martedì 26 luglio 2016

FERRAGOSTO PRANZO MIO NON TI RICONOSCO

Dai dati emersi dalle Associazioni dei consumatori, il costo del pranzo di Ferragosto dovrebbe costare in media il 40% in piu' rispetto al 2001.Tenendo in considerazione i tassi medi d'inflazione, quest'anno arriveremo a sborsare per una tavolata di 8 persone circa 161.81 euro, contro i 134.54 del 2004 e i 115.3 del 2001: una differenza di quasi 50 euro.
Eggià, l'inflazione sarà pure bassa ma se la cumoli si mostra.
Il costo del pranzo, il 40% in più dal 2001. Ci mancava anche questa.
I risparmi invece dal 2001 si sono ridotti, pure i redditi non sono cresciuti. I debiti quelli si crescono.
Crescono le spese, pure gli sprechi, crescono le montagne di rifiiuti che smaltiamo.
A voler andare per il sottile crescono pure i disagi nell'intessere relazioni umane.
Lo spirito indomito che ci ha sostenuto vacilla; ce n'è ben donde.
La precarietà affligge la nostra condizione di consumatori.
Seppoi giovani ci mettiamo pure la precarietà del lavoro, se anziani la precarietà della salute fa il paio con quella del reddito pensionistico.
Quale contributo alla crescita economica è ragionevole attendersi a fronte di cotanta insicurezza?
La vita spesa a fare la spesa? Una chimera!
Anzi se va avanti così si dovrà abdicare all'acquisto, concentrarci sulla DOMANDA, selezionarla, vagliarla. Ridurla? Paura eh!
Avete bisogna della nostra FIDUCIA per produrre, della nostra ATTENZIONE per poter pubblicizzare le merci, del nostro TEMPO per gli acquisti! Giacchecisiamo disponiamo pure di passioni ed emozioni che possono essere sollecitate.
Queste sono le nostre risorse; sono un valore, possiamo metterle a reddito per rifocillare il nostro POTERE di acquisto.
Voi produttori, voi venditori di professione, voi dispensatori di credito, per quanto ancora potrete sottrarvi all'acquisto?
Signori, attenzione, noi cominciamo a mettere in campo la risolutezza di cui siamo capaci: L'indice di fiducia dei consumatori dell'area euro, secondo la lettura preliminare, si e' attestato a -7,9 punti a luglio, in calo rispetto al dato definitivo di giugno a quota -7,2. Lo ha reso noto la Direzione generale per gli Affari economico-finanziari della Commissione europea. Il dato e' lievemente migliore del consenso degli economisti a -8 punti.
Regolatevi, possiamo fare ancora peggio!

Mauro Artibani


martedì 19 luglio 2016

PRECARI I PRECARI, PRECARI I CONSUMI!

