martedì 28 febbraio 2017

PD :( ): DP

Lunedì si guardano in cagnesco, martedì si ammiccano, mercoledi boh, sabato e domenica, con i social si scambiano rancori.
Giovedì, pausa caffè.
Non sono un politico, faccio fatica a comprendere cosa cacchio stiano facendo; manco un intellettuale per schernirli, non sono un grande elettore per farmi dare ascolto, nè un pedagogo per metterli d'accordo.
Veniamo al fatto, quello che sta dietro i tanti troppi fattacci, che li tiene ditanti e distinti: l'uno riprovera agli altri un vecchio "operaismo"; di rimando gli altri lo accusano di fare politica con i "Padroni".
Essì che v'aspettate: inviperiti l'un l'altro, da una crisi economica che non riescono a scalfire, cosa c'è di meglio che mandare ancora in scena l'antiquata tenzone tra capitale e lavoro?
Ma porc... Se gli ultimi due Presidenti di Confindustria hanno auspicato l'avvento di una "società dei produttori", dentro la quale far fare squadra ad una insolita accolita proprio tra chi mette il capitale e chi si associa lavorando, trovando pure benevola accoglienza da parte dei sindacati, non tutti però, qualcosa vorrà pur dire!
Già mentre loro, invece, a scambiar lucciole per lanterne, armati di ragioni fragili che non convincono manco il vicino di scranno.
Così quando nella sua e-news Matteo Renzi scrive: “Abbiamo indetto il congresso secondo le regole dello Statuto. Si terrà nei tempi previsti. Chi ha idee si candidi. E vinca il migliore".
Beh, un'idea ce l'ho, mi candido!
Mi candido pure per raccapezzare i cocci e farli riappacificare.
Essì, si può fare.
Bene Signori, la ricchezza economica si genera con spesa, non con la produzione nè con il lavoro. Quando manca quella spesa il capitalista ci rimette il capitale, chi lavora il lavoro; tutteddue i guadagni. Confindustria lo sa, per questo tenta di mettere insieme 'sti poveracci per fare squadra.
Già, c'è un però, però: una squadra con due brocchi perde; mettere insieme due debolezze non fa una forza!
I forti stanno altrove!
Si, forti son quelli che con la spesa trasformano la merce in ricchezza; consumando l'acquistato fanno riprodurre, creano occupazione, danno spinta al ciclo, sostanza alla crescita.
Giust'appunto, la Gente che spende!
Al valore economico di questo fare occorre dare rappresentazione.
Come?
Ennò i politici siete voi! Io sono un Professional Consumer, dispongo però di un paradigma nuovo di zecca, ve lo mando con un un tweet, provate a trasformarlo in azione politica: "La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera."
Se non vi è chiaro, prima di cestinarlo, rileggetelo! Ennò, non seguite scorciatoie, non è un problema di redistribuzione.
Nicchiate? Volete ancora andar per la via vecchia?
D'accordo, per farlo dovrete prima passare per quel tweet, trasformarlo in azione politica; di là si va oltre la crisi, proprio quella del capitale, del lavoro e dei redditi.
Beh, hic et nunc, non domani.
Da Economaio tanto vi dovevo dire per debito d'ufficio!

