giovedì 29 maggio 2014

SE TUTTI METTIAMO I SOLDI AL PIZZO SIAMO PAZZI


Fiuuuuuu! Mettono tutti i soldi al pizzo.
Lo dice il rapporto del Centro studi di Unimpresa: i salvadanai delle famiglie sono passati dagli 854,1 miliardi di euro di marzo 2013 agli 869,6 di marzo 2014. Le banche pure: hanno aumentato di 32,7 miliardi gli investimenti in titoli di Stato; anche i fondi delle imprese risultano in crescita con un aumento di 5,1 miliardi da 191,7 miliardi a 196,7 (+2,6%). Vanno su anche quelli di assicurazioni e fondi pensione di 1,8 miliardi da 25 miliardi a 26,8 (+7,3%) e quelli delle onlus di 1,1 miliardi da 22,3 a 23,4 miliardi (+4,8%).
Gasp! Così, tutti gli agenti economici sottraggono risorse all’economia: si salvi chi può!
Già, chi può?
Potrebbero quelli che, affrancati dal bisogno,  non debbono subire l’obbligo di fare la spesa. Già però per fare la crescita, quella spesa si rende indifferibile; non fatta genera eccesso di offerta.
Potrebbero i produttori se non avessero tutto quell’ invenduto.
Potrebbero pure le banche se potessero avere indietro quei crediti incagliati.
Potrebbero le assicurazioni che ri-assicurassero e quei fondi che sfondassero tra quelli che devono andare in pensione.
Già-già, potrebbero tutti, ma non lo fanno!
E allora, come si ottiene quella crescita che può smaltire tutte queste sovraccapacità, che tali fatti generano, e che prolungano indefinitamente la crisi?
Già-già-già,  come si ottiene quella crescita che può smaltire gli eccessi per poter andare oltre la crisi?
Con la spesa, quella aggregata!
Come faccio la spesa?
Una vecchia regola lo dispone: per farla, occorre denaro, per averlo occorre un lavoro!
Eggià, con il lavoro ed ancora lavoro, tertium non datur.
Ecco, si, il lavoro. Il primo quello che fa il prodotto, quello che nel sovraprodurre si mostra improduttivo e che giust’appunto remunerato, poco non ce la fa ad acquistare quanto prodotto facendo aumentare ancor più il sovraprodotto.
Il cane insomma che si morde la coda. Poi, con le imprese che nel sotto remunerare quel lavoro aumentano la capacità competitiva, ma non riescono a vendere quelle merci pur così a buon mercato, quella coda se la stacca.
Improvvido l’esercizio di quella gestione dei fattori della produzione che impiega capitale che sovraproduce e lavoro che sotto remunera, facendo mancare  all’esercizio della consumazione le risorse per fare l’altro lavoro: il secondo.
Quel lavoro, ancorchè indifferibile, che smaltendo il prodotto ripristina l’impiego produttivo dei fattori e che, differito, ha generato prima lo squilibrio poi la crisi.
Per far fronte al danno occorre cambiare registro e farne norma: tutte le risorse che consentono di poter governare al meglio la produttività totale dei fattori vanno tenute attive, anzi messe a ruolo per far roteare liscio il ciclo, ben oltre gli inciampi e gli attriti che quotidianamente propone la vicenda economica.
Prosit.

