martedì 25 febbraio 2020

LA MONETA AGGIORNATA ALLA NUOVA ECONOMIA

A lume di naso, e senza farla troppo lunga nè troppo keynesiana, quando uso la moneta penso: dispone il remunero di chi poi dovrà spenderla; indica nel contempo il modo per esser spesa al meglio. Dunque, quella stessa moneta che, per entrare in esercizio, deve essere prima guadagnata da chi poi dovrà spenderla: vale, perchè consente di comparare e misurare il valore di quel che debbo acquistare; intermedia, facendo il prezzo tra il valore del mio voglio e di quel che mi offrono; tenuta in tasca, diventa una riserva di valore da spendere. Orbene Chiarissimi, che per obbligo di ruolo la studiate, non intendo sfidare le vostre competenze, appendo solo una premessa poi qualche dilemma. La moneta si riceve in cambio di una prestazione d'opera. I remunerati ne mettono in tasca in ragione della produttività della prestazione effettuata. Il corso legale e la fiducia che raccoglie, la rendono spendibile. Bene, nell'evo economico d'oggi, dove l'utilità marginale della spesa diminuisce mentre cresce quella della domanda, si pone il dilemma della fiducia per quella moneta che regola gli scambi. Se la moneta remunera il capitale e il lavoro per quell'aver prodotto, quando gli spiccioli che hai in tasca non consentono di poter fare la spesa che occorre a smaltirlo, quei fattori dovrebbero svalutarsi entrambi. Già, dovrebbero. Per quel dannato meccanismo di trasferimento, invece, viene svalutato solo il lavoro; ai gestori del capitale, altrettanto svalutato, la moneta resta in tasca con in più il resto del tagliato a chi ha lavorato. Di male in peggio. Il malloppo non finisce neppure nelle tasche giuste, tra chi non ha bisogno e chi ne ha, per acquistare quel che si offre cosicchè quest'ampia riserva di valore, non speso per fare la crescita, finisce svalutato riducendo il valore pure della moneta. Per non far crollare quella fiducia che l'ha resa spendibile e che ridotta riduce pure gli acquisti, le Banche titolari del conio aizzano azioni monetarie, appunto, per riparare il danno dando sostegno a quei prezzi che, sostenuti, peggiorano quel già insufficente potere d'acquisto. Si chiama, insomma all'ozio, non al negozio, limitando l'uso proprio della moneta. Una moneta, monetaristicamente liquida, che rischia l'illiquidità? Se si, un'illiquidità che sottrae valore proprio a quella misura del valore: bella, no? Ecco, appunto, da dilemma a dilemma che rivolgo alla vostre competenze: cosa dite di una moneta "integrata" che oltre a farsi strumento con cui remunerare il produrre, remuneri pure il consumare misurandone il valore d'esercizio? Suvvia, una moneta che remuneri un Potere d'Acquisto, interamente garantita da asset reali: quelle riserve monetarie, messe al pizzo da quelli del Capitale che, rifocillando, forniscano la garanzia d'impiego del "Credito di Spesa*", prodigo figlio d'un esercizio di consumazione remunerato. * C d S, quello "spenderò" necessario per poter svolgere, senza renitenza, parte dell'esercizio di ruolo. Mauro Artibani, l’economaio https://www.amazon.it/s?k=mauro+artibani&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&ref=nb_sb_noss_1

