C'era una volta mio Padre, un operaio
di classe che, insieme ad altri lavorava per fare quelle merci che le
imprese vendevano al mercato a chi ne aveva bisogno. Non erano molte,
quel pregresso bisogno, con la spesa, le acquistava.
Pressappoco al tempo, la produttività
totale dei fattori andava al massimo.
Poi quelle stesse Imprese migliorarono
i processi, la qualità e la quantità dei prodotti e, memori dei
consigli di Henry Ford, traferirono tanto/quanto della ricchezza
intascata, generata dall'acquisto, nelle tasche di mio padre e a
quelle dgli altri per far acquistare quanto prodotto.
Fiuuu, non c'era gap nell'output;
l'efficienza dei fattori produttivi andò al massimo. Al massimo pure
quel fattore nuovo di zecca, l'esercizio del bisogno, venne
addirittura reso saturo.
Fin qui tutto bene.
Poi le Imprese, ebbre per cotanto
fatto, produssero ancor di più, anzi troppo!
Quando se ne avvidero, per riparare al
danno e ai costi impliciti della sovraccapacità, tagliarono i salari
dei responsabili, poi il capitale per fare gli investimenti.
Dunque, quando il lavoro paga prezzo,
con un portafoglio sgonfio e lo stomaco satollo, beh... fate voi!
Ta-ta-tà, la produttività totale dei
fattori rischia il collasso.
Ehi, ad esser maligni viene in mente
che, per riffe o per raffe, alle Imprese, traferendo la ricchezza
generata ai fattori produttivi, resta in tasca gran parte del
malloppo; a mio Padre le Cambiali. Da qui sembra potersi scorgere la
coda lunga delle diseguaglianze d'oggi.
Ma tantè, anzi. Quando agli inizi
degli anni settanta, con un tempismo sospetto, viene eliminata la
convertibilità oro/moneta, ci si chiude il naso e si fa tutto a
credito: si rimpinguano i portafogli, si spende ben oltre il bisogno,
con il debito viene generata nuova ricchezza.
Si rabbercia la produttività dei
fattori: nel mondo si tira avanti tra crisi, recessioni, riprese e
stagnazioni sostenute da un dollaro sonante e tre di debito.
Cavolo, il sistema produttivo stava
meglio quando si stava peggio; ancor peggio quando alcuni prevedono
la stagnazione farsi secolare.
D'accordo, tutto questo si può dire
alla Luna.
Beh, pure però ad una Politica fin qui
impegata a dire, meno a fare, il da farsi magari per disporre
un'ambiente normativo all'uopo attrezzato che rimuova questi dannati
impacci.
Calma Signori, non è questione che
pertiene alla consueta "redistribuzione" tra Capitale e
Lavoro.
Questa volta si tratta di una
quisquilia tecnica: Occorre aver da spendere per fare quella spesa
che, smaltendo il prodotto, fa incassare per remunerare adeguatamente
quel Capitale e quel Lavoro. Nell'Economia dei Consumi funziona così!
Dunque, occorre
riallocare, nel trasferimento della ricchezza, parte del
remunero dai vecchi fattori produttivi al fattore nuovo di
consumazione; mettere, insomma, a reddito il maggior valore presente
nell'esercizio del consumare rispetto a quello del produrre.
Da un Capitale che non trova
conveniente investire e un Lavoro nella produzione - troppo spesso
sparito/precario/sottopagato/disoccupato - che acchiappa basso
reddito all'esercizio di consumazione, dove occorre aver a
sufficienza da spendere per poterlo esercitare e generare nuova
ricchezza.
Si dirà: ma in un'economia di mercato,
tocca alle Imprese farlo?
Vero, nel mondo ci sono grandi
Aziende che già lo fanno, rende!
Allo Politica tocca invece dar sprone,
attrezzando un idoneo ambiente normativo, a quelle che nicchiano,
efficace per tenere attivo il ciclo economico, migliorare la
produttività totale dei fattori, poter rimettere il debito e vieppiù
anche intascare un corposo credito elettorale.
Mauro
Artibani, l'Economaio