Mauro Artibani


giovedì 22 maggio 2014

LA PARABOLA DELL’IPERBOLE


“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”: struggente l’afflato poetico. Quello prosaico mostra invece un però: diamanti e fiori sono appetiti dai più, il letame meno. Il valore di quelle merci non sta nell’essere quel che sono, quanto nella capacità di soddisfare quegli appetiti.
Pochi diamanti, la fame resta insoddisfatta; tanto letame invece, tanti fiori fino ad ingozzare.
E, seppur io-tu-noi, quasi tutti, metti caso li vogliamo ma non possiamo averli, quei diamanti e quei fiori fanno pari: si opacizzano, appassiscono. Lasciati là perdono valore,valgono meno, anzi niente. Quei pochi diamanti diventano troppi; i fiori, ancor di più.
Così quando ci si mette una carestia, che dagli anni 80 riduce il trasferimento delle risorse economiche  centellinando quel puzzolente “sterco del diavolo”, una falcidia avviluppa il mondo sviluppato che solo il profumo del credito riesce a contrastare.
Così, foraggiati ben bene ed affrancati dall’olezzo, tocca prima ai “prime” poi ai “sub-prime”;  acquistando case su case, potranno avere poi pietre preziose e fiori, tanti fiori. Tutto laicamente, rigorosamente a debito.
Questa la parabola dell’iperbole, disegnata da chi ha voluto fare le nozze con i fichi secchi, che sale sale sale finchè può poi scende, anzi deflagra.
Brandelli si spargono dappertutto, pezze nascondono buchi, rattoppi cuciono strappi, colle incollano lacerti.
 Ci fu chi guadagnò da tutto ciò, pure chi ci rimise; chi improvvido investì in quel debito fasullo e chi dopo averlo fatto non potè ripagarlo.
Molti, troppi persero il lavoro, ancor meno sterco in giro, meno puzza.
Quando poi con quel che resta di quella micragna si pagano bollette, abbonamenti e canoni, ne resta ancora meno.
Beh, allora, puzza per puzza meglio quella di letame; tertium non datur.
Si è fatto il tempo del nuovo valore, giust’appunto quello del letame.
La fisiologia animale lo rende disponibile, se non per fare fiori, per fare grano, foraggio; quel che serve almeno a dare ristoro ai neo ri-nati bisogni.
Buona pure l’acqua di stagno dove, chi non ha da fare, guarda girini diventare rane; ciccia insomma. Pure il mare sta lì per pescare; i boschi per cacciare e, giacchè ci siamo, i campi per raccogliere funghi, radici, bacche e frutta. Le frittelle con foglie di acero si dicono buonissime.
Poi ci si fa virtuosi: chi cacciatore caccia più di quel che mangia lo scambia con chi ha raccolto più di quanto usa e vai…. a riempir la pancia senza dover fare la spesa.
Certo, in questo passato, pure remoto, dove ci si va a ficcare non splende certo il sol dell’avvenir.
Comunque, indietro tutta e chi ci rimette, ci rimette!
I Puzzoni per esempio, quelli che nelle tasche hanno trattenuto sterco e che non vogliono sguazzare nel letame, stanno tra quelli che lavorano le merci, quelli che ne fanno prodotto, quelli che lo vendono e pure in chi le compra.
Dare tempo a quel tempo della crisi che sgonfierà pure le loro tasche dei  risparmi, allora alzeranno bandiera bianca.
Allora appunto, solo allora, vorranno riallocare il mal allocato se vogliono far conto su quelli che non hanno.
Avranno così l’onore delle armi e potranno tornare, vivaddio, a fare quel che sanno fare: pure i diamanti e, stavolta non per coprire poco commendevoli olezzi, pure i fiori.

Mauro Artibani

venerdì 16 maggio 2014

CONSUMATORE: IMBELLE O AGENTE ECONOMICO?


Quando un tizio invece di cibarsi ingrassa, veste alla moda che passa di moda e per andare da qui a lì acquista un Suv, cosè?
Uno squinternato sentenzia la Sociologia. Quelli, che la fanno, dicono pure come tal tizio sia etero-diretto, afflitto da insipienza, irresponsabile per sè e per quanto gli sta attorno; abbaia alla luna, si piscia sulle scarpe.
Tal dire lo ha inviso ai più, quei più come lui.
Subìto il dileggio di chi lo studia, di quelli che lo raccontano; circondato da agenti a fini di lucro, che lo vogliono in-formare/con-vincere; da altri agenti che con i consigli per gli acquisti lo depredano della domanda; così agito, tutti quelli che hanno da vendere lo vogliono perché vuole tutto.
E  quando lo squinternato, squattrinato, non ce la fa più a dare credito a tal dire, si scorge quello che neanche quelli che studiano l’economia potevano immaginare.
Essipperchè quegli atti, che lo screditano costituiscono il ruolo; gli danno la forza che le dicerie degli untori non riescono a scalzare.
Fa ancor di più: ben oltre quel che il buon senso consigli, la ragione preveda, il portafoglio possa, si affranca dal bisogno!
Orbene in un tempo, quello dell’economia dei consumi, dove il solo bisogno non smaltisce quanto viene prodotto, viene alla ribalta chi si fa artefice dell’andare oltre, quel bisogno. Nel farlo, fa al meglio per fare la crescita; per farla occupa il centro di gravità del meccanismo della produzione, facendone salire la produttività di sistema.
Tutto questo manca di essere intercettato dal pensiero sociologico.
Sociologi, o solo miopi?
E tali consumatori, imbelli?
E i policy-maker poi, che non dispongono una idonea allocazione della ricchezza, affinchè agli ex imbelli oggi agenti economici non manchi il foraggio per foraggiare la crescita, sono miopi o pure imbelli?
E quei facinorosi intellettuali che disdegnano tutto quel che passa ad un palmo dal loro naso e, non sapendo a quali santi votarsi, votano altezzosi contro chi fa la spesa, pur’essi renitenti alla guerra?
Se, insomma, dire imbelle di quel tizio non dice molto, chiarisce i fatti ancora meno.