martedì 18 febbraio 2020

I NONNI E I CONTI DI UN OSTE OSTAGGIO DEI CONTI

Nello stagno l’acqua ristagna. Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 è rimasto ai livelli di 25 anni fa; l'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, in quello stesso anno, il reddito disponibile risultava pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988. Quand’oggi ancora più ristagna: olezza! Il centro studi di Confindustria, dopo sette anni e il naso chiuso al fetore, getta invece l’esca: La spesa degli over 65 è "ampia" e "in aumento": vale circa 200 miliardi di euro, quasi un quinto dei consumi delle famiglie italiane e raggiungerà il 30% nel 2050. Nell’attesa che qualcuno abbocchi, questi studiosi commentano: rispetto a un decennio fa gli anziani sono in grado di generare una domanda potenziale maggiore, crescente e diversificata anche considerato che la loro situazione reddituale e finanziaria è più solida e più stabile rispetto alle altre classi di età e ha risentito poco della lunga crisi economica. "Catturare questa domanda potenziale è un'opportunità che le imprese non possono lasciarsi sfuggire". Poi rivelano: gli over 65 si caratterizzano per un consumo pro-capite medio annuo più elevato, 15,7mila euro (contro i 12,5 per gli under 35) e un reddito medio più alto, 20mila euro (a fronte di 16mila degli under 35). Inoltre hanno una maggiore ricchezza reale pro-capite, 232mila euro (vs 110mila) e una solidità finanziaria superiore, con 1 anziano su 10 indebitato (a fronte di quasi 1 su 3 tra gli under 40). Da qui, secondo questi studiosi, gli anziani in salute rappresentano un segmento di consumatori appetibile per le imprese ed è per questo che diverse aziende stanno ritarando i propri prodotti, beni o servizi a misura di anziano. Un momento Signori, pure gli arzilli son costretti a ritarare quel loro avvizzito credito di ruolo che il tempo ha scosso. Essipperchè, esperienti di un mondo che non c’è più, sono inesperienti in quello che c’è; incassano pure più del capitale umano e sociale speso; alfin, figli del “sacrificio”, renitenti ad esser prodighi, trattengono quella spesa che fa la crescita mentre stessano, per età, quella pubblica per la sanità. Per riaccreditarsi e ritararsi investono nella famiglia; ritirano la rendita, la redistribuiscono; si tengono il comodato d’uso della casa; il resto ai figli, magari in esoso affitto e portafoglio moscio. Paghette, che alleggeriscono il portafoglio, pure a destra e a manca ai nipoti senza portafogli mentre ai bis nipoti offrono asilo in casa. Ehi del CsC, attenzione! Se le Imprese vogliono ritarare la sovraccapacità che le scrolla producendo merci a misura d’anziano rischiano, saltando da palo in frasca, di ritrovarsi ad aver ancora sovrapprodotto. No, non ve la sto tirando, anzi si. Mentre credevo di aver finito di divagare sui vostri intenti, arriva pure la smentita della ricchezza presunta affibbiata ai canuti: la Uil dice che il blocco dell’indicizzazione delle pensioni dal 2011 ad oggi ha generato "danni gravissimi e permanenti" al potere d'acquisto di milioni di pensionati. In 9 anni una pensione di 1.500 euro lordi mensili nel 2011, ha cumulato una perdita complessiva pari a 74,03 euro al mese, ossia 962,39 annui; un pensionato con un assegno di 1.900 euro lordi mensili nel 2011 ha subìto nello stesso periodo un mancato incremento di circa 1.378,83€ lordi annui. Meditate gente, meditate! Mauro Artibani, l’economaio https://www.amazon.it/s?k=mauro+artibani&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&ref=nb_sb_noss_1

martedì 11 febbraio 2020

FICCA IL NASO NELL’OLEZZO DEI FATTORI

Ficca il naso, se senti olezzo. Non ti tappare, indaga: Il rischio della povertà, in Europa, colpisce in misura rilevante anche chi ha un impiego lavorativo, con l’Italia nel numero dei Paesi più colpiti dal fenomeno. Secondo i dati pubblicati il 31 gennaio da Eurostat, un lavoratore europeo su dieci è a rischio povertà: un dato, cresciuto nell’ultimo decennio, dall’8,6% del 2008 al 9,5%. Rispetto alla media europea il rischio di cadere in povertà, pur avendo un lavoro, in Italia è aumentato tre volte di più rispetto alla media europea: l’incremento è stato di 3,3 punti percentuali. Il Bel Paese risulta, quindi, il quarto Paese più colpito da questo fenomeno con il 12,2% dei lavoratori a rischio. Rischio povertà più elevato per lavoratori part-time Se si restringe l’osservazione alle tipologie contrattuali, nota Eurostat, il rischio di povertà tende a raddoppiare nel caso dei lavori a tempo parziale: nella media europea tale rischio passa dal 7,8% dei lavoratori a tempo pieno al 15,7%. Il discorso peggiora ulteriormente nel caso dei lavori a tempo determinato: rispetto ai contratti stabili il rischio di povertà risulta del 16,2% contro il 6,1%. Dunque, al solito, si può adire al destino cinico e baro; si può pure considerare immorale la faccenda ma.. senza riuscire a spostare di una virgola la questione. Vabbè, puoi provare a metterci una pezza con il debito. Condizioni di offerta estremamente appetibili, tassi di interesse ai minimi spingono verso l’alto le richieste di finanziamento da parte delle famiglie italiane: nel 2019, secondo ultimo aggiornamento del Barometro del Credito alle Famiglie, viene fuori una crescita del +6,7% rispetto al 2018; l’incremento è stato del +4,7% relativamente alla componente dei prestiti personali e del +8,5% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi. Cavolo, la pezza non basta al poco lavoro e mal pagato se, nell’ultimo anno, il 32,5% degli italiani ha rinunciato ad effettuare controlli medici e di prevenzione e il 27,3% ha tagliato sulle spese dentistiche. Tra le rinunce nell’ultimo anno, al primo posto l’acquisto di una nuova auto (51,4%), il 44,2% invece ha rimandato lavori di ristrutturazione nella propria abitazione; il 38,2% ha rinunciato a sostituire arredi di casa ed elettrodomestici logorati, il 28,5% ha fatto a meno delle riparazioni del proprio autoveicolo e il 34,5% delle spese per un/una badante. L'Istat, che ha orecchie tese e sguardo aguzzo, ha indicato -0,3% t/t il PIL del quarto trimestre 2019; il calo congiunturale più marcato dal lontano 2013. Fiuuu, stagnazione! Si, cos’altro sennò, quel vacillìo se i Medici non medicano, le auto dal concessionario arrugginiscono, l’abitazione si degrada, la lavatrice non lava e l’automobile non ce la fa ad andare così come lo sbadato Nonno? Dunque mettendo in ordine i fatti, anzi i misfatti, vien fuori il fattaccio: lo sconquasso della produttività totale dei fattori. Beh fattorini, più che fattori, fin quando faranno resistenza a far entrare nell’esclusivo club di quella produttività: il fattore Consumo. Essì daje! La crescita si fa con la spesa, non con il fare d’impresa, il lavoro e la produzione; a spesa fatta i produttori dovranno ri-produrre, chi non lavora lavorare, gli altri ri-lavorare. Verrà generata ricchezza da allocare. Già, nel ri-allocarla chi vorrà correre il rischio di veder i Consumatori, ri-vacillare? Mauro Artibani, l’economaio https://www.amazon.it/s?k=mauro+artibani&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&ref=nb_sb_noss_1

