martedì 24 aprile 2018

DA STARBUCKS NON CONTA ESSERE BIANCHI, NERI O TURCHINI!


Due uomini entrano in un bar della catena americana di caffè. Siamo a Philadelphia e i due si mettono in fila. Poi però restano lì, senza acquistare nulla. Lo fanno perché stanno aspettando un amico e, dunque, sono fermi lì, senza fare nulla di male? A un certo punto, però, arriva la polizia e li arresta.
No, non è uno scherzo, tutt'altro. E' veramente avvenuto all’interno di un negozio di Starbucks.
La colpa? Si è detto l'esser neri. La presenza di due afroamericani che non comprano nulla ha insospettito e spaventato i dipendenti della caffetteria; sono stati chiamati gli agenti che hanno arrestato i due uomini senza apparente motivo.
Il video dell’arresto è stato postato dall’utente Melissa DePino: “La polizia è stata chiamata perché questi uomini non avevano ordinato nulla. Stavano aspettando un amico che è arrivato subito dopo che gli agenti hanno portato via i due ragazzi. Ci si chiede: perché a noi bianchi non succedono cose del genere?”.
Illazioni!
Si, illazioni, la Melissa non può far finta di non sapere come, per partecipare alla crescita economica, occorra fare la spesa. Quando si perde tempo ad aspettare un amico, o peggio non si hanno i denari per farla, si è - piaccia o no - renitenti alla leva di quella crescita.
Fare questo credo sia da considerarsi, oltre che disdicevole e di cattivo esempio, un illecito economico. Quelli di Starbucks lo sanno, chiamano la polizia per reprimere il crimine.
Ehi, sia chiaro, lo stesso crimine si dovrebbe perseguire pure, non se si è bianco, nero o turchino ma se si ha in portafoglio più di quanto si spenda.
Già, chi ha soldi in tasca ma non li spende per quei 75 "frappuccini" che gli toccherebbe bere, il crimine resta impunito.
Il posto di lavoro del frappuccinista però vacilla. Starbucks, che verrà a ritrovarsi con capacità produttiva inutilizzata, smetterà di fare la spesa per gli investimenti. Non è finita: vi sarà una riduzione del gettito fiscale che ridurrà pure la spesa pubblica.
Sta qui il discrimine, altro che discriminazione.
Essì, dentro l'economia dei consumi funziona così!


Mauro Artibani, l'Economaio

martedì 17 aprile 2018

IL CAUP, MEGLIO DEL CLUP: HURRA'!


Nell'economia della produzione viene ritenuto possibile distinguere tra salari nominali e quelli reali.
Giust'appunto, i primi sono la quantità di moneta che il lavoratore riceve in un'unità di tempo.
I secondi, la quantità di beni e servizi che quel lavoratore può acquistare con il salario ricevuto.
Tutto bene quando il denaro guadagnato con il lavoro risulta pari al potere d'acquisto necessario per fare tutta la spesa che occorre a smaltire quanto quello stesso lavoro ha prodotto per poter ri-produrre fornendo continuità al ciclo.
Già, a meno che l'inflazione, quando si mostra, attenti quell'equilibrio.
Stesso squilibrio pure con la deflazione, dite?
Vero! A meno che, magari al grido di "Pazienza, costanza e prudenza"*, questa puzzona la si scongiuri con le politiche di reflazione, messe in campo ad arte, con l'intento di alterare il meccanismo di formazione dei prezzi strapazzando il potere d'acquisto.
A meno che... poi con il credito si dia soccorso a quell'acquisto: nel dicembre 2017, negli Usa,
il credito al consumo risulta eumentato a un tasso annualizzato di del 5,8%; 18,45 miliardi di dollari sul mese precedente.
Il debito associato alle carte di credito è salito a dicembre a un passo annualizzato del 6%. I debiti legati a prestiti studenteschi o per l'acquisto di un'auto, il cosiddetto credito non-revolving, sono aumentati al tasso annualizzato del 5,7%.
Bella no?
Beh, per porre riparo alla insufficienza del salario reale, nell'economia dei consumi, deve trovere riferimento un accrocco nuovo di zecca: condizione necessaria e sufficiente a che il meccanismo economico giri al meglio, per generare ricchezza, le imprese devono attrezzare business che consentano di fare profitto se e quando, con l'acquisto delle loro merci, viene rifocillato il potere d'acquisto dell'acquirente.
Ci sono grandi Aziende** che già lo fanno; si, cosi come gli utili.
Pressappoco, insomma, un salario di scopo.
Ecchè scopo! Buono per ridurre pure il margine di capacità inutilizzata nell’economia e non dover ridurre i salari nominali di chi vi lavora.
A presidio e misura del salario reale, l'impresa deve farsi carico di parti del Costo dell'Acquisto per Unità di Prodotto (CAUP).
Quasi come il caro vecchio Costo del Lavoro per Unità di Prodotto (CLUP) che ancora misura il salario nominale.
Eggià, se con il secondo si calibra la produttività della singola azienda, con il primo si può governare la produttività dell'intero sistema economico.


* Pazienza, costanza e prudenza nella conduzione della politica monetaria al fine di assicurare il ritorno dell’inflazione verso l’obiettivo prefissato. Così Mario Draghi afferma nell’editoriale pubblicato nel rapporto sull’attività della Bce nel 2017.

