Si
dice: Dio li fa poi li accoppia. Pure in mezzo alla crisi si scorgono coppie,
magari messe pure in sequenza; magari che non funzionano al meglio.
La prima “dannata sequenza” sta tutta in un
tormentone: un riflesso dell’aumento della produttività impone la riduzione del
costo del lavoro.
La
seconda, nella sovraccapacità produttiva dell’impresa che, per essere smaltita,
impone la riduzione del ciclo di vita dei prodotti.
Un
eccesso tira l’altro eppoi un altro ancora. Quei redditi da lavoro
insufficienti, che non smaltiscono alla bisogna, fanno ancor di più: aumentano
le scorte di merci in magazzino che la costante innovazione di prodotto, figlia
dalla competizione, svaluta, non svuota, anzi raddoppia; per le aziende il
tempo di ammortamento dei costi si riduce.
Al mercato sotto casa, dove
non si va tanto per il sottile, si fronteggiano l’aumento del volume delle
merci offerte e una ancor più ridotta capacità di spesa di chi fa la spesa, non
più supportata dal supporto del credito; in mezzo, a prendere schiaffi, sta la
riduzione dell’utile d’impresa.
Un bel guaio. Per uscire dal
guado, ripristinando il valore di quelle merci, alle imprese tocca investire
quel profitto, non impiegato nella ri-produzione, per smaltire l’invenduto
rimpinguando il potere d’acquisto degli smaltitori. Investimento mediante
opzione: ridurre il prezzo di quell’offerta/aumentare il costo di produzione
della domanda.
Scandalo: si riduce il
reddito d’impresa; all’utile si sottrae il profitto!
Un colpo! “SELL” per quegli
analisti di borsa in “tempo reale” che studiano il rapporto Prezzo/Utili delle
aziende quotate: tirano una linea, fanno una frazione; sopra sta il prezzo
dell’azione delle aziende anzidette, sotto l’utile generato da quelle aziende.
Già, visto che per la media storica delle quotate allo S&P500 il rapporto
dà 15, quando scende il numeratore si va oltre quel 15, l’azione risulta
sopravvalutata: sell, appunto.
Questo dice un mercato che
fissa strabico l’oggi; questo non dice quello abitato da ebbri analisti che
invaghiti di produttività/competitività tout court, balbettano invece BUY.
Buy che non misurano le
diseconomie degli eccessi, proprio quelle che i tempi lunghi della crisi
mostrano, quelle che tirano giù gli utili.
Né allarmati
sell né miopi buy servono a raddrizzare i fatti. A quelle diseconomie occorre
fare la festa: investire oggi per smaltire il prodotto fornisce stimolo alla
crescita, garantisce il domani e la continuità del ciclo produttivo che non
svaluta le scorte, neppure gli utili.
Investire il profitto è
utile, pulisce quelle farragini che intralciano produttività e competitività,
fa utili.
È tempo di aggiornare quel
P/U dal troppo prossimo oggi o giù di lì, a un futuro anteriore, che si
intravvede, dove si mostrano più stabili e sostenibili gli utili, più
trasparenti ed efficaci le stime.
Mauro Artibani
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