giovedì 29 luglio 2010

MODERAZIONE SALARIALE: PIU’ LAVORO MENO REDDITO?


Moderazione salariale e flessibilità del lavoro, recita la BCE nel bollettino mensile.
Dicono: “esiste il rischio che la creazione di posti di lavoro risulti insufficiente a ridurre la disoccupazione per un periodo di tempo significativo se la moderazione della dinamica salariale non sarà sufficiente a stimolare l’offerta di lavoro.”
La Banca Centrale Europea sembra intendere che solo redditi moderati e flessibilità possono dar corso ad occasioni di occupazione. Si, insomma, chi deve produrre produrrà perchè ha un costo del lavoro al minimo e la flessibilità al massimo.
La regola: bassi redditi, gente disposta a tutto pur di lavorare; così si produce, si cresce.
Altro giro, altra corsa.
Draghi, governatore della Banca d’Italia, intravvede: “consumi insufficienti ed investimenti deboli perché i redditi ristagnano e le prospettive di occupazione sono incerte”. Insomma, non si cresce.
La regola: occorrono redditi adeguati per far consumare quanto prodotto; così si cresce, si investe, si produce, si crea occupazione.
Ricapitolando: per la prima, si cresce se il costo e la flessibilità della forza lavoro rendono conveniente produrre; per il secondo si cresce se i redditi da lavoro sono sufficienti a smaltire quanto prodotto.
I banchieri europei chiedono che si produca anche se verranno a mancare i redditi adeguati per acquistare quanto prodotto; il banchiere italiano auspica redditi adeguati che faranno consumare ma appesantiranno il costo delle merci prodotte rendendole poco appetibili.
Fiuuuuu: contraddizioni.
Due ipotesi di scuola, due mezze verità.
Essipperchè nell’economia dei consumi - quel sistema circolare e continuo dello scambio offerta/domanda che genera ricchezza - produzione e consumo legati da un patto di necessità hanno l’obbligo, l’uno di sacrificare il reddito al costo del lavoro per rendere competitivo il prodotto; l’altro disporre del reddito adeguato che consenta di acquistare quanto prodotto.
Per uscire dall’assillo occorre individuare il punto di equilibrio tra cotanto contrasto: si può contenere il costo del lavoro di produzione per mantenere i margini di utile e continuare a produrre; si deve retribuire altresì quel lavoro di consumazione che smaltisce e fa nuovamente produrre.
Il costo di questo equilibrio deve essere ascritto alla voce profitto dei bilanci aziendali.
Già, il profitto, quella forma di reddito che remunera le incertezze ed il rischio di impresa.
La pratica di consumazione retribuita, assume l’onere dello smaltimento del prodotto et voilà meno incertezze, meno rischio d’impresa.
Essì, redistribuiti i rischi ed i carichi di lavoro, stessa sorte tocca ai redditi: un riequilibrio economico tra le parti, insomma. Tutto qui.

Mauro Artibani
Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE
Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009

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giovedì 22 luglio 2010

PER FAR FRONTE ALLA CRISI: UN REDDITO NUOVO DI ZECCA


Una cogente contraddizione fronteggia la crisi: la domanda di lavoro in eccesso riduce i redditi, quelli che occorrono per acquistare merci; più merci invendute.
Parbleu: maggiore il lavoro di consumazione necessario per smaltirle!
Vieppiù lavoro non esercitato, questo, perché privo del connotato che smaltisce: il reddito.
Così si impalla il meccanismo dello scambio; domanda e offerta mancano di generare ricchezza.
Se ci siete, battete un colpo; tutti i colpi necessari per incidere sull’acciaio la ragione economica che si vuole riprodurre: un reddito nuovo di zecca.
Essì, un nuovo conio per un più giusto, efficace, remunerante Nuovo Reddito, necessario per rendere fluido il meccanismo dello scambio tra domanda e offerta, che sostiene la crescita economica.
Un malloppo, composto di reddito aggregato, che si ottiene dalla remunerazione del fattore lavoro impiegato nel processo produttivo.
Un compenso che retribuisce il lavoro necessario alla produzione di beni e servizi; che retribuisce il lavoro di consumazione necessario per smaltire il sovrappiù di beni e servizi che ingolfano il mercato; che trasforma nuovamente quei beni e quei servizi in ricchezza.
Si scorge tra le brume l’alba di un nuovo giorno?

