giovedì 27 dicembre 2012

SE MIO NONNO NON FOSSE MORTO SAREBBE ANCORA VIVO

Non c'è che dire, chi ha tempo non aspetti tempo. La notizia la riporta Finanza. com “La partecipazione delle donne al mercato del lavoro in Italia è tra le peggiori dei Paesi Ocse, un fattore che penalizza fortemente l'economia del Paese. Lo rivela l'Ocse nel suo rapporto "Closing the gender gap", pubblicato oggi. Nel rapporto, l'Italia è al terzultimo posto tra i 34 Paesi aderenti all'Organizzazione, davanti solo a Turchia e Messico, per livello di partecipazione femminile al lavoro (pari al 51% contro una media Ocse del 65%). Secondo gli esperti, se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, il Pil pro-capite salirebbe di 1 punto percentuale l’anno.” Cacchio! Ehi, ehi un momento Signori esperti, si può fare di più. Se da qui al 2050 riuscissimo a bloccare l'invecchiamento della popolazione lo Stato smetterebbe di pagare le pensioni. Un bel risparmio. Ce n'é pure per chi impaziente vuole tutto e subito, non attendere tempi biblici. Se non nascessero più bambini potremmo ridurre le spese per l'istruzione e, se stessimo tutti in salute, pure quelle della sanità. Pensate, se fossimo tutti buoni, potremmo risparmiarci pure la spesa per l'ordine pubblico e la sicurezza. Altro che Spending Review! Approposito, non me ne vogliano i buoni, ma se quelli del terzo e quarto mondo restassero a casa loro, hop...risolti i problemi dell'immigrazione. Bando alle ciance, serene feste. Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 20 dicembre 2012

COSI' FACENDO ANCHE I RICCHI DIVERRANNO POVERI

Tiè: redditi al palo da vent'anni e ceto medio sempre più povero. Tant'è. A partire dal 2007 il reddito medio pro capite delle famiglie è sceso ai livelli del 1993: -0,6% in termini reali tra il 1993 e il 2011. Negli ultimi dieci anni la ricchezza finanziaria netta è passata da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, con una riduzione del 40,5%. C'è pure una piega da osservare, determinata dalla riduzione del reddito medio,:è la quota rilevante di famiglie immigrate (il 6,6% del totale), per il 45,1% con un reddito inferiore a 15.000 euro annui. Tutto questo emerge dal rapporto 2012 del Censis sulla situazione sociale del Paese. Porcoggiuda, tra il 1991 e il 2010 il cosiddetto ceto medio, che rappresenta il 60% della popolazione italiana, ha visto ridursi la sua quota di ricchezza di 20 punti, al 48% circa del totale. Basta? Un cacchio, non basta: nel 2011, il 28,4% delle persone residenti in Italia è a rischio di poverta' o di esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia “Europa 2020”. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2010), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro ed è definito come la quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. Lo comunica l'Istat nel suo rapporto su 'Reddito e condizioni di vita'. Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 2,6 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio poverta' (dal 18,2% al 19,6%) e quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9% all'11,1%). Dopo l'aumento osservato tra il 2009 e il 2010, sostanzialmente stabile (10,5%) risulta la quota di persone che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Il rischio di povertà o esclusione sociale è più elevato rispetto a quello medio europeo (24,2%), soprattutto per la componente della severa deprivazione (11,1% contro una media dell'8,8%) e del rischio di povertà (19,6% contro 16,9%). Porch... si sta in mezzo a povertà, esclusione, addirittura alla deprivazione: ingiustizia sociale insomma epperchennò pure morale. C'è chi non vede o, peggio, possa sottrarsi da tal giudizio? Oddio, tra i politici c'è chi spende parole imperscrutabili per la promozione umana di tal negletti; c'è chi fa finta di niente e chi, imprecando “i ricchi sempre più ricchi gli altri sempre più poveri” invoca una redistribuzione senza dire come nè quando, resuscitando invece quei furori ideologici, di tutti contro tutti, che allontanano qualsivoglia risoluzione. Ci si può anche sottrarre a tal ineffettuale garbuglio tentando di guardare oltre. La prendo alla larga: In Europa si stima un acquisto medio pro capite di abbigliamento e accessori pari a 10 kg annui e un consumato e smaltito, di queste frazioni merceologiche, pari a 7 kg procapite. Eggià, con la moda impiegata in funzione reflattiva queste merci vanno al massimo: il 70% del prodotto, passando di moda, va riacquistato. Produttori e Consumatori hanno fatto quanto spetta loro fare: si è generata ricchezza, si dovrà poi nuovamente produrre, nuovo lavoro, occupazione, reddito e...vai col tango. Giustappunto il reddito, quando invece quello erogato non consente più di acquistare quanto prodotto si svaluta il valore di quella merce, si brucia ricchezza, non si riproduce: meno occupazione, ancor meno reddito. Questi i fatti. Così siamo giunti all'oggi. In quest'oggi se si vuol fare come fan tutti, soffrire per chi soffre, non si fa quel che si deve per riparare il guasto. Già, il guasto. Questa crisi mostra come ci siano in giro quelli che non hanno per fare la spesa e quelli del ceto alto che non hanno speso i guadagni per retribuire adeguatamente il lavoro, manco per fare investimenti in capitale per l'impresa e financo quelli che non spendendo tutto riescono a mettere i soldi al pizzo. Questo quel che accade. Orbene, se chi vuole spendere non può e chi può non spende il meccanismo produttivo va in stallo. Eggià perchè io, non keynesiano, con Keynes dico: “la mia spesa è il vostro reddito”; ma se non posso spendere mancherà quel reddito a tutti. Tutti, pure quelli dalla bassa propensione a spendere: alcuni avranno meno profitti, altri dovranno estrarre dal pizzo i loro risparmi. Si, insomma, prima o poi non ci sarà posto in paradiso per nessuno, manco per i ricchi. Cosa s'ha da fa' per rimediare al torto economico? Beh, occorre porre rimedio a quest'improduttiva allocazione delle risorse economiche che, mal remunerando chi produce e chi consuma, finisce con l'alterare l'esercizio dei ruoli; stessa sorte con quel remunero dispari per quelli che acquistano: spende tutto chi ha poco, meno chi ha più sottraendo risorse alla crescita. Dare, insomma, a Cesare quel ch'è di Cesare se si vuol tornare a crescere: altro che ingiustizia sociale Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

