giovedì 25 luglio 2013

LA LEZIONE PER L' OGGI SCRITTA IERI

Nel 1944 con “Bureaucracy”, Ludwig von Mises identifica l'agente supremo dell'economia di libero mercato. La mette giù dura: “I capitalisti, gli imprenditori e gli agricoltori sono come strumenti nella conduzione degli affari economici. Sono al timone e governano la nave. Ma non sono liberi di tracciare il suo corso. Non sono supremi, sono solo timonieri, tenuti ad obbedire incondizionatamente agli ordini del capitano. Il capitano è il consumatore.” Vero! Ancor più vero quando, quello stesso consumatore, risulta affrancato dal bisogno! Ha ancora da dire, dice: “Né i capitalisti, né gli imprenditori, né i contadini determinano ciò che deve essere prodotto. Lo fanno i consumatori. I produttori non producono per il proprio consumo ma per quello del mercato. Il loro intento è quello di vendere i loro prodotti. Se i consumatori non acquistano i beni offerti loro, l'imprenditore non può recuperare le spese effettuate. Perde il suo denaro. Se non riesce a regolare la sua produzione secondo i desideri dei consumatori, molto presto verrà rimosso dalla sua eminente posizione al timone. Verrà sostituito da altri uomini che avranno soddisfatto meglio la domanda dei consumatori.” Beh, che dire: quelli che stanno al timone, per scampare al pericolo e restarci, hanno preteso ed ottenuto che venissero messe in campo politiche e tecniche in grado di reflazionare il mercato e così dare sostegno alla domanda per non far scendere i prezzi.Tanto per gradire: tutte le banche centrali dei paesi del G7, mostrano come, dal 2007 fino a ora, le iniezioni massicce di liquidità siano state di ben 10.000 miliardi di dollari. Un belleppronto giochino di alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi, buono insomma per non cambiare il timoniere. Tutto questo fin quando i nodi vengono al pettine: le politiche monetarie smettono di funzionare, il credito si mostra inattingibile. Quegli equilibri posticci saltano. E quando emerge dai dati dai diffusi dall'Istat che nel 2012 in Italia il numero di persone che vivono in povertà relativa è aumentato a 9. 563.000, pari al 15,8% della popolazione, mentre quelle in povertà assoluta sono risultate pari all'8%, ossia 4 milioni 814 mila, sono dolori! Dolori, si! La chiosa di von Mises, letta oggi non lascia scampo: “Questo è il sistema di causa/effetto del libero mercato. I consumatori sono in carica e sono spietati. I veri padroni nel sistema capitalistico dell'economia di mercato, sono i consumatori. Essi, con il loro acquisto e la loro astensione dall'acquisto, decidono chi deve possedere il capitale e gestire le industrie. Esse determinano ciò che dovrebbe essere prodotto e in che quantità e qualità. I loro atteggiamenti comportano per l'imprenditore un utile o una perdita. Rendono poveri gli uomini ricchi e ricchi gli uomini poveri. Non sono capi semplici. Sono pieni di capricci e fantasie, mutevoli ed imprevedibili. A loro non importa un briciolo del merito passato. Appena viene offerto loro qualcosa che gradiscono di più o che è più economico, abbandonano i loro vecchi fornitori. Per loro niente conta di più della loro soddisfazione. Non si preoccupano affatto degli interessi acquisiti dei capitalisti né della sorte dei lavoratori che perdono il posto di lavoro se i consumatori non comprano più quello che solevano comprare.” Figuriamoci quando addirittura non possono. Che dire: ce ne sarà per tutti o forse per nessuno. Prosit ! Mauro Artibani, Economaio www.professionalconsumer.wordpress.com

