venerdì 4 maggio 2012

PIL SENZA APPEAL

Prodotto Interno Lordo: sistema che misura il rendimento dell’attività economica. Per convenzione, il valore complessivo dei beni e servizi, destinati ad usi finali, prodotti all’interno di un paese in un definito intervallo di tempo. Oddio, non proprio se si prende la formula keynesiana: Y=C+G+(I+S)+X. Dove Y è il Pil, in Italia nel 2009 = 1.596.000.000.000 € C, la spesa privata. G, la spesa pubblica. I, la spesa per investimenti delle imprese. S, la spesa per le scorte delle imprese. X, il saldo commerciale. Altro che misura della produzione; misura invece del consumo. Ad esser pignoli non è nemmeno un prodotto bensì una somma, seppur algebrica. fatta di + e -. Guistappunto, domanda aggregata. Disaggregata mostra i fatti: fanno il 60% circa quelli della “C”; gli altri, i “GIS” circa il 39%; agli “X” tocca più o meno l’1%* Tal misuratore certifica il maggior contributo fornito dai Consumatori alla generazione della ricchezza, vieppiù il carico di responsabilità assunto per la crescita economica del paese. La prova del 9: quando i Consumatori, quelli che fanno la spesa privata, hanno redditi adeguati a generare l’ormai consueto 60% di quel pil, gli altri, sollecitati da cotanto fare, faranno il resto. Quando invece, e siamo all’oggi, quei redditi risultano insufficienti e viene a mancare tal contributo, resta l’invenduto. I Produttori visto l’andazzo tirano i remi in barca, fanno fatica ad investire per nuovamente produrre, anche ad attrezzare scorte per magazzini già pieni. Per gli improvvidi della spesa pubblica, quando si riducono le entrate fiscali di quelli di prima e si tenta di ridurre questa spesa per ridurre il debito dello Stato, faranno anch’essi meno Pil. Se poi si sbircia il Pil, come somma delle remunerazioni di tutti i fattori impegnati nel processo produttivo, emergono fatti che non ti aspetti. A chi ha redditi acconci, pur spesi per rifocillarsi di tutto e di più, resta ancora il resto; risparmio che mette in cassa sottraendolo alla spesa complessiva. Se le Imprese, per risparmiare, retribuiscono chi ha lavorato per produrre beni con redditi che non fanno tutta la spesa che serve, inducono quegli impresari a risparmiare pure la spesa per gli investimenti che fanno nuovamente produrre. A risparmio si somma risparmio, alla spesa invenduta si sommano invendute scorte: l’equilibrio tra spesa e reddito salta, viene a ridursi la capacità del sistema economico di utilizzare per intero le risorse produttive. Se per rendere massimo il rendimento del processo economico il valore prodotto deve poter essere interamente acquistato e così trasformato in ricchezza, ehmm… non ci siamo proprio. Eggià, finchè la crescita si fa con la spesa e quel tornaconto lo distribuisce l’Impresa, finchè, insomma, il meccanismo che trasferisce quella ricchezza passerà per la produzione, verrà a mancare la trippa ai gatti. La vecchia regola che ne governa l’allocazione remunera il concorso fornito dal lavoro dei singoli alla produzione del valore, riproducendo un vizio: si dà più agli abbienti che già hanno, meno a chi non ha. I primi spenderanno meno, i secondi tutto, ma poco, e quel valore verrà svalutato. Quell’anodina rappresentazione insomma, impressa nell’acronimo PIL, non lascia scorgere lo sperequato remunero dei soggetti economici che diversamente spendono per la crescita. Il CIL, Consumato Interno Lordo, si; ma questa è tuttunaltra storia! *Quote del Pil generate dagli agenti economici dal 1971 al 2010. Dati estratti dallo studio di Confcommercio: “la centralità dei consumi per il rilancio dell’economia italiana”. Cernobbio, 18 marzo 2011 Mauro Artibani Per approfondire il tema trattato: PROFESSIONE CONSUMATORE Paoletti D’Isidori Capponi Editori Marzo 2009 www.professionalconsumer.wordpress.com www.professioneconsumatore.org

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