Sta sulla bocca di tutti: “la norma antiprecari abolisce l’obbligo di reintegro al lavoro per quei poveri disgraziati”.
Scandalo, ingiustizia sociale o miopia economica?
Siamo alle solite, si tenta di fare le nozze con i fichi secchi.
Precari, senza soldi, a corto di risparmi e credito inattingibile: tutto diviene temporaneo, incerto, provvisorio.
E se senza soldi non si canta messa, figuriamoci come si possa fare la spesa.
Precari i precari, insomma, precario il consumo!
Si precarizza così il Valore delle merci invendute: il latte caglia, la moda passa di moda, le tecnologie informatiche vengono superate dalle tecnologie informatiche del giorno dopo.
Con il Tizio, più Tizi, una moltitudine di Tizi precari, messi ai margini del mercato, in attesa de passà ‘a nuttata, è il minimo che possa capitare.
Ci sono pure i Caio e i Sempronio: manager, operai, colletti bianchi, tutti impiegati nella produzione, a produrre il prodotto da acquistare sul mercato e che da quell’acquisto ricavano un Reddito.
Con questo andazzo: precari in itinere.
Li vedete i commercianti, i pubblicitari, quelli del  marketing imprecariarsi anch’essi?
Eggià, si sta tutti sulla stessa barca, nel mare periglioso della precarietà ma…
Ma oltre lo sconforto e l’uggia, si intravede nel Consumo una pratica produttiva e nel Consumatore, ancorché precario, un imprescindibile Operatore di Mercato.
Bene, in forza di questa indifferibile ragione economica, si rende possibile reclamare Utili dal proprio lavoro di consumazione.
Utili si, magari precari, ma utili per uscire tutti, ma proprio tutti, con fiero cipiglio a rimirar le stelle.
Le notizie volano, debbono essere arrivate a quelli di JPMorgan. Essipperchè hanno annunciato che, nel corso dei prossimi tre anni, aumenteranno i salari minimi per 18.000 dipendenti americani da 10, 5 dollari fino a un massimo di 16,50 dollari.
“È la cosa giusta da fare”, afferma l’amministratore delegato, Jamie Dimon,unendosi così al movimento “Fight for 15″, combattiamo per 15 dollari l’ora. La banca americana conta 185 mila dipendenti negli Stati Uniti.
La paura, di dover pagare il prezzo più alto del lavoro di consumazione, fa 90?
C'è invece chi continua a sognare tanto per farlo. Quelli dell'O.N.F. - Osservatorio Nazionale Federconsumatori- fanno i conti: "ipotizzando un tasso di disoccupazione al 6% (tasso ante-crisi, seppure ancora elevato), rispetto ad oggi la capacità di acquisto delle famiglie aumenterebbe di circa +40 miliardi di Euro l'anno. Questo consentirebbe di rimettere in moto l'economia e di dare nuovo ossigeno alle famiglie, nuove opportunità, nuove prospettive.
Beh, pure mio nonno se non fosse morto sarebbe ancora vivo!

Mauro Artibani


mercoledì 13 luglio 2016

IL MIO OZIO, TUTT'ALTRO CHE VIZIO!

I dati resi noti oggi dall'Istat sentenziano come la spesa media delle famiglie nel 2015 sia risalita a 2.499,37 euro al mese, in aumento dello 0,4% rispetto al 2014.
Scettiche però le associazioni dei consumatori. L'Unione Nazionale Consumatori rimarca come si tratti di un aumento di spesa inferiore ad 11 euro. "Per una famiglia e tradizionale di 4 persone, sempre secondo i dati resi noti oggi dall'Istat, la spesa mensile scende di più di 31 euro, -0,98%, passando da 3189,75 euro del 2014 a 3158,61 del 2015. Su base annua significa 373 euro in meno; a dirlo è Massimiliano Dona, segretario dell'Unione Nazionale Consumatori. Se poi confrontiamo la spesa rispetto al 2011, c'è un crollo dell'11%, pari a 391 euro mensili. Su base annua si tratta di una cifra astronomica pari a 4.696 euro". Confrontando la spesa di una famiglia di 4 componenti dal 2011 al 2015, la voce alimentari e bevande scende da 652 euro mensili del 2011 a 594, un calo di 58 euro, pari al 9%. Su base annua gli italiani, in appena 4 anni, spendono 704 euro in meno di prodotti alimentari. Per abbigliamento e calzature la riduzione è del 18,6%, 41 euro al mese, 493 all'anno. Il record, in termini percentuali, è per la voce comunicazioni (-21,1%, -22 euro al mese), seguita dai mobili, articoli e servizi per la casa (-20,8%, una riduzione di spesa di 32 euro al mese, 388 euro all'anno).
Che dire? Lo dico: Io, consumatore benestante, affrancato dal bisogno, mi sto concedendo un lusso: l’ozio.
L’ozio di non far nulla, di sprecare il tempo, di divagare tra spensieratezza ed amenità, di zonzeggiare per mio conto, disattento e perdigiorno; libero  di stare ignudo, di ignorare il conoscere, ancor più disinformato, abdicando al volere, al potere e pure al fare. Mi privo dello scegliere, vieppiù del contrattare.
Ehi Cocco, se fai così chi cacchio lo fa il PIL?
Chi garantisce la crescita; chi trasforma il valore delle merci in ricchezza; chi, consumando, consente la riproduzione?
Chiedo scusa ai manager, agli operai, agli impiegati, persino a quelli delle tasse, per aver praticato tal  lusso e non aver corrisposto al loro merito di produrre.
Di aver svilito il valore delle merci con la supponenza di potermi sottrarre all’obbligo dell’acquisto, di non aver consumato dando corso alla riproduzione, di non aver prestato orecchio ai consigli per gli acquisti e non aver visto il Valore Visto previsto dal marketing.
Che svista!
Ennò, non si può!
Essì, esimi Consumatori, altro che ozio: negozio!
Lavorare vi tocca, dicono i Policy Maker: il lavoro di consumazione. Quel lavoro forzato della spesa, per giunta senza ferie.
Già, ma come faccio quando la crisi, oltre che sul lavoro, "ha avuto un effetto negativo anche sui redditi e il divario salariale che ne è risultato potrebbe essere difficile da chiudere"?
Non lo dico io, lo rileva il direttore della divisione Lavoro dell'Ocse, Stefano Scarpetta, nel testo di apertura dell'Employment Outlook.
"L'aumento della disoccupazione durante la crisi è stato seguito da un calo dei salari nei Paesi più colpiti, ma quasi dovunque i salari sono rimasti stagnanti o sono cresciuti a malapena", aggiunge, precisando che il calo ha toccato sia il valore nominale che quello reale dei salari. "Non è certo se i lavoratori potranno mai recuperare i potenziali incrementi di salario persi dal 2007.
Ehi, ehi, Signori miei, se quel che ho avuto, ho e avrò in tasca è questo.
Beh quel mio ozio sarà tutt'altro che vizio!