** Ikea, le Free Press, Groupon, gli Outlet, AirBnb, Uber.

Mauro Artibani, l'Economaio

martedì 10 aprile 2018

LA REGOLA DELL'ECONOMIA DEI CONSUMI: REDDITO, PER CREARE LAVORO


Signori della politica, è tempo di guardare avanti, smesso di menare il can per l'aia, giungere ad interrogar la regola per uscire dalla crisi: può esserci ripresa senza lavoro?
Già, se occorre reddito per riavviare il ciclo economico, occorre lavoro che retribuisce!
Essì, la dottrina economica vincola il reddito all'occupazione, l'occupazione ad un lavoro.
Il buon senso ammicca: se lavoro, ottengo un reddito necessario per dare ristoro ai miei bisogni.
Senza strafare mi cibo, mi abbiglio, mi curo; ci scappa pure qualche sfizietto, che so, un bel viaggetto oppure un pranzetto dar sor Fischietto.
Quando invece il reddito da lavoro non riesce a sostenere la domanda, per smaltire una offerta andata ben oltre il bisogno e le merci restano invendute:
chi vorrà produrre nuove merci?
chi lavorerà per produrle?
quale lavoro produrrà reddito?
Avremo ancor meno guadagno insomma; reddito da lavoro indisponibile: ancor più crisi!
Un circolo vizioso.
Per uscire dal guado occorre cambiare le regole del gioco.
Per farlo occorre sospendere l'efficacia normativa di quella dottrina, giusto il tempo per riflettere.
Voilà, sintetica e cangiante, la regola: reddito per creare lavoro.
Dove trovare il reddito?
Nella non retribuita quotidiana pratica del consumo: dove sennò?
Là, dove vengono impiegate le nostre risorse; nell'esercizio della vita spesa a fare la spesa per smaltire la sovrabbondante offerta di prodotto.
Quel lavoro, insomma, che retribuisce l'economia.
Lavoro che crea lavoro, occupazione; retribuito, reddito che compensa redditi insufficenti.
Reddito di Scopo, ecchè scopo: smaltire l'offerta sul mercato.
Vi sarà necessità di nuova produzione, nuovo lavoro; nuovo reddito per riavviare il ciclo economico.
Reddito erogato magari dagli extra-profittatori di profitto; quei Signori che hanno guadagnato a iosa, che hanno più merci in magazzino di quante se ne possano smerciare e che avranno da sborsare cash a chi vorrà smaltire quell'accumulo.
Okkei, si chiama redistribuzione, non per resuscitare furori ideologici, per suscitare invece ragioni economiche per il profitto di tutti, per l'oggi e il domani.
Oddio, ad esser pignoli ci sarebbe pure un'altra via: l’eccesso di offerta unita all’insufficienza della domanda impalla il mercato? In un mercato efficiente v'è l'occasione per nuova offerta, di domanda però e nuova domanda per quella offerta.
L'occasione è ghiotta: i produttori hanno bisogno di acquistare la nostra voglia di consumare, noi consumatori di vendere la voglia di acquistare.
Questo il prodotto, le convenienze ci sono, si fa il prezzo.
Quel prezzo, il nostro reddito. Reddito scaccia crisi
Orsù ragazzi, occorre costruire questo nuovo mercato: Diamoci da fare!

Mauro Artibani, l'Economaio

mercoledì 4 aprile 2018

AD UNA POLITICA SENZA PAROLE OCCORRONO I FATTI!

Se il Consumatore, con la sua azione di acquisto, da corso a processi di trasformazione del valore merce in ricchezza, non pago poi consuma l’acquistato dando corso a processi di ri-produzione e continuità al ciclo, questo consumare diviene esercizio di pratica economica occupando vivaddio il centro della scena produttiva.
Questo esercizio non pagato invece paga, per fare acquisti, con il debito poi ancora debito su debito fino al collasso economico che svaluta valore, brucia ricchezza.
Perche questo ruolo, queste ragioni, questo impegno pure questi squilibri non trovano rappresentazione politica?
Ho bella perché, potentemente mistificato da un luogo comune, quel consumare viene ritenuto dai più esercizio di bisogno a cui provvidi e compassionevoli produttori forniscono ristoro guadagnando così un posto al sole e lauti profitti.
Signori politici, non ci siamo, per sostenere la domanda occorre andare ben oltre il consumo di bisogno, occorre poter disporre del nostro Tempo, dell'Attenzione ; disporre di una ragionevole Fiducia, del Denaro per acquistare l'eccesso di offerta.
Le prime due, categorie del fare; la terza una categoria dello spirito; la quarta dell'agire.
Se corroborate, tonificate possono rigenerare la crescita economica, la ricchezza altrimenti recessione, povertà.
Questa la nostra forza, questa la debolezza dei produttori; il nostro destino, il destino del mondo.
Signori politici che siete lì a lambiccarvi sulla crisi, sul cosa fare, come farlo e soprattutto con chi, noi una idea l'avremmo: è tempo di cambiare le carte in tavola: acquistino i produttori
Acquistino la nostra fiducia, con il denaro incassato acqisteremo le loro merci.
Sborsino un regionevole interesse per l'uso del nostro scarso denaro per acquistare il loro eccesso di merci.
La nostra attenzione ci consente di prestare attenzione alle vostre merci, la si acquisti.
I Consumatori senza denaro da spendare hanno tempo da vendere. Chi vuole quel tempo, non apetti tempo, lo acquisti.
Cos'altro dire: buon pro ci faccia. A tutti.

Mauro Artibani, l'Economaio