Mauro Artibani
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giovedì 15 luglio 2010

PER QUELLI DEL PROCESSO PRODUTTIVO E’ IL TEMPO DELLA RESPONSABILITA’



Gli attori del processo produttivo che muovono l’economia dei consumi vantano, come mai nella storia, il record nella generazione della ricchezza.
I Produttori, dentro solerti opifici, producono quel che si vende di più e meglio; impiegano Pubblicitari, uomini del Marketing e quelli del Credito che confezionano linda, immateriale domanda che sprona acquisti materiali dentro adorni e sfavillanti negozi dove Commercianti smerciano a più non posso a Consumatori che acquistano quel tutto, lo consumano chiudendo il circolo virtuoso che fa nuovamente produrre, che genera crescita, che arricchisce.
In questo crescendo rossiniano, la responsabilità degli atti e degli attori tutti forniti di un’impeccabile rigore professionale meno uno, manca il record.
Essì, questo fare al meglio genera scorie: depreda risorse, inquina; millanta crediti di ruolo inesigibili, scredita onori, misconosce meriti; esalta imbarazzanti solitudini, esilia il bene comune.
Tra questi affanni matura il tempo della responsabilità, per tutti, da assumere in prima persona.
Il Consumatore, quello sottratto all’imperio dilettante, ha da fare la sua parte.
Tanti tizi così, tutti Professional Consumer, oplà: una tal forza contrattuale si fa lobby; si fanno egemoni.
La gestione attiva della domanda costringe gli offerenti a dispensare offerte meno dispendiose,
cambia i connotati di chi informa e forma il prodotto; la gestione oculata del reddito ne migliora la resa, mette la sordina a creditori predatori, prende la misura degli acquisti, fidelizza chi commercia.
Si calibra così l’impiego delle risorse, vengono sottoposti a controllo i processi di smaltimento, si salvaguarda la qualità dei luoghi, vieppiù quel luogo dove si esercita il lavoro di consumazione; quel mercato, totale ed onnicomprensivo, tanto ampio da farsi Ambiente.
Può più il tornaconto che la pedagogia ambientalista: non si può consumare un ambiente consumato!
Dentro un agire professionale di tal fatta, insomma, trovano espressione moti di compiuta responsabilità che incastra le categorie produttive renitenti.
Un esercizio così inteso restituisce altresì dignità agli atti di consumo, in barba a certo sociologismo.
Un insieme, magari per “legittimo interesse”, che sollecita relazioni solidali.
Un più garbato Io, figlio di una ricchezza non più orfana del benessere, incontra gli Altri ed una nuova intimità con il mondo.

Mauro Artibani
Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE
Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009

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giovedì 8 luglio 2010

NUOVI BUSINESS: AL MERCATO NUOVE MERCI E NUOVA DOMANDA


Quando i redditi mancano di dare sostegno alla domanda che smaltisce l’offerta di merci la macchina economica si ferma. Indispensabile mettere in campo opzioni di risarcimento in grado di ripristinare l’efficienza del meccanismo dello scambio.
Si intravvedono operose azioni che attrezzano business; strategie di prodotto che il mercato apprezza e prezza.
Dentro quelle officine si scorgono fatti nuovi: vendono i Consumatori, acquistano Produttori, Commercianti e nuovi Consumatori. Il mondo alla rovescia.
L’Attenzione, il Tempo, l’Acquisto: le merci esposte.
L’Attenzione: il prodotto dalle televisioni commerciali venduto ai pubblicitari; venduta dagli spettatori di format di ogni tipo, retribuita con l’intrattenimento full time e senza canone.
Stessa cosa con le free press: la notizia cattura l’attenzione del lettore, ceduta al pubblicitario, produce utili in parte restituiti al lettore con l’informazione quotidiana ed il costo zero: guadagno 365 € l’anno.
“Parli gratis se ascolti pubblicità”: efficace il business di quelle compagnie telefoniche che retribuiscono l’ascolto di reclame mentre si dialoga con chicchessia. Un bel guadagno.
Pure il Tempo è denaro: Ikea confeziona merci in scatola di montaggio, mobili da assemblare; chi li acquista e li monta vede retribuito il tempo del suo lavoro con un prezzo imbattibile. Ikea rinuncia a parti di utile per fare business; pure il Consumatore fa business: vende il suo tempo.
Ci sono agenzie che acquistano dati su abitudini, gusti, vezzi: il non tutto ma di tutto dei Consumatori; buoni per confezionare prodotti ad hoc da vendere a quella stessa gente. Sondaggi come se piovesse che retribuiscono il tempo che compila il questionario.
Ci sono altri tempi e pure luoghi dove si accatastano merci in eccesso: due volte l’anno con i saldi così come negli outlet. Lo smercio di merci invendute fa l’affare: vendere l’istanza dell’acquisto guadagna sconti esilaranti dal 20 al 70%.
Tutto questo accade, altro ancora si può fare.
Affari consumer-to-business: il risparmio degli Italiani, seppure in fase di contrazione e mal impiegato, ammonta a 6.000 mld di €. Offerto a investitori professionali capaci di extra rendimenti, oplà, per ogni l% in più 60 mld nelle tasche dei Consumatori.
Affari consumer-to-consumer: vendere l’acquistato e non usato. Il valore raddoppia, la stessa merce fa due volte prezzo; non si impegnano nuove risorse, non si smaltisce; guadagna chi vende, guadagna il prezzo più basso chi acquista, migliora la redditività del reddito.
Business anche con il peer-to-peer: occasioni per tutti senza spesa che rimpinguano il reddito. Sharing il suffisso d’ordine, poi i prefissi: house, file, video. C’è pure il coach-surfing