Mauro Artibani


martedì 5 luglio 2016

CAVOLO, SCIOPERANO GLI ATTRIBUTORI DI VALORE

In netto aumento il reddito disponibile e il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Questo si dice oggi all’Istat. In evidenza soprattutto l’aumento marcato del potere d’acquisto delle famiglie nel primo trimestre 2016 (+1,1% rispetto al trimestre precedente) sotto la spinta della dinamica dei prezzi con il deflattore implicito dei consumi delle famiglie, sceso in termini congiunturali dello 0,3%. 
Su base annua la capacità di spesa sale del 2,3%, il rialzo maggiore dal secondo trimestre del 2007, grazie proprio all'effetto positivo sul potere d’acquisto delle famiglie del calo dei prezzi.
Il Reddito disponibile aumenta, ma i consumi sono fermi.
Tatatà: Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici italiane risulta in aumento dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono rimasti invariati.
Indipercuiposcia, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici risulta pari all’8,8%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. 
Il tasso di investimento delle famiglie consumatrici nel primo trimestre 2016 è stato pari al 6,2%, invariato sia rispetto al trimestre precedente, sia rispetto al corrispondente trimestre del 2015. Tale stabilità, a livello congiunturale, riflette una flessione degli investimenti fissi lordi (-0,4%) ed un aumento del reddito lordo disponibile (+0,8%).
Cavolo, hanno più soldi in tasca ma spendono meno!
Attenzione, non sono nè mosci nè pazzi anzi, stanno facendo quel ch'è nel loro tornaconto.
Se non c'è luce in fondo al tunnel della crisi e loro sono affrancati dal bisogno, indebitati, fanno di necessità virtù. La virtù di non spendere, tanto per spendere se manca la necessità di farlo e così mettere fieno in cascina per, magari, inverni ancor più freddi.
Che tutto questo piaccia o meno, tant'è!
C'è pure altro però. Ecchè altro. Proprio quello che non si legge dalle note dell'Istat: la svalutazione del valore. Quel valore che i consumatori attribuiscono, con l'acquisto, alle quelle merci idonee ad assolvere al bisogno e veppiù scarse. Gli affrancati dal bisogno stanno, come si vede, in sciopero e quelle merci saranno ancor meno scarse.
Sciopero che nessuna istituzione può precettare e che solo i produttori delle merci possono disinnescare.
Come? Rimettendo i loro debiti, rimpinguando oltre il debito i loro portafogli!
Solo così a quei dannati satolli mancheranno alibi al non far nulla.

Mauro Artibani