giovedì 25 settembre 2014

C'E' GENTE STRANA IN GIRO


Se senza soldi non si canta messa, come sarà possibile consumare? si dovranno ridurre gli acquisti!
Come si potrà generare ricchezza se mancanti di contanti?
Contenti saranno quelli che i contanti li hanno incamerati; quelli della finanza allegra, quelli del debito all’ingrasso.
Gli altri no: Costretti a spasso, tra sbadigli, noie, sensi di colpa; vieppiù adirati da cotanta inerzia.
Basta piangersi addosso!
Ingessati gli acquisti, questi dispongono un nuovo target: agire sulla domanda per recuperare utili.
Ecco, per esempio, c’è gente che contesta l’acquisto e chi si fa scaltro nell’acquistare; chi anela a fare, chi a disfare. Insomma c’è molto da scorgere altrettanto da imparare.
Domandare prodotto equo e solidale fa bene a chi produce, a chi consuma, pure all’ambiente: un modo per distribuire ricchezza con pari opportunità.
Poi ci sono quelli che hanno voglia di condivisione, per non stare soli ad acquistare il mondo.
“Sharing” è il suffisso, coniugato con file, car, bed, photo, music, knowledge, life, dress, consente di governare una domanda altrimenti ingovernabile.
Per chi ha bisogno di denaro c’è la “finanza solidale”: qui domanda e offerta vanno a braccetto. Quelli stanchi della moda e dei gadget-tech si sottraggono all’acquisto, usano l’usato, aumentano il valore della domanda.
Forti e determinati ci sono pure i Gas. Solidali in gruppo nel confezionare domanda: fanno il prezzo poi acquistano.
Al mercato rionale sotto casa si acquista sempre. Nell’ultima ora di contrattazione c’è chi acquista al meglio: l’invenduto produce scontissimi. Voilà domanda a orologeria.
Scaltri e disincantati come sono, avanzano un’ipotesi limite: perché non utilizzare pure i fautori della “decrescita”, magari per negare la domanda? Paura eh!
C’è in giro un mondo eterogeneo che può fornire risposte multiple, magari ingenue, di corto respiro, di nicchia; in alcuni casi semplici episodi che vanno organizzati, sviluppati, concertati – magari in comitati d’orgoglio – per mettere assieme opportunità straordinarie. Fuochi d’artificio di possibilità.
Eggià, sembrano intenzionati a mettere a punto nuovi modi della crescita economica e un nuovo modo di stare sul mercato.
Disattenti ai “consigli per gli acquisti”, intendono fornire ai produttori impeccabili consigli per le vendite ai quali non potranno sottrarsi. Chiosano pure: solo una domanda mirata, sapiente, responsabile, avveduta potrà spingere l’offerta a dover cambiare i connotati. Non paghi annotano: il lowcost, i saldi, gli outlet sembrano offerta, sono invece domanda di consumo, fatta da chi offre.
Mauro Artibani

venerdì 19 settembre 2014

TUTTO BENE MADAMA LA MARCHESA?


Udite, udite: I redditi delle famiglie italiane sono fermi ai livelli di trent'anni fa.  Questo emerge  dal rapporto sui consumi dell'ufficio studi di Confcommercio. Nel 1986 il reddito disponibile pro capite è stato pari a 17.200 euro, mentre nel 2014 è stato pari a 17.400 euro. Passo indietro anche per il Pil e per i consumi, che quest'anno si attestano sui livelli del 1997.
In otto anni il reddito disponibile reale pro capite è sceso del 13,1%, pari a un ammontare di 2.590 euro a testa. "Nel 2014  il reddito reale dovrebbe crescere dello 0,4% in aggregato, pari a una variazione nulla nella metrica pro capite".