Mauro Artibani
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Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009

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giovedì 1 luglio 2010

G20: FALLITO IL TENTATIVO DI DARE UN COLPO ALLA CRISI A COLPI DI CRESCITA


C’è una casetta in Canada dove, mentre scrivo, si incontrano i capi del mondo: prima i G8, poi i G20.
Stanno lì per dare per dare un colpo alla crisi a colpi di crescita.
Tutti d’accordo sui modi? Macchè.
Si confrontano due tesi.
C’è chi insiste nel sostenere una domanda artificiale, con politiche monetarie e sgravi fiscali che non trovano il supporto di quelli del credito, che non convincono i produttori ad investire ed i disoccupati a consumare.
L’altra tesi, “bè si, abbiamo compromesso le finanze pubbliche per dare sostegno alla produzione, al consumo, al lavoro senza ottenere granchè; occorre rientrare dal debito altrimenti sono guai: riduzione dagli stipendi, meno welfare, insomma meno spesa pubblica, voilà più spesa privata”: gulp.
Sempre più indebitati gli USA; in Europa invece, per rientrare dal debito, vogliono togliere gli stimoli; per farlo indeboliscono ancor più la capacità di spesa dei consumatori: un bel casino.
Sul più bello, tra squilli di tromba, arriva il capo dall’FMI. Dominique Strauss Kahn, senza peli sulla lingua, borbotta che: “Il costo di politiche poco coordinate potrebbe essere salato, pari a 30 milioni di posti di lavoro e 4.000 miliardi di dollari in termini di perdite di produzione economica in 5 anni”.
Sul più brutto arriva il Professional Consumer, lascia un foglietto con su scritto:
Esimi, solo chi consuma l’eccesso produttivo fa ri-produrre, per produrre occorre lavorare; si crea occupazione quindi reddito che fa consumare per non bruciare ricchezza nei prossimi cinque anni. Il cerchio così si chiude, si ricomincia a crescere: questa la regola dell’economia dei consumi.
Insiste: quando però i redditi erogati per produrre merci risultano insufficienti a smaltire quanto prodotto e il credito non è più in grado di dare focillo a quei redditi, inizia la crisi. Per uscirne occorre dare a Cesare quel ch’è di Cesare. Si, quel Cesare che occupa il centro del meccanismo produttivo; che fornisce l’input, magari ingrassando per smaltire l’offerta alimentare, magari acquistando abiti alla moda che passano di moda per dare soccorso alla crescita; con il contributo fiscale pagato all’acquisto poi, magari risanare le casse pubbliche e, perché no, tenere il debito sotto controllo.
Retribuire cotanto ruolo, un obbligo per l’etica, un’opportunità per l’economia; la soluzione alla crescita senza intoppi!
Una folata di vento spazza l’aria, spazza pure il foglietto. Nessuno se ne avvede, tutti intenti a scrivere la risoluzione di quel G20 che intende stabilizzare deficit e debito di economie che “restano fragili e vulnerabili.”
Amen.

Mauro Artibani
Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE
Paoletti D’Isidori Capponi Editori
Marzo 2009

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