Fiuuuuuu! Mettono tutti i
soldi al pizzo.
Lo dice il rapporto del Centro studi di Unimpresa: i salvadanai
delle famiglie sono passati dagli 854,1 miliardi di euro di marzo 2013 agli 869,6
di marzo 2014. Le banche pure: hanno aumentato di 32,7 miliardi gli
investimenti in titoli di Stato; anche i fondi delle imprese risultano in
crescita con un aumento di 5,1 miliardi da 191,7 miliardi a 196,7 (+2,6%). Vanno
su anche quelli di assicurazioni e fondi pensione di 1,8 miliardi da 25
miliardi a 26,8 (+7,3%) e quelli delle onlus di 1,1 miliardi da 22,3 a 23,4
miliardi (+4,8%).
Gasp! Così, tutti
gli agenti economici sottraggono risorse all’economia: si salvi chi può!
Già, chi può?
Potrebbero quelli che, affrancati dal bisogno, non debbono subire l’obbligo di fare la spesa.
Già però per fare la crescita, quella spesa si rende indifferibile; non fatta
genera eccesso di offerta.
Potrebbero i
produttori se non avessero tutto quell’ invenduto.
Potrebbero pure le
banche se potessero avere indietro quei crediti incagliati.
Potrebbero le
assicurazioni che ri-assicurassero e quei fondi che sfondassero tra quelli che
devono andare in pensione.
Già-già,
potrebbero tutti, ma non lo fanno!
E allora, come si
ottiene quella crescita che può smaltire tutte queste sovraccapacità, che tali
fatti generano, e che prolungano indefinitamente la crisi?
Già-già-già, come si ottiene quella crescita che può
smaltire gli eccessi per poter andare oltre la crisi?
Con la spesa,
quella aggregata!
Come faccio la
spesa?
Una vecchia regola
lo dispone: per farla, occorre denaro, per averlo occorre un lavoro!
Eggià, con il lavoro
ed ancora lavoro, tertium non datur.
Ecco, si, il
lavoro. Il primo quello che fa il prodotto, quello che nel sovraprodurre si
mostra improduttivo e che giust’appunto remunerato, poco non ce la fa ad
acquistare quanto prodotto facendo aumentare ancor più il sovraprodotto.
Il cane insomma
che si morde la coda. Poi, con le imprese che nel sotto remunerare quel lavoro
aumentano la capacità competitiva, ma non riescono a vendere quelle merci pur
così a buon mercato, quella coda se la stacca.
Improvvido
l’esercizio di quella gestione dei fattori della produzione che impiega
capitale che sovraproduce e lavoro che sotto remunera, facendo mancare all’esercizio della consumazione le risorse
per fare l’altro lavoro: il secondo.
Quel lavoro, ancorchè indifferibile, che
smaltendo il prodotto ripristina l’impiego produttivo dei fattori e che,
differito, ha generato prima lo squilibrio poi la crisi.
Per far fronte al
danno occorre cambiare registro e farne norma: tutte le risorse che consentono
di poter governare al meglio la produttività totale dei fattori vanno tenute
attive, anzi messe a ruolo per far roteare liscio il ciclo, ben oltre gli inciampi e
gli attriti che quotidianamente propone la vicenda economica.
Prosit.
Mauro Artibani