venerdì 19 luglio 2013

TUTTO TORNA, OCCORRE IMPIEGARE IL PROFITTO

La crisi! La crisi sta qui, lo rileva l'Istat: Nel 2012 la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.419 euro, in ribasso del 2,8% rispetto all'anno precedente, precisando che la spesa è fortemente diminuita anche in termini reali. La caduta della spesa media mensile registrato nel 2012, pari al -2,8%, risulta la più forte dall'inizio delle nuove serie storiche dell'Istat, avviate nel 1997. Si taglia soprattutto a tavola, proprio dove si sprecava il 30% dell'acquistato, insomma meno spesa. Se tanto mi da' tanto, meno spesa pure tra le Imprese dice ancora l' Istat: nel primo trimestre 2013 il tasso di investimento e' sceso al 19,5%, con una diminuzione di 0,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1,5 punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2012. Era al 23% nel primo trimestre 2008. La spesa pubblica poi, quella che “se tocchi i fili muori”, si tenta di ridurla senza se, senza ma per ridurre il debito! Il Pil, che della spesa aggregata si nutre, così s'ammoscia. Quest'anno i previsori, prevedono -1,9%; per gli anni passati è andata pure peggio. Quando tutto questo si mostra, si mostra pure altro: Essì, tutto torna. La quota di profitto delle società non finanziarie, spiega l'Istat, si e' attestata al 38,3%, con una diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,8 punti percentuali nel confronto con il corrispondente trimestre del 2012. Fiuuuu: era al 44, 3% nel primo trimestre 2008. Orbene, se le quote di quel profitto che si va così riducendo ( – 6% in cinque anni ) fossero state investite per ridurre il prezzo delle merci, si sarebbe potuto ottenere da un lato un aumento della capacità competitiva, rifocillando dall'altro la capacità di spesa delle famiglie; si sarebbero fatte spese in conto capitale, che invece ristagnano; con il prelievo fiscale rifocillata la spesa pubblica: tutti, insomma, insieme a fare il Pil. Giust'appunto, si sarebbero potute allocare meglio quelle risorse di ricchezza che invece ancor oggi bruciano al sole di una calda estate. Nulla è perduto però, restano ancora 38 colpi in canna. Si potrà continuare a sparare alla luna, qualche colpo si potrà sparare pure alla crisi. Mauro Artibani, l'economaio Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 11 luglio 2013

Saranno 73,4 milioni i giovani senza lavoro nel 2013; oltre il 12,6% della forza lavoro. Un esercito di under 29 che ha visto ingrossare le sue file di 3,5 milioni negli ultimi 7 anni, dal 2007 ad oggi. La stima e' contenuta nel Rapporto dell'Ilo sulle tendenze globali dell'occupazione giovanile 2013. Queste le cifre del fenomeno come si mostrano nel mondo. Oltre 19 milioni di persone senza impiego solo nella cara vecchia Europa e più della metà di tutti i giovani sotto i 25 anni in Spagna e Grecia. Per lottare contro questa disoccupazione, i governi dell'Ue hanno dato il loro benestare ad impiegare otto miliardi di euro nei prossimi sette anni, di cui sei nel solo biennio 2014-2015, in modo da offrire alle persone con meno di 25 anni un lavoro, uno stage o un periodo di apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del lavoro. Caspita! "Oggi siamo in grado di dire che riusciremo ad arrivare, sulla quota complessiva di 9 miliardi, per le modalità di calcolo e gli impegni politici assunti, a 1,5 miliardi", ha detto Letta parlando di "un grandissimo risultato. Adesso sta alle imprese, non hanno più alibi e possono assumere i giovani", ha concluso. Eggia, a buon intenditor poche parole. Daltronde, il presidente del Consiglio Enrico Letta, per non farsi parlar dietro, aveva portato al vertice un primo pacchetto di interventi per l'occupazione da 1,5 miliardi tra il 2013 e il 2015 che dovrebbero attivare fino a 200.000 nuovi posti di lavoro. Circa 800 i milioni destinati alla decontribuzione per le aziende che assumono a tempo indeterminato giovani tra i 18 e i 29 anni. Ci si mette di buzzo buono per spiegarlo pure il ministro del lavoro: Il tasso di disoccupazione giovanile, con il pacchetto di misure sul lavoro approvato dal Governo, scendera' di due punti percentuali. Poi non pago aggiunge che si stima una eguale riduzione pure per i giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet. Cacchio, cacchio, cacchio: se tanto mi da tanto, facciamo quattro conti. Dall'Ue, pressappoco, un miliardo tra 2013/2015 per poter fornire un lavoro, uno stage o un periodo di apprendistato entro quattro mesi dalla fine degli studi o dalla perdita del lavoro. Nello stesso periodo noi ci mettiamo 1,5 miliardi per attivare 200.000 occasioni di occupazione ovvero si abbassa del 2% la disoccupazione. In Italia il tasso di disoccupazione giovanile sta al 38, 5 %: sono oltre 720 mila in meno gli under 30 occupati, a causa della crisi; 2,4 milioni i giovani neet. Quindi dopo tutto sto popò di “sussidi” si riuscirà ad avere il 36,5% di disoccupazione; i neet saranno un po meno ma ancora tantissimi. Okkei, tutto questo è meglio che niente ma: Potrà dirsi sventata la crisi di identità sociale che connota i giovani disoccupati? Potrà dirsi sventato il pericolo di instabilità sociale che la condizione marginale alleva? Potrà dirsi ben utilizzato il capitale umano di cui dispongono questa generazioni? Potrà dirsi così recuperata la capacità di crescita dell'economia a fronte di tal residua inoccupazione? Orsù, Signori occorre andare oltre i sussidi. Devono averlo intuito Ministri e capi di Stato, riuniti a Berlino il 3 luglio; concordano sulla necessità di “identificare iniziative innovative”. Bene, c'è una regola per la crescita bella e pronta, buona per cavarci da questi impacci, che qualcuno dovrà prendersi la briga di scrivere. Dice: La ricchezza, generata dalla crescita economica, deve essere investita per remunerare tutto il lavoro che tocca fare per continuare a crescere. Fissa pure le condizioni: Condizione necessaria: La crescita si fa con la spesa; così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quel reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera. Condizione sufficiente: Chi si adopera nel quotidiano esercizio della spesa deve disporre della quantità idonea di reddito che consenta di acquistare quanto viene prodotto. Giust' appunto, le condizioni per creare occupazione, lavoro. Lavoro, buono per sottrarre i nostri dalla condizione marginale, restituire loro l'identità sociale, finalmente far loro adoperare quelle capacità che pur' hanno. Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com  

