal 2008 al 2012, la spesa alimentare delle famiglie ha perso costantemente pezzi per colpa della crisi, lasciando per strada in media 2,5 miliardi di euro ogni anno. La situazione economica del Paese, con il suo carico di oneri aggiuntivi e disoccupazione in aumento, ha costretto gli italiani a tagliare mano a mano il budget per la tavola, che oggi ammonta a 117 miliardi complessivi. Meno Pil insomma. Approposito, tra quelle famiglie ci sta pure la mia. A ben guardare ho fatto pure di peggio, ho tagliato quel 30% di sprechi alimentari che gli statistici mi rinfacciavano. Non cambio il mio telefonino fin quando il prezzo del nuovo non scende considerevolmente: oh scenderà, scenderà, quei prezzi scendono sempre. Avevo pure 3 automobili ora 2: meno assicurazioni da pagare, meno bolli, meno manutenzione; un bel risparmio per me, ancor meno Pil per tutti. In vacanza? Dai miei amici, risparmio un sacco: si, vabbè, meno Pil. Spending review si chiama, pari pari a quello che, tutti gli organismi nazionali e internazionali, stanno chiedendo di fare per i costi dello Stato. Occhio, è quello che stanno facendo pure le Imprese riducendo, ancor di più, il costo del lavoro; mancando pure di fare investimenti di capitale. Eggià, revisione della spesa, migliorando la produttività delle risorse impiegate, questo fanno gli ex produttori di ricchezza. Due piccioni con una fava: dispensano ancor meno redditi per fare la spesa; riducono la loro spesa per gli investimenti e, con i magazzini pieni, pure le scorte. ''In Italia, nel periodo 2009-2013, la mancata crescita nominale del Pil ha superato i 230 miliardi''. Lo dice la Corte dei Conti nel suo rapporto annuale sul coordinamento della finanza pubblica. Una spending review da mozzare il fiato e strangolare l'economia! Per uscire dal guado, con quel fil di voce che ho ancora in gola, chiedo di poter adempiere al mio compito d'istituto. Giust'appunto, avere la disponibilità economica per poter acquistare quanto ho prodotto lavorando, affinchè quel prodotto non resti invenduto, perdendo valore, bruciando ricchezza! Approposito, se spendo io e quelli come me, aumenta il prelievo fiscale che riduce il debito sovrano, si riaffaccia la spesa pubblica; si riducono le scorte delle imprese che dovranno essere ricostituite, ricostituita pure la spesa per investire. Un bel guadagno, insomma. Per tutti ! Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 13 giugno 2013

GULP, SI DETASSA LA PRODUZIONE, SI TASSA IL CONSUMO

La Commissione Ue chiude, dopo quattro anni, la procedura di deficit eccessivo nei confronti dell'Italia, aprendo due importanti fronti per Roma. Da un lato crea le condizioni perchè, nel 2014, l'Italia abbia più risorse, potendo spostare il target del deficit/pil al 2,9% dall'1,8 indicato dal Def; dall'altro pone sei raccomandazioni per il periodo 2013/2014. Già, sei. In una sta scritto: L'Italia, a parità di gettito deve alleggerire il carico fiscale sul lavoro e sul capitale compensandolo con la maggiore tassazione dei consumi e degli immobili. Siamo alle solite, per avere munizioni da usare contro la crisi si chiede di detassare la produzione, si tassa la capacità di spesa di chi consuma. Giusto? Giusto, se per andare oltre questa maledetta crisi si debba produrre, forzando la capacità competitiva per vendere di più. Giust' appunto occorrerebbe limitare il carico fiscale che strangola salari e stipendi; toccherebbe pure ridurre il prelievo fiscale sui profitti acciocchè le imprese dispongano delle risorse economiche per fare gli investimenti di capitale. Ma porcoggiuda, questo l'Ue chiede di fare per riparare quel danno generato all'economia dagli inadeguati redditi da lavoro, erogati dalle imprese per acquistare quanto quel lavoro ha prodotto e quello scompenso che ha generato poi l'eccesso di offerta che ha fatto ridurre pure gli investimenti di capitale. Giusto? Giusto un corno: lecito il ristoro fiscale a chi ha impallato il meccanismo dello scambio? Sufficiente, nel migliore dei casi una partita di giro, la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro pagata con l'aumento del prelievo sul potere d'acquisto? Ma soprattutto se nell' Economia dei Consumi, dove siamo ficcati, la crescita si fa con la spesa aggregata ed il 60% di questa viene aggregata dal consumo dei privati, si può aumentare il prelievo dalla parte della spesa? Cacchio, una bella e buona redistribuzione fiscale, dal consumo alla produzione, che sembra voler premiare chi ha mal fatto; neutralizzare chi lavora per guadagnare, guadagnare per spendere, che mancherà ancora di trovare quelle risorse adeguate per farlo. Già, risorse economiche dirottate per finanziare quel capitale che non verrà investito per rifocillare magazzini pieni. Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

mercoledì 5 giugno 2013

GIOVANI, SE PERDONO LORO PERDIAMO TUTTI

L'anagrafe consegna loro vigore e salute, gli studi fatti un adeguato capitale umano. Iper connessi acquistano a-più-non-posso altro capitale, quello social; in dosi adeguate sono pure flessibili, scevri da preconcetti; integrati rifuggono da impeti apocalittici: questi sono i giovani. Queste le loro risorse, tutto questo hanno da dare. Quel che sono costretti a fare è però altro, emerge dalla prima analisi Coldiretti/Swg su 'I giovani e la crisi', presentata all'assemblea di Giovani Impresa Coldiretti. Dall'indagine emerge che il 28% dei giovani tra i 35 i 40 anni sopravvive con i soldi di mamma e papà, così come anche il 43% di quelli tra i 25 i 34 anni e l'89% dei giovani tra i 18 e i 24 anni. L'aiuto economico dei genitori continua anche per più di un giovane occupato su quattro (27%) che non è in grado di rinunciare al supporto finanziario dei familiari. Già, i giovani sono a questo ridotti ma sono anche quest' altro: hanno bisogni, emozioni, passioni da spendere, finanche esperienze da soddisfare. Oltremodo clienti, clienti di tutto hanno disposizione all'acquisto che poi consumano dando risoluto sprone anche a chi dovrà spendere per investire in nuova produzione. Vieppiù dotati di potenziale contributivo possono contribuire a dare foraggio pure alla spesa pubblica. Così che, quando vien fuori che l'Italia ha la quota più alta d'Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano - i cosiddetti neet, arrivati a due milioni 250mila nel 2012, pari al 23,9% - si mostra una faccia del peccato. Ce n'é pure un'altra: non hanno il becco d'un quattrino per spendere a sufficienza. E quando si fa il conto, come fa l' Istat, che l'esser neet fa perdere all'Italia 27 miliardi di euro l'anno di crescita, sono guai. Già, e quanto fa perdere alla crescita allora una disoccupazione giovanile, arrivata al 38 %, che fa avvizzire le loro risorse costrette in esercizi “vitelloni”? Quando il sistema rende possibile tale ammontare di renitenza nell' impiego delle risorse, quello stesso sistema manca l'utilizzo ottimale dei fattori produttivi. Manca la gestione quel gestore delle risorse, così viene distrutta ricchezza. Questi dati mostrano per intero le contraddizioni che stanno oltre la pur tragica ingiustizia sociale di cui si grida. Non c'è chi guadagna dalla loro remissione: se perdono loro, perdiamo tutti. Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com