Mauro Artibani

giovedì 8 maggio 2014

CRISI: TROVATO IL BANDOLO DELLA MATASSA

Nell’impallato meccanismo dello scambio, lì dove fanno il prezzo i beni, si mostra la crisi. Anzi in questo ganglio vitale del mercato si è generata e ancor oggi viene rigenerata.
Nel luogo deputato a mettere d’accordo produttori e consumatori, il mediatore non riesce a mediare.
Eggià, il reddito. Se insufficiente quello erogato dal produttore a chi lavora, difficile per i consumatori fare quella spesa, sufficiente a smaltire quanto prodotto da quel lavoro: un bel guaio, per tutti!
Tutti, il mediatore ed i mediati.
Tutti in crisi, non solo economica, di ruolo, finanche di vocazione.
I produttori hanno fatto il prezzo di un mercato del lavoro sovraffollato, riducendo stipendi e salari, per migliorare la produttività.
Quella produttività che ha poi sovraffollato il mercato di merci riducendone il valore; che ha sottratto altrettanto valore al lavoro che le ha prodotte - confinando gli occupati a sovraprodurre, i disoccupati a non produrre manco il reddito.
Che i consumatori, seppur affrancati dal bisogno, dovrebbero acquistare per fare la crescita; squattrinati, costretti a differire proprio quell’indifferibile che fa il 60% di quella crescita.
Fiuuuuuuu: Chi fa troppo, chi fa più del retribuito, chi manca di fare esercizio di  ruolo.
La matassa si fa ancor più inestricabile.
Quando questo accade, e di questi tempi accade, si profila un dilemma grande così.
Si può continuare a fare il già fatto, con le politiche monetarie che non riescono più a trasformare il credito in reddito/debito e con la produttività che si fa sovraccapacità. 
Si può far pure che alle imprese, per dare nuovo lustro a quella produttività, toccherà investire in “Buoni fruttiferi”.
Investire nel più fruttuoso dei buoni: abbassando i prezzi, pressappoco un remunero di scopo, per far spendere chi deve ben oltre il bisogno. Viene così migliorata  la capacità competitiva che smaltisce quelle sovraccapacità; viene  pure ripristinato il valore del produrre e del lavorare.
Già, un ricostituente per tutti quelli che dentro quella sgangherata barca, tra i perigliosi flutti, devono remare per andare oltre la crisi. Chi per restare al timone  deve rimetterci porzioni di profitto, chi ai remi ci mette i muscoli, chi tornato prodigo spinge per fare girare il tutto.
Tutti  soci del circolo della produzione.
Circolo, appunto, perché lì si gira in tondo tenendosi per mano. In combriccola, dove il ricapitalizzante verrà ricapitalizzato dagli atti posti in atto da quelli ricapitalizzati.
 Tutti adeguatamente capitalizzati, per fare tutti al meglio quel che s’ha da fare: è  utile, fa utili, per tutti!
Soci, in solido associati, per assicurare l’equilibrio del sistema e dare pure preventiva risposta alle tendenze in atto, da qui al 2030, che quelli di Oxford prevedono ancor più grame per il reddito che viene dal lavoro umano: il 45% verrà fatto da esseri non umani e, gulp, il tasso di occupazione ancor più giù.
Giust’appunto, per dare conforto al potere d’acquisto, quel reddito s’avrà da trovare ben oltre il lavoro.

Mauro Artibani