venerdì 5 luglio 2013

DRAGHI E FOLLETTI SCALPITANO

"La politica monetaria non può generare crescita economica reale". Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, nel corso di un'audizione all'Assemblea nazionale francese. "Se la crescita è in stallo - ha aggiunto Draghi - è perché l'economia non produce abbastanza o perché le imprese hanno perso competitività, e questo va oltre le possibilità di intervenire della Banca centrale". In questo dire stanno due affermazioni memorabili: 1, la politica monetaria non viene fatta per fare la crescita; 2, occorre "accrescere la competitività e aumentare la capacità produttiva delle nostre economie". Fiuuu, quella politica monetaria che ha alterato il meccanismo di formazione dei prezzi, pur di dare sostegno artificiale alla domanda, non aiuta la crescita? Fiuuu, se la crescita non cresce occorre aumentare la capacità produttiva? Ma come, ma porc.., i fatti al mercato mostrano ben altro, diamo un' occhiata: – vi è in giro più prodotto pubblicitario di quanto l’attenzione ne possa intercettare; – ogni anno 30 milioni di autovetture restano invendute a fronte di 90 milioni di unità prodotte nel mondo; – le Utility dell’energia, in Europa, hanno un 30% di sovraccapacità; – le Poste italiane hanno il 20% di sportelli di troppo; – le banche Ue chiudono le troppe filiali; – 540.000.000 di tonnellate annue, il sovrappiù dell’industria siderurgica mondiale; solo in Europa + 80.000.000 rispetto alla domanda; – chi può ragionevolmente credere che tutti i libri contenuti in una singola libreria possano essere venduti? – negli Usa si raccontano ventiquattro mesi di eccesso di capacità nelle imprese edili: due anni senza costruire per smaltire 8 milioni di abitazioni invendute; – l’ad di Research In Motion dice: «Troppi e troppo potenti i nuovi dispositivi wireless presenti sul mercato, si rischia l’intasamento totale delle reti senza fili»; – i saldi, due volte l’anno, si fanno per smerciare merci invendute; - gli outlet sono i luoghi dove si tenta di smaltire l’invenduto; – la moda, il modo dell’usa-e-getta, sta lì per vendere l’eccesso; – ogni giorno, in ogni rivendita di pane di Milano, sei chili di quel pane restano invenduti; – il surplus delle risorse naturali impiegate per produrre merci altera la capacità riproduttiva della natura; La causa di tutto questo eccesso? I redditi erogati per produrre merci e servizi, insufficienti a smaltire quanto prodotto. La causa delle politiche monetarie? Rimuovere l'ostacolo: giust'appunto, iniezioni di liquidità per surrogare quell'insufficienza dei redditi, smaltire l'eccesso e fare la crescita. Si, crescita, seppur a debito! Crescita economica reale? Beh, fin quando la crescita si farà con la spesa, si! Crescita sana? Questa è tutt'un'altra storia! Un folletto tutto matto la scrive: “La domanda comanda, verso il capitalismo dei consumatori; ben oltre la crisi.” Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com