giovedì 13 dicembre 2012

LA CRISI CHE METTE IN CRISI L'EURO ZONA

Ieri quelli della Commissione UE si erano messi a lavoro di buona lena ma con la luna storta; lanciando epiteti a destra e a manca ci hanno fatto sapere: Nel mese di novembre, l'indice di fiducia dei consumatori dell'Eurozona e' sceso a -26,9 dai -25,7 punti di ottobre. Pure l'indice di fiducia delle imprese del settore delle costruzioni dell'Eurozona e' peggiorata a -35,5 da -32,9 di ottobre. L'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane a novembre scende a 76,4 da 77,1. Nel mese di novembre, l'indice di fiducia del settore industriale dell'Eurozona e' salito a -15,1 da -18,3 di ottobre. Nel mese di novembre, l'indice sul clima degli affari nell'Eurozona e' salito a -1,19 da -1,61 di ottobre. Nel mese di novembre l'Economic Sentiment (una proxy dell'indice di fiducia) dell'Eurozona e' salito a 85,7 da 84,3 punti di ottobre. Nel mese di novembre l'indice di fiducia del settore del commercio al dettaglio dell'Eurorona e' salito a -14,9 da -17,4 di ottobre Questi i dati sulla crisi che mette in crisi l'Euro Zona. Ah, dimenticavo, della fiducia dagli Stati affetti da spending review manco a parlarne. Non paghi quelli di Eurostat ci rammentano come in Europa già 119,6 milioni di persone erano minacciate di poverta' o di esclusione sociale nel 2011: ossia il 24,2% della popolazione contro il 23,4% nel 2010 e il 23,5% nel 2008.  Fra le “privazioni importanti” quei grandissimi statistici annoverano ''la difficolta' a pagare affitto, a riscaldarsi, ad acquistare carne” e '' le limitate risorse familiari da lavoro''. La fiducia, insomma, quella dei Consumatori, dei costruttori, di quelli del settore industriale, dei commercianti si mostra strutturalmente frustrata pur lasciando intravvedere qualche soprassalto congiunturale. Si, porcoggiuda, quelli della spesa aggregata non spendono, la crescita non cresce. Sissignori, questa la crescita orfana del debito! Già, come si fa allora la crescita quando il credito, per fare ancora debito, si mostra inattingibile? Come si fa a fornire nuovo vigore a quella spesa aggregata? Beh, ai Produttori toccherebbe smaltire il già prodotto e così dover spendere per riprodurre; ai Commercianti vendere per poter spendere e riacquistare merce da vendere; agli stati toccherebbe trovare entrate fiscali per poter fare spesa pubblica. Acciocchè tutto questo avvenga pure i Consumatori dovrebbero poter spendere, così smaltire le scorte delle Imprese, svuotare i magazzini dei negozi, rifocillare il fisco. Per farlo occorre disporre di reddito sufficiente, non '' le limitate risorse familiari da lavoro''. E allora? Allora tocca andare al mercato, un mercato efficiente, per fare offerta dell'unica merce scarsa: la domanda. Acqistata da chi ha necessita di vendere, rifocillerà chi ha la vocazione a spendere, affinchè spenda: tutto qui! Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com