martedì 4 febbraio 2020

TRA PACHIDERMI E PAPPAGALLI T’IMBESTIALISCI!

Un luogo comune dice l’Economia una Scienza triste, quando ne leggi e ti diverti, magari ti accalori e prendi pure spunti: fiuuu. Leggi tutto d’un fiato tra bufale, "Pachidermi e Pappagalli"; un bestiario che fa il verso alle bestialità che senti in giro. Carlo Cottarelli non le manda a dire, le dice pure al telefono a quelli di “La nuova provincia”: «Le bufale in campo economico possono portare a scelte economiche sbagliate che ricadono su tutti, ma anche a incolpare per i nostri problemi qualcun altro, magari Soros, la Francia, la Germania o i cosiddetti poteri forti. Se io credo a certe bufale rischio di non fare le riforme necessarie a far ripartire il Paese o, peggio, a intraprendere soluzioni sbagliate, come uscire dall’Europa». D’accordo con lei Prof, si rende necessario andare a vedere se, chi le diffonde, conosca o meno la materia di cui parla. Vero oggi in Italia tutti sono economisti, come tutti si sentono allenatori della nazionale di calcio, ma anche gli economisti non sono tutti uguali e non tutti hanno le stesse idee. Però è necessario leggere le fonti, approfondire, non accontentarsi di quello che ci viene detto. Prof, mi scusi, non sono economista; economaio, invece, che studia quell’Economia dei Consumi e che, a furia di studiare, ne ha redatto il Trattato. Nel trattarlo mostro un pertugio, tra una strutturale sovraccapacità delle Imprese ed un affrancamento dal bisogno dei Consumatori, dove sta ficcata un’altra bufala che grida vendetta: quella dei “Produttori che producono ricchezza”. Nella spesa aggregata, che la misura, v’è traccia, quando v’è, solo di 1/5 riferito alle Imprese; quella prodotta dai Consumatori, oltre i 2/3. Bufala che nasconde i connotati della mancata crescita e che oggi i dati pubblicati dalla Bce evidenziano come una crescente spaccatura nell'economia del blocco Ue. La crescita dei prestiti alle imprese cala al 3,2%, ai minimi da due anni; i prestiti alle famiglie accelerano al 3,7% dal 3,5%, la migliore rilevazione in 11 anni. Siamo alle solite Prof, quella misera crescita fatta con i fichi secchi del debito, al quale i pur affrancati dal bisogno non si sottraggono, fa della “stagnazione secolare” non una teoria, quanto invece una triste, sconsolante evidenza empirica. Mauro Artibani, l’economaio https://www.amazon.it/s?k=mauro+artibani&__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&ref=nb_sb_noss_1