Mauro Artibani




martedì 21 febbraio 2017

LETTERA APERTA AL MINISTRO CALENDA

Buon giorno Ministro Calenda,

intervenendo a Rho alla cerimonia di inaugurazione di the MICAM, la fiera del settore calzaturiero, si dice abbia detto:"L'Italia è un Paese che deve all'industria la sua prosperità, e semplicemente questo fatto se l'è dimenticato per trent'anni. Se c'è un senso nell'attività che io spero di portare avanti .... è questo: ridare centralità e rispiegare questo fatto, cioè che noi oggi siamo in piedi, seppure ammaccati, perché abbiamo la seconda industria manufatturiera europea, il quinto saldo commerciale dei beni manufatturieri al mondo. Questo è quello che ci ha fatto grandi, che ci tiene saldi e che anche è l'unico modo con cui si riconquista una prosperità sociale allargata, perché l'industria ha questa caratteristica: di diffondere socialmente il benessere. Dobbiamo riscoprire questi valori e aiutarla in tutti i modi".
Ministro, stimo la sua competenza ed il cipiglio che mette nel fare quel che le spetta. Aspetti però, è certo che ancora funzioni quel vecchio paradigma* con il quale guarda i dati, interpreta i fatti e dispone indirizzo allo sviluppo economico?
Mi spiego:
30 anni di properità?
Prosperi, se il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa?
L'Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, in quello stesso anno, il reddito disponibile risultava pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Prosperi, se invece di cibarci siamo ingrassati; se vestiamo alla moda che passa di moda e per far due passi li facciamo in auto?
Prosperi se, per fare così i prosperi, ci siamo indebitati?
Eppoi, Prosperatori di popoli quelle imprese che hanno erogato redditi, a chi lavora per produrre merci, insufficienti ad acquistare quanto prodotto?
Prosperatori se "dall'inizio della crisi il Pil reale procapite è calato di circa il 10 per cento ed oggi è allo stesso livello del 1997", come rileva l'Ocse?
Prosperatori quelle imprese che, per tal fatto, dall'inizio della crisi hanno visto ridurre la produzione industriale del 25%?
Prosperatori quelle imprese che si tengono i profitti in tasca invece di fare investimenti in conto capitale?
Prosperatori quelli che hanno in magazzino latte invenduto e cagliato; chi ha i magazzini zeppi di moda passata di moda; quelli con i magazzini di quotidiani del giorno prima pronti per incartare il pesce e quei concessionari con le auto sul piazzale che, invendute, arruginiscono?
Vede Ministro, quel vecchio paradigma vede in giro solo prosperatori e prosperi.
Così quando dice: "perché l'industria ha questa caratteristica: di diffondere socialmente il benessere. Dobbiamo riscoprire questi valori e aiutarla in tutti i modi".
Beh, per far questo un'idea ce l'ho; gliela porgo impiegando di un paradigma nuovo di zecca, dice: "La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera."
Remunerare chi?
Oh bella, quelli che con la domanda fanno il 60% del Pil. Quel domandante viene sottoposto pressappoco ad un obbligo a tempo pieno: con la spesa trasforma la merce in ricchezza, consumando l'acquistato fa riprodurre, crea occupazione, da' spinta al ciclo, sostanza alla crescita. Nel fare questo impiega risorse appetibili, ancorchè scarse, indi per cui poscia: valore!
Valore doppio: il primo nel generare oggi la ricchezza, il secondo nello smaltire quelle sovraccapacità che bruciano la ricchezza di domani.

Che le vada a più non posso, Ministro.

*Già quell'attempato paradigma che attribuisce, fuori tempo massino, all'impresa la generazione della ricchezza.
Mauro Artibani



martedì 14 febbraio 2017

'A SAI 'A LEGGE DE SAY?

Sei sicuro?
Sicc'asò! Dice: «Un prodotto terminato offre da quell'istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l'ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all'istante stesso uno sbocco ad altri prodotti.»*
Oddio, 'na legge. A me me pare 'n azzardo!
Così dicheno a Roma, disse Nando mentre andava a fare la spesa. Poi tra i denti: A me manco m'annava de falla.
Poi ce ripensa: Ennò, nun te poi tirà 'ndietro, 'sta legge funziona solo se tu compri sinnò nun vale.
E c'hai ragione, c'hai: se a me numme serve de falla e 'nserve manco all'artri**, la somma der valore, che dice Say, se svaluta.
Si, more!
Er denaro nun l'ha generato, chi c'hà lavorato nun viè pagato e nun lavorerà manco a rifalla.
'N accidente, artro che "l'offerta crea la domanda"; artro che, com'aggiunse 'n'antra vorta J. Mill, «la produzione di merci crea ed è l’unica e universale causa che crea un mercato per le merci prodotte».
Ennòssignore, ar mercato ce serve chi venne ma pure chi compra e chi compra deve avere er bisogno de fallo e i sordi pe' fallo, sinnò chi deve venne, a chi venne?
Capito Cocco: l'offerta pò pure crea' 'a domanda ma si nun ce stà nissuno a risponne che cavolo de mercato è?
Essì, quann'è così o 'sta merce tà sbatti, o paghi chi nun pò pagà pe' compra'.
Credetece, o conosco Ciccio, si paghi compra eccome, magari pe' passione, pe' emozione, pure pe' fa esperienza.
'Nsomma, Isso fa quello che sa fà meglio, così tu venni, poi rifai 'a merce, fai lavorà a Gente. 'A paghi er giusto pe' rifa' 'a spesa.
Già, si tutto gira e così gira, va bene pe' tutti!
'Nce credete? Ve sento dì: ma che stai a dì!
Sto a dì quello che me riccontava mi Nonna, 'na favola antica***. 'A diceva così: Ti racconto la storia di un prospero alveare dove le api vivevano nel lusso e negli agi. Un giorno alcune cominciarono a lamentare il loro stile di vita poco virtuoso, e di conseguenza rifuggirono dalla loro avidità e stravaganza. Man mano che le api abbandonavano la loro propensione al lusso e alla spesa, scompariva rapidamente anche la prosperità dell’alveare stesso. Se le persone spendessero di più, avrebbero di più.
Secondo la saggezza popolare il modo migliore per prosperare era attraverso il risparmio, non attraverso la spesa. Tuttavia, se le persone avessero comparato di più, si sarebbe instaurato un circolo virtuoso di cui tutti avrebbero beneficiato. Ci sarebbero stati più impieghi, salari più elevati, crescita dei profitti, un miglior tenore di vita.
Essì, mi Nonna parlavo de fino!
Hai capito hai: sta robba l'hanno scritta quasi cent'anni prima de quello che ha scritto er Sor Say e ducent'anni da Mill.
Me sa che nun c'avevano 'na Nonna che j''a raccontava.
Io, che nun so' e so' pure micco, dopo più de trecento ancora ma' ricordo e m'ha 'mparato.
A Te che smerci, te fischieno l'orecchie?
Già, prima nun lo sapevi, mocchè lo sai: fallo!
Si, fallo perchè sinnò finisce che domani nun vendi e dopodomani nun magni manco tu.
*A Treatise on Political Economy, Jean-Baptiste Say, 1803
** Se so' 'grassato, uso a moda pe' vestimme e giro pe' Roma 'n'Suvvè, 'nciò bisogno de gnente!
*** Bernard de Mandeville, La favola delle api. 1705