venerdì 7 dicembre 2012

TOH, LA FABBRICA DEL LAVORO C'E'

La disoccupazione giovanile negli Stati Uniti sta al 17,1%. In Europa va peggio: la Grecia al 58%, la Spagna al 55%, il Portogallo al 36% , l'Italia al 35%, la Francia al 25%, l'Inghilterra al 21,9%, la Svezia al 22,8%. Con sorprendente tempismo il commissario europeo per l'Occupazione e gli Affari sociali, Laszlo Andor, chiosa: ''occorre agevolare l'accesso al mondo del lavoro''. In tal senso, soprattutto per i giovani, ''è fondamentale ricorrere ai tirocini”. T-i-r-o-c-i-n-i? Disoccupati, dunque, perchè incompetenti! La crisi occupazionale sta tutta qua? E pensare ch'io pensavo che a mettere in crisi l'occupazione fossero troppe merci sul mercato e pochi denari in tasca per acquistarle. Beh se invece, come dice il Commissario, basta invece acquisire competenze sarà tutto più facile. A ben guardare i giovani americani già lo fanno. Più di 1/3 è tornato a scuola a causa della situazione economica; così facendo hanno contribuito ad attivare la richiesta di 1 miliardo di dollari di prestiti. Tornano a scuola, insomma, contraendo prestiti per attrezzarsi e trovare un modo per sbarcare il lunario. Il laureato medio “competentizzato” si ritrova 25.000 $ di debito. Porc... negli ultimi due anni i tassi di default sono cresciuti del 31%. Basta questo Commissario? Non basta se diamo un'occhiata ai dati Usa forniti dal Young Entrepreneur Council: • 1 su 2 laureati, circa 1,5 milioni, pari a circa il 53,6% e con un età pari a 25 anni o inferiore nel 2011 erano disoccupati o sottoccupati. • Per i diplomati delle scuole superiori (età 17-20), il tasso di disoccupazione è stato pari al 31,1% a partire da aprile 2011 fino a marzo 2012; la sottoccupazione è stata del 54%. • Per i giovani laureati (età 21-24), lo scorso anno la disoccupazione è stata del 9,4% mentre la sottoccupazione era pari al 19,1%. Botte, corna e chitarra rotta, insomma ed un carico di debito che riduce ancor più la capacità di spesa proprio di chi, per competenza a spendere, non ha eguali. Oibò diseredati loro, proprio quelli avvezzi a spendere la vita a fare la spesa, che altrimenti smaltirebbero il prodotto. Quel prodotto che occorre riprodurre. Già, cosi si creerebbe lavoro et voilà occupazione. Essipperchè nell'economia dei consumi viene generato lavoro se, e solo se, i salari e gli stipendi erogati risultano sufficienti ad acquistare quanto prodotto dal quel lavoro, al fin di generarne di nuovo. Altro che “senza lavoro non c'è futuro”: se mancano i denari in tasca a chi spende, non c'è futuro per il lavoro! Mauro Artibani Studioso dell’Economia dei Consumi www.professionalconsumer.wordpress.com