Ma porcoggiuda: un meccanismo economico che rifila tali fatti ha dentro un bug o è tutto un bluff?
Diamo un’occhiata a cosa sia potuto accadere prima, durante e cosa potrà accadere dopo questi fatti.
I produttori hanno prodotto per dare ristoro ai bisogni. Io, bisognoso oltre misura, consumo oltre la micragnosa capacità di spesa, mi sono indebitato oltre il lecito; troppo debito diventa inesigibile: viene giù tutto. Divento allora morigerato, metto la sordina ai bisogni, consumo meno, spendo meno: viene giù tutto.
Lo vedete cosa ha prodotto il bug?
Altro giro, altra corsa.
I produttori producono; siccome sono bravi producono più di quanto io possa acquistare con i redditi che mi rifilano per produrre quelle merci; non ce la faccio neanche con il credito fin qui ottenuto, nemmeno con quel pilucco di reddito o con quel tozzo di pane che potranno raccattare quelli che stanno raschiando il fondo del barile.
Lo vedete il bluff?
Tra bug e bluff si rischia di smarrire il senso economico dell’agire: occorre guardare oltre, oltre lo sguardo consueto.
Toh, si scorge un meccanismo produttivo guidato dal ciclo dei consumi: dalla domanda non dall’offerta.
Per tutta risposta e  il portafogli vuoto con il debito si è sostenuto in modo artificioso il valore di merci in eccesso e quel reddito fasullo ha smaltito le scorte di prodotto.
Già poiché la ricchezza si misura con il volume delle merci prodotte, queste vanno vendute. Costi quel che costi.
Costi altissimi: il mercato del lavoro superaffollato ha ridotto stipendi e salari; il mercato delle merci, altrettanto affollato, non ha ridotto i prezzi.
Et voilà, all’eccesso di offerta fa il paio l’insufficienza dei redditi che fa un difetto di domanda e nel mondo, per poter tirare avanti, gira più carta di debito che moneta sonante.

Mauro Artibani
http://www.alibertieditore.it/?pubblicazione=la-domanda-comanda-verso-il-capitalismo-dei-consumatori-ben-oltre-la-crisi

giovedì 11 settembre 2014

DANNAZIONE, NON SI ESCE COSI’ DALLA CRISI!


Si dice: Dio li fa poi li accoppia. Pure in mezzo alla crisi si scorgono coppie, magari messe pure in sequenza; magari  che non funzionano al meglio.
La  prima “dannata sequenza” sta tutta in un tormentone: un riflesso dell’aumento della produttività impone la riduzione del costo del lavoro.
La seconda, nella sovraccapacità produttiva dell’impresa che, per essere smaltita, impone la riduzione del ciclo di vita dei prodotti.
Un eccesso tira l’altro eppoi un altro ancora. Quei redditi da lavoro insufficienti, che non smaltiscono alla bisogna, fanno ancor di più: aumentano le scorte di merci in magazzino che la costante innovazione di prodotto, figlia dalla competizione, svaluta, non svuota, anzi raddoppia; per le aziende il tempo di ammortamento dei costi si riduce.
Al mercato sotto casa, dove non si va tanto per il sottile, si fronteggiano l’aumento del volume delle merci offerte e una ancor più ridotta capacità di spesa di chi fa la spesa, non più supportata dal supporto del credito; in mezzo, a prendere schiaffi, sta la riduzione dell’utile d’impresa.
Un bel guaio. Per uscire dal guado, ripristinando il valore di quelle merci, alle imprese tocca investire quel profitto, non impiegato nella ri-produzione, per smaltire l’invenduto rimpinguando il potere d’acquisto degli smaltitori. Investimento mediante opzione: ridurre il prezzo di quell’offerta/aumentare il costo di produzione della domanda.
Scandalo: si riduce il reddito d’impresa; all’utile si sottrae il profitto!
Un colpo! “SELL” per quegli analisti di borsa in “tempo reale” che studiano il rapporto Prezzo/Utili delle aziende quotate: tirano una linea, fanno una frazione; sopra sta il prezzo dell’azione delle aziende anzidette, sotto l’utile generato da quelle aziende. Già, visto che per la media storica delle quotate allo S&P500 il rapporto dà 15, quando scende il numeratore si va oltre quel 15, l’azione risulta sopravvalutata: sell, appunto.
Questo dice un mercato che fissa strabico l’oggi; questo non dice quello abitato da ebbri analisti che invaghiti di produttività/competitività tout court, balbettano invece BUY.
Buy che non misurano le diseconomie degli eccessi, proprio quelle che i tempi lunghi della crisi mostrano, quelle che tirano giù gli utili.
Né allarmati sell né miopi buy servono a raddrizzare i fatti. A quelle diseconomie occorre fare la festa: investire oggi per smaltire il prodotto fornisce stimolo alla crescita, garantisce il domani e la continuità del ciclo produttivo che non svaluta le scorte, neppure gli utili.
Investire il profitto è utile, pulisce quelle farragini che intralciano produttività e competitività, fa utili.
È tempo di aggiornare quel P/U dal troppo prossimo oggi o giù di lì, a un futuro anteriore, che si intravvede, dove si mostrano più stabili e sostenibili gli utili, più trasparenti ed efficaci le stime.
Mauro Artibani

venerdì 5 settembre 2014

CRISI: NUOVE MERCI, NUOVA DOMANDA


Quando i redditi mancano di dare sostegno alla domanda che smaltisce l’offerta di merci la macchina economica si ferma.
Si dirà: ma c’è l’aiuto del credito. Ennò, quello si è prima fatto debito, poi ha fatto sboom! 
Si rende indispensabile mettere in campo opzioni di risarcimento in grado di ripristinare l’efficienza del meccanismo dello scambio. Conditio sine qua non per uscire dalla crisi.
Si intravvedono operose azioni che attrezzano business; strategie di prodotto che il mercato apprezza e prezza.
Dentro quelle officine si scorgono fatti nuovi: vendono i consumatori, acquistano produttori, commercianti e nuovi consumatori. Il mondo alla rovescia.
L’attenzione, il tempo, l’acquisto: le merci esposte.
L’attenzione: venduta dagli spettatori di format di ogni tipo, pagata con l’intrattenimento full time e senza canone; il prodotto che le televisioni commerciali vendono ai pubblicitari.
Stessa cosa con le free press: la notizia cattura l’attenzione del lettore, ceduta al pubblicitario, produce utili in parte restituiti al lettore con l’informazione quotidiana e il costo zero: guadagno 365 euro l’anno.
«Parli gratis se ascolti pubblicità»: efficace il business di quelle compagnie telefoniche che retribuiscono l’ascolto di reclame mentre si dialoga con chicchessia. Un bel guadagno.
Pure il tempo è denaro: Ikea confeziona merci in scatola di montaggio, mobili da assemblare; chi li acquista e li monta vede retribuito il tempo del suo lavoro con un prezzo imbattibile. Ikea rinuncia a parti di utile per fare business; pure il consumatore fa business.
Sondaggisti  che retribuiscono il tempo di chi compila il questionario.
Ci sono agenzie che acquistano dati su abitudini, gusti, vezzi: il non tutto ma di tutto dei consumatori; buoni per confezionare prodotti ad hoc da vendere a quella stessa gente. Ci sono altri tempi e pure luoghi dove si accatastano merci in eccesso: due volte l’anno con i saldi, tutto l’anno negli outlet. Lo smercio di merci invendute fa l’affare: vendere l’istanza dell’acquisto guadagna sconti esilaranti dal 20 al 70 per cento.
Tutto questo accade, altro ancora si può fare.
Affari consumer-to-business: il risparmio degli italiani, seppure in fase di contrazione e mal impiegato, ammonta a 6 mila miliardi di euro. Offerto a investitori professionali capaci di extra rendimenti, oplà, per ogni uno per cento in più, 60 miliardi nelle tasche dei consumatori.
Affari consumer-to-consumer: vendere l’acquistato e non usato. Il valore raddoppia, la stessa merce fa due volte prezzo; non si impegnano nuove risorse, non si smaltisce; guadagna chi vende, guadagna il prezzo più basso chi acquista, migliora la redditività del reddito.
Business anche con il peer-to-peer: occasioni per tutti senza spesa che rimpinguano il reddito. Sharing il suffisso d’ordine, poi i prefissi: house, file, video. C’è pure il coach-surfing.

Mauro Artibani