Mauro Artibani



martedì 7 febbraio 2017

IL LAVORO SI GENERA CON LA SPESA NON CON LA PRODUZIONE

Oltre 9,3 milioni di italiani non ce la fanno, sono a rischio povertà e l'area di disagio sociale non accenna a restringersi. Lo dice Unimpresa e lo calcola: tra il 2015 e il 2016 altre 63mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia. Complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 308mila persone in difficoltà. Crescono in particolare gli occupati precari: in un anno, dunque, è aumentato il lavoro non stabile per 200mila soggetti che vanno ad allargare la fascia di italiani a rischio.
Ai disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un'enorme "area di disagio": quasi 3 milioni di persone disoccupate, poi i contratti di lavoro a tempo determinato, quelli part time (737mila persone) quelli a orario pieno (1,73 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (823mila), i collaboratori (327mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,71 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive incerte circa la stabilità dell'impiego o con retribuzioni contenute - ammonta complessivamente a 6,34 milioni di unità. Il totale del'area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, nel 2016 comprendeva dunque 9,3 milioni di persone, in aumento rispetto all'anno precedente di 63mila unità (+0,68%).
"Di fronte al calare della disoccupazione, si assiste a una impennata dei lavoratori precari", commenta il vicepresidente di Unimpresa, Maria Concetta Cammarata, che poi sbotta: "E' uno scambio inaccettabile. Quale futuro diamo alle generazioni che verranno? Il lavoro è la base per la vita, della dignità della persona ma questa situazione lo sta drammaticamente mortificando".
Maria Concetta, dopo aver fatto i conti ,chiama l'etica al capezzale di questi disgraziati per portare conforto. Tra quelli che stanno lì c'è chi impreca, chi se la prende con il destino cinico e baro e chi ci mette il carico da undici: Andrea Garnero, economista Ocse "un italiano su 1 si ritrova uno stipendio sotto il minimo contrattuale".
Ei, ei, dopo aver digrignato i denti al destino e mondato la coscienza, tocca fare di più.
Ci provano in Europa: lo si scorge tra le pieghe, delle ultime raccomandazioni fornite dall’Ue all’Italia, sta scritto come il Bel Paese “debba trasferire il carico fiscale dai fattori di produzione al consumo e al patrimonio”.
Indipercuiposcia, aumentare l’Iva e tassare i patrimoni.
Okkei per i patrimoni quando sono solo rendita ma, suvvia, pensare di ridare al borsellino di Cesere quel che tocca a Cesare per permettergli di fare quella spesa spesa che, con l'aumento dell'Iva, costerà di più, no, vi prego no!
Si dirà: fare la spesa dentro queste traversie?
Essissignori, anime belle, la crescita economica si fa con la spesa, non con la produzione nè con il lavoro! Fatta la spesa sparigliato l'inganno che gli eticisti non vedono e i Policy Maker misconoscono.
Eggià, fatta, si dovrà riprodurre, ci sarà lavoro e meno precario, pure redditi più acconci!
Si acconci, per fare altra spesa e continuare a fare la crescita.
Essì cari miei, vi piaccia o no, la pratica economica, funziona così